Cervia (FC), 02 Settembre 2007. Foto: GD (Personal Property)
Due amici (corriere.it)
di Massimo Gramellini
Il caffè
Un giorno del 1992 Nino Benvenuti riceve una telefonata da New York.
Emile Griffith, il campione con cui da giovane si prendeva a cazzotti in mondovisione, è in pericolo di vita: stava uscendo da un ritrovo gay dell’Ottava Strada quando è stato aggredito da una banda di teppisti armati di stivali appuntiti e mazze da baseball.
Benvenuti è uomo di destra e in quel momento è anche impegnato in politica. Gli suggeriscono di abbozzare. Lui invece salta sul primo aereo e raggiunge il vecchio avversario in ospedale. Davanti alle telecamere accusa la polizia newyorchese di non voler indagare e sfida i teppisti: «Fatevi sotto, vigliacchi, mi rimetto i guantoni apposta per voi!».
Griffith sopravvive al pestaggio, ma perde un rene e durante la dialisi rimedia un’infezione al midollo. Poi arrivano l’Alzheimer, la povertà. E Nino, per pagargli le medicine, si inventa un tour teatrale sui loro tre incontri al Madison Square Garden, epica pura. Ai giornalisti dice: «Non puoi che essere amico di uno con cui hai fatto a cazzotti per 45 round».
Ricordo le immagini dell’arrivo di Griffith a Fiumicino. Un ometto tremante. Ma appena vede Nino si illumina e si appoggia a lui, staccandosi solo per mimare qualche colpo di boxe. Anni dopo, Benvenuti vola di nuovo in America per rimboccare le coperte al rivale morente, che lo lascia interrompendosi a metà di una frase.
Se esiste un paradiso degli amici, da ieri saranno lì, a finirla insieme.
#Ukraina – SOLŽENICYN ‘NEL PRIMO CERCHIO’

LA ŠARAŠKA SOVIETICA
Suicidio nel carcere Lorusso Cutugno di Torino: detenuto s’impicca, era in attesa dell’udienza di convalida (ildubbio.news)
Ennesima tragedia
L’uomo, arrestato nel weekend per resistenza e lesioni, si è tolto la vita nel Padiglione B. Il SAPPE: «Servono più psicologi, organici adeguati e prevenzione»
Un detenuto di nazionalità marocchina, 41 anni, si è tolto la vita nel carcere Lorusso Cutugno di Torino, dove si trovava da pochi giorni in seguito a un arresto per resistenza, oltraggio e lesioni. L’uomo, in attesa dell’udienza di convalida, è stato trovato impiccato con dei lacci nel Padiglione B intorno alle 6 del mattino dagli agenti di servizio. Il personale del 118, giunto sul posto, ha potuto solo constatarne il decesso.
A darne notizia è il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE), che attraverso il segretario regionale Vicente Santilli ha espresso cordoglio e allo stesso tempo ha lanciato l’ennesimo grido d’allarme sulle condizioni del sistema penitenziario italiano.
«Siamo di fronte a un’emergenza nazionale – ha dichiarato Santilli – legata al disagio psichico in carcere e al rischio suicidario. La Polizia Penitenziaria opera con abnegazione ma in condizioni di costante tensione, spesso senza strumenti adeguati». Il sindacato chiede interventi immediati: più psicologi e psichiatri, migliore formazione, rafforzamento degli organici e presidi di prevenzione autolesiva.
Anche il segretario generale Donato Capece ha commentato l’accaduto: «Questi eventi sono una sconfitta per lo Stato e segnano profondamente i nostri agenti, spesso giovani e lasciati da soli. Servono strumenti concreti per tutelare la sicurezza di tutti, inclusi i detenuti con patologie psichiatriche».
(Il carcere Lorusso Cutugno di Torino – LAPRESSE)
I libri di scuola media in Italia pieni di propaganda russa, da Kiev «corrotta e armata» all’invasione «strategica» dell’Ucraina: lo studio (open.online)
di Alba Romano
L’eredità di Kiev come «culla della cultura di Mosca»
Secondo l’Istituto Germani, nei manuali scolastici ricorrono sette filoni di propaganda, che ricalcano quasi perfettamente quella russa. In primo luogo, la descrizione dell’Ucraina come un Paese «fallito, povero, arretrato e nato quasi per caso dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica». Ma al contempo «armato e corrotto», tanto da giustificare – per dirne una – l’invasione.
