Cosa c’è di più ipocrita e strumentale del grido delle femministe pacifiste – e dei pacifisti italiani – che si indignano al grido “Non si liberano le donne iraniane con le bombe”?

È una pura strumentalizzazione del movimento Donna, Vita, Libertà nato nel 2022 dopo l’uccisione brutale di Mahsa Amini. Tantissime donne iraniane e moltissimi giovani si ribellarono allora al regime di Khamenei, scendendo in strada al prezzo della vita, degli arresti, delle torture.

Si ribellavano perché volevano vivere come noi, perché amano i valori occidentali. E l’Occidente – quello che disprezza sé stesso – fece le sue belle manifestazioni, anche grottesche: si tagliarono ciocche di capelli per qualche settimana; poi – annoiati – passarono ad altro.

Da tre anni, dalla morte di Mahsa, a Francoforte – dove vivo – i dissidenti iraniani, che sono una comunità forte e viva, manifestano ogni sabato contro il regime, sostenendo il movimento Frau, Leben, Freiheit. Partecipo sempre a quelle manifestazioni. Quando la nostra Cecilia Sala fu incarcerata a Evin, chiesi loro di manifestare anche per lei: lo fecero, con convinzione. Noi le donne iraniane non le abbiamo dimenticate.

Ma l’Italia pacifista sì. Ora si risveglia di colpo, scandalizzata perché Israele ha lanciato un’offensiva contro un regime che da decenni sogna di cancellare Israele dalla faccia della Terra con la bomba atomica. Oggi i nuovi indignati rimproverano lo Stato ebraico: “Non si libera un popolo con le bombe”. Ma quando mai Israele ha detto che vuole liberare l’Iran con le bombe? Non lo ha mai detto. Sappiamo tutti che se quel regime verrà azzerato, saranno solo gli iraniani e le iraniane a costruire una nuova libertà.

Ha ragione il direttore Claudio Velardi, che ieri poneva una questione cruciale: è pronta una nuova classe dirigente iraniana a prendere in mano il destino del Paese? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che nessuno qui ama le bombe. Basta con la falsa dicotomia tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace. C’è chi, come me, sogna che gli iraniani – dopo 46 anni di dittatura – possano finalmente rivedere la luce.

C’è chi, come me, non sarà mai dalla parte del regime che uccide i propri figli, ma sempre dalla parte di quelle donne e quegli uomini che hanno sacrificato la vita per ribellarsi. Ma che ne sappiamo noi, così distratti nelle nostre belle vite libere? Ci mettiamo a giudicare chi resiste. Che sia in Iran o in Ucraina. E se domani Ali Khamenei crollasse, avete pensato che forse anche Hamas resterebbe senza più sostegno? Che forse quella guerra maledetta potrebbe finire?

Chiudo con le parole di una donna che il regime iraniano ha cercato più volte di uccidere, e che oggi vive sotto protezione negli Stati Uniti: Masih Alinejad. L’altro ieri ha pubblicato un video rivolto a noi occidentali, e ha detto: “La Repubblica islamica ha fatto la sua scelta: missili al posto delle medicine, bombe al posto del respiro. Non gliene importa del popolo. Usano la gente come scudi umani.

È la stessa tattica che Hamas ha usato con i civili a Gaza. Ora la Repubblica islamica è nel momento di massima debolezza. E non lo dico solo io: lo dicono milioni di iraniani. È arrivato il momento. C’è una sola soluzione per fermare questa guerra: porre fine alla Repubblica islamica.

Sì, il momento è adesso: sostenere il popolo iraniano per abbattere questo regime. È così che si proteggono i civili innocenti in Iran e in Israele. È così che si garantisce la sicurezza globale”.

I pacifisti disprezzano l’Occidente, lisciano il pelo agli ayatollah e calpestano il movimento Donna, Vita, Libertà