Mattarella denuda le ipocrisie populiste su Ucraina e Israele (linkiesta.it)

di

In difesa del multilateralismo

Le ambiguità italiane sulla Russia rischiano di compromettere anche l’unità dell’Europa

Nel rivolgersi al Bundestag, ieri, in occasione della giornata del lutto nazionale, ricordando i milioni di caduti e le responsabilità di Italia e Germania nello scatenamento della Seconda guerra mondiale, il capo dello stato Sergio Mattarella ha scelto di parlare di oggi, con due riferimenti precisi, all’Ucraina e alla Palestina: «Deportazioni, genocidi, hanno caratterizzato la Seconda guerra mondiale.

Da allora, il volto della guerra non si riflette soltanto in quello del combattente, ma diviene quello del bambino, della madre, dell’anziano senza difesa. È quanto accade, oggi, a Kiev, a Gaza». Nella sua appassionata difesa delle istituzioni multilaterali, del diritto e della Corte penale internazionale, Mattarella ha dato una lezione di chiarezza e coerenza capace di scandalizzare tanto il pacifismo fasullo dei filoputiniani, che confondono la pace con la resa alla legge del più forte, quanto l’ipocrisia dei sostenitori di Benjamin Netanyahu, per i quali non c’è atrocità che il governo israeliano non abbia il diritto di commettere.

«Nessuna “circostanza eccezionale” può giustificare l’ingiustificabile: i bombardamenti nelle aree abitate, l’uso cinico della fame contro le popolazioni, la violenza sessuale. La caduta della distinzione tra civili e combattenti colpisce al cuore lo stesso principio di umanità. È l’applicazione sistematica della ignobile pratica della rappresaglia contro gli innocenti».

Per rafforzare il messaggio, il presidente della Repubblica cita le parole di Robert Jackson, procuratore nel processo di Norimberga: «Se riusciremo a imporre l’idea che la guerra di aggressione è la via più diretta per la cella di una prigione e non per la gloria, avremo fatto un passo per rendere la pace più sicura».

Mi sembrano queste, ancor più delle parole sui dottor Stranamore che ci vorrebbero fare amare la bomba, chiaramente riferite a Donald Trump, le affermazioni più significative del discorso di Mattarella, tanto più importanti nel momento in cui la posizione del nostro governo sulla difesa dell’Ucraina mostra, ancora una volta, tutta la sua ambiguità politica e morale.

E rischia di compromettere la stessa unità dell’Europa, già di per sé niente affatto scontata, come si è visto tre giorni fa nell’ultimo infruttuoso vertice E5 sulla difesa tra Italia, Francia, Germania, Polonia e Gran Bretagna.

Altro scivolone di Gratteri su Falcone: «Non voleva le carriere separate». Ma cita un discorso in cui dice l’esatto contrario (open.online)

di Ugo Milano

L’8 maggio 1992 Falcone parla del pm come una 
figura che ha bisogno di «un regolamento 
differente» rispetto ai giudici. 
E, come fa notare Il Dubbio, sottolinea come questo non comporti un’assoggettamento al potere esecutivo

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha tirato in ballo ancora una volta Giovanni Falcone per dimostrare la presunta contrarietà del magistrato ucciso da Cosa Nostra alla separazione delle carriere tra pm e giudici. Secondo il quotidiano Il Dubbio, però, Gratteri ha travisato ancora una volta il pensiero del giudice.

Un’altra gaffe, insomma, dopo quella già incassata durante DiMartedì su La7, dove aveva citato una presunta frase di Falcone in realtà mai pronunciata.

Il discorso di Falcone due settimane prima dell’attentato

Gratteri nell’ultima citazione di Giovanni Falcone fa riferimento all’intervento del magistrato all’Istituto Gonzaga dei gesuiti di Palermo. Era l’8 maggio 1992, due settimane dopo Falcone sarebbe stato ucciso con sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta nella strage di Capaci. I giornalisti del Dubbio Davide Vari e Damiano Aliprandi rimproverano a Gratteri di aver estrapolato solo poche frasi di quell’intervento, decontestualizzandolo del tutto «per dimostrare l’indimostrabile».