Al contempo, però, il passato di Kiev è tinto di rosso: «Molti testi presentano la Rus’ di Kyiv (regno slavo medioevale, ndr) come la culla della Russia, negando così l’identità nazionale ucraina. La verità storica è che Mosca, all’epoca, neppure esisteva».
E di storia distorta, o omessa, ci sono altri esempi: «L’aggettivo “ucraino” viene usato solo per gli eventi negativi, i successi sono invece sempre “sovietici”».
L’annessione «strategica» della Crimea e il Donbas «russo»
E si arriva poi agli ultimi decenni. Nel manuale Vivi la geografia, edito da Zanichelli, Di Pasquale sottolinea una frase: «La Russia, nel nuovo millennio, ha riacquisito importanza politica grazie all’intervento in Ucraina e all’annessione della Crimea».
Un concetto che legittimerebbe «un atto di aggressione militare» e che, in altri manuali, porta addirittura a indicare il Donbas come «parte integrante della Russia». O a parlare della «russofonia» di quelle aree, senza però mai citare il processo di «russificazione forzata» a cui gli abitanti sono stati sottoposti: «Nei Paesi dell’Unione Sovietica, la cultura nazionale era repressa.
I cittadini avevano due scelte: parlare russo o abbandonare l’idea di laurearsi». Non mancano neppure strafalcioni figli di una «grave sciatteria»: Kharkiv, ad esempio, è scritta Kharkov seguendo la grafia russa, oppure Odessa è posizionata in Crimea. «Sono cose che restano nella memoria dei ragazzi», conclude Di Pasquale.
«Bisogna insegnare a usare la testa e riconoscere tutte le forme di totalitarismo. La cultura democratica si difende anche così, ma in Italia si parla solo di nazismo».
Per Putin la guerra non è un mezzo, è il fine (ilfoglio.it)
Piccola Posta
È il motivo per cui continua a ricoprire l’Ucraina di bombe, anche se una soluzione negoziata è in vista. Per lui la distruzione è un piacere, come per Netanyahu
Ma se anche per Putin una soluzione negoziata, prima o poi, è in vista, perché continua a coprire l’Ucraina, e anzi rincara, di droni, razzi, missili, bombe? Be’, perché bombardare, distruggere, uccidere, non è un mezzo per ottenere un fine, è il fine. Più precisamente: è un vero piacere.
Per lui in Ucraina, vieni per Netanyahu a Gaza. E’ duro smettere, quando ci si è preso tanto gusto.
Inseguendo un pugno di consensi in più (corriere.it)
di Aldo Grasso
Padiglione Italia
Come possiamo definire un populismo che si fonda sui sondaggi?
Populismo demoscopico? Populismo al quadrato? Gli esempi di politici molto sensibili agli umori dell’elettorato sono molti, non serve fare nomi, l’elenco sarebbe troppo lungo.
Appena i sondaggi riferiscono che gli italiani sono stanchi della guerra (come se la stessero combattendo loro), si scoprono ultrapacifisti. C’è persino chi arriva a difendere Putin, ribadendo che lo zar del Cremlino può permettersi di non andare in Turchia perché «vittorioso sul campo».
Vero è che oggi la comunicazione dei partiti è molto fluida e la linea politica sovente mutevole perché prevalgono il marketing, l’aria che tira, la spregiudicatezza. Sempre più spesso, i sondaggi vengono usati non come mezzo di conoscenza delle tendenze dell’opinione pubblica ma come cinica lusinga degli umori. Parteggiare per Putin o per Trump equivale alla «genialata» del 110%.
Partiti, Populismo e sondaggi: i politici (troppo) sensibili agli umori dei votanti
Nessuna idealità, nessuna progettualità, solo la pura convenienza, solo scelte azzardate dal punto di vista politico e morale pur di sbarcare il lunario per qualche consenso in più. È il populismo demoscopico che si va diffondendo a destra come a sinistra.
Da etimo, lo scrupolo è un sassolino nella scarpa della coscienza: in politica, non avere scrupoli significa fare strame degli scrupoli altrui.