Ma è nel discorso integrale che emerge cosa volesse davvero dire Falcone e quale fosse la sua posizione sull’autonomia della magistratura dalla politica. In particolare, come fanno notare i giornalisti, Falcone parla apertamente degli attacchi subiti da parte di colleghi magistrati proprio «per essersi schierato a favore delle carriere separate».

La posizione di Falcone: «Il pm non può giudicare, ha bisogno di regole diverse»

«Il pubblico ministero è sì un organo giudiziario ma, non essendo titolare della potestà di giudicare, neppure può dirsi giudice in senso tecnico. Quali che possano essere nel concreto le soluzioni da adottare, un punto mi sembra fondamentale: il pm deve avere un tipo di regolamentazione differente da quella del giudice, non necessariamente separata», dice quel giorno Giovanni Falcone. «E ciò non per assoggettarlo all’esecutivo, come si afferma, ma al contrario per esaltarne l’indipendenza e l’autonomia.

Fra gerarchia e indipendenza c’è tutta una serie di figure intermedie che possono fare in modo che l’indipendenza sia finalizzata al raggiungimento degli scopi per cui il pubblico ministero è stato creato». Il messaggio dunque sembra chiaro: la figura del magistrato requirente deve essere secondo Falcone nettamente distinta da quella del magistrato giudicante. Ma questo non significa in nessun modo renderla preda del potere politico.

La necessità di unione tra i corpi dello Stato: «La separatezza crea problemi»

«Indipendenza ed autonomia, se per un verso devono essere strettamente legate all’efficienza dell’azione della magistratura, dall’altro non significano affatto separatezza dalle altre funzioni dello Stato. Io credo che prima o poi si riconoscerà che non è possibile una meccanicistica separatezza perché ciò determina grossi problemi di funzionamento e di raccordo», sostiene ancora Falcone.

La separatezza di cui bisognerebbe liberarsi, fa notare Il Dubbio, non è quella tra giudice e pm ma tra i diversi poteri dello Stato, che nella visione di Falcone vivono ciascuno di vita propria vanificando così ogni tentativo collaborativo verso il medesimo traguardo.

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Su Venezi e Diop la destra getta la maschera (ilmanifesto.it)

di Cristiano Chiarot

Arte e politica 

Per difendere l’indifendibile si danno, con convinzione, la zappa sui piedi. Il sovrintendente potrebbe cogliere la palla al balzo per revocare la nomina alla Fenice

I senza vergogna sono sempre alla ribalta, la famiglia canterina della destra per attaccare Mia Diop e difendere Venezi, butta la maschera, da primi della fila della classe degli asini svelano i loro vizi. La band di Renzo Arbore non finiva mai nel divertirci al ritmo di una geniale ironia, questi da «arrivano i nostri a cavallo d’un caval» per difendere l’indifendibile si danno, con convinzione, la zappa sui piedi, a dimostrazione che, per fortuna, il taffazismo non è solo a sinistra.

Con gesto melodrammatico esponenti politici e commentatori di destra si stanno stracciando le vesti, paragonando la scelta della nomina di Diop a vicepresidente della Toscana, a quella del neo direttore musicale della Fenice di Venezia.

Ma come? I Fratelli d’Italia non ci avevano spiegato che quella di Venezi nulla aveva a che fare con la politica ? «Non è una nomina politica, ma prevista dalla legge», Mollicone, presidente commissione Cultura Camera dei deputati. «Venezi dimostrerà le sue capacità non perché è donna, non perché è di destra, ma perché è un bravissimo direttore», Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione FdI. «Venezi diventerà la principessa di Venezia», ministro Giuli. E pensare che Venezia per undici secoli è stata una Repubblica, e come principessa, solo durante la dominazione austriaca, ha, indirettamente, avuto la celebre Sissi. Altre storie.

Una donna, dunque, che pur giovane, ha già alle spalle anni di impegno politico, viene nominata dal neo rieletto presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, come sua vicepresidente: nomina politica, legittimata dalla vittoria ottenuta nelle ultime elezioni.

Ora, con il garbo e l’ educazione civile che lo contraddistingue, il generale Vannacci, ormai un tutto insieme di nome e cognome, senza essere ancor sceso da cavallo dell’ultima batosta elettorale presa in Toscana, come un cane arrabbiato abbaia contro Diop, 23 anni, di origini senegalesi, e sulle sue competenze.

E i giovani che devono essere aiutati a formarsi? E la costruzione di una nuova classe dirigente? Sciocchezze, evidentemente. Ma lui che competenze ha, tranne quelle militari? Non certo strategiche, politiche e men che meno culturali, vedi le sue ultime esternazioni sul fascismo.

La sua competenza ha ridotto il suo partito in Toscana al 4,4 per cento. Mentre una outsider di sinistra come Antonella Bundu, che impegnandosi sul territorio, senza mai apparire in tv o sui grandi giornali, ha portato a casa il 5,2 per cento. Se le capacità si misurano dai risultati, il condottiero fascio-leghista dovrebbe starsene a casa sua. Invece no, se la prende con Diop e cita Venezi. Mettendo nei guai i suoi stessi alleati, che neanche sotto tortura ammetterebbero che quella della direttrice lucchese è una nomina politica.

Svelato l’arcano, dunque, che tanto ben nascosto non era. Con buona pace dello sfortunato sovrintendente Nicola Colabianchi, quello che tutti pensano è ormai certificato, la nomina del neo direttore musicale di tecnico o artistico, non ha niente, è mera politica.

Questo è normale amministrazione per Diop, non lo è affatto per il ruolo alla Fenice, che prevede il possesso di ben precise caratteristiche. Il sottosegretario Mazzi, tra le sue recenti umoristiche ed umorali esternazioni ha dichiarato che la nomina di Venezi è di sola competenza del sovrintendente e che il Ministero «non intende interferire».

Il sovrintendente potrebbe cogliere la palla al balzo per questa sua riconosciuta autonomia, revocare la nomina e riportare pace e serenità alla Fenice e nel mondo lirico italiano. «Il coraggio è l’unica virtù che non necessita giustificazione» (Oscar Wilde).

La gratitudine non sarà piccola.

Mia Diop e Beatrice Venezi

Le tendenze no vax e lo sgarbo a La Russa, chi è Federica Picchi, la sottosegreteria di Fdi sfiduciata in Lombardia (ilfoglio.it)

Liti nel centrodestra

La mozione presentata dal Pd è stata approvata dal consiglio regionale lombardo con almeno 20 franchi tiratori di maggioranza.

Tuona il deputato di FdI Donzelli: “E’ un fatto grave, un problema di lealtà. Se uno ha un problema politico lo dice chiaramente”

Sfiduciata, ma dalla propria maggioranza. La vicenda, dai contorni clamorosi, arriva dalla Lombardia. Nella giornata di ieri, il consiglio regionale ha infatti approvato una mozione di sfiducia nei confronti di Federica Picchi, sottosegretaria allo Sport e ai Giovani ed esponente di Fratelli d’Italia.

La proposta è stata presentata da Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd in consiglio. E fin qui nulla di strano. La notizia è pero che la mozione è stata approvata grazie al voto segreto: con 44 voti favorevoli e 23 contrari, facendo nascere un caso politico.

Al momento del voto infatti erano presenti 43 consiglieri della maggioranza di centrodestra e 24 della minoranza. Insomma, risultano almeno 20 franchi tiratori che, votando con le opposizioni, hanno impallinato la sottosegretaria. Ora starà al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana valutare cosa fare con la rimozione della sottosegretaria.

Federica Picchi, spezzina di 50 anni, si è laureata all’Università Bocconi di Milano e e dopo alcune esperienze a Milano e a Londra come analista finanziario, ha fondato nel 2010 Dominus Production, società di produzione e distribuzione filmica e casa editrice per la diffusione di storie vere. Dopo esser stata consigliere del gruppo comunicazione ed editoria di Assolombarda è stata nominata sottosegretaria allo Sport e ai Giovani nel luglio del 2024.

Non è certo la prima volta che il suo nome finisce al centro delle cronache, almeno di quelle locali. Nei giorni scorsi aveva ricondiviso sui suoi profili social delle storie del dipartimento di Salute americano guidato da Robert Kennedy Jr sulla correlazione tra l’autismo e il vaccino per l’epatite B, generando una dura contestazione da parte delle opposizioni, non a caso nel testo della mozione veniva considerata “non adeguata la sua permanenza in carica, in quanto le sue affermazioni ledono l’integrità istituzionale e la credibilità delle politiche regionali in materia di salute pubblica”.

Nonostante ciò, le tesi considerate “antiscientifiche” dall’opposizione non sono mai state ritrattate. Ragione per la quale i consiglieri “pro-vaccini” di Forza Italia potrebbero aver sostenuto la mozione. La sottosegretaria, vicina alle sorelle Meloni, è toscana e non sembra essere molto apprezzata anche all’interno del partito per alcune gestioni organizzative: recentemente ha rimosso la sua capo segreteria Roberta Capotosti, molto vicina al presidente del Senato Ignazio La Russa. 

A convincere Pierfrancesco Majorino a presentare la mozione di sfiducia, sarebbe stata l’ennesima assenza di Picchi alla commissione consiliare dedicata allo sport il 15 ottobre, dove si discutevano temi importanti come il parere sulla misura “Dote Sport” e sulla partecipazione lombarda ai Giochi olimpici giovanili. A seguito della mancata partecipazione, infatti, il capogruppo ha comunicato con una nota la sua decisione: “La sottosegretaria Picchi continua a fuggire e noi confermiamo l’intenzione di presentare una mozione di censura”.

Intanto Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fdi, considera “grave” il caso Picchi: “Io mi adopero sempre per gettare acqua sul fuoco, in questo caso però non posso sminuire: è un fatto grave”, noi abbiamo motivo – verificato – di credere che non sia mancato nemmeno un voto di FdI, quindi è evidente che gli alleati hanno detto una cosa e ne hanno fatta un’altra. FdI non ha mai fatto mancare né lealtà né generosità. C’è un tema aperto anche perché difficile pensare che i vertici di FI e Lega non si siano accorti di quanto accadeva in Lombardia.

E’ un tema di lealtà – ha continuato Donzelli – Se uno ha un problema politico lo dice chiaramente, ‘abbiamo un problema politico con FdI in Lombardia perché non vogliamo sia in maggioranza’. Non credo, perché a quel punto non ci sarebbe la maggioranza”, ma “normalmente le azioni sono conseguenti alle parole. Ho fiducia nell’operato del sottosegretario e dei nostri consiglieri tutti convinti a difenderla. Per me deve andare avanti ma il tema non è il caso specifico ma capire se c’è lealtà o no”. Se è un segnale in vista delle prossime regionali in Lombardia? “Non sarebbe intelligente – conclude – visto che stiamo governando insieme”.

Sorridono invece le opposizioni: “È un no secco alle sorelle Meloni e arriva il giorno successivo la visita non casuale ai consiglieri di Arianna Meloni e Giovanni Donzelli. Sono venuti qui a serrare le file a sostegno di Picchi, evidentemente senza successo. Fontana prenda atto del voto e rimuova Picchi“, ha commentato il capogruppo Majorino.

(FOTO Ansa)