di Fabrizio Roncone
Il racconto
Giuseppe Conte ha dato appuntamento alla sua gente in piazza Vittorio, nel modaiolo quartiere Esquilino, multietnico, multivip, quindi anche multi problematico.
Questa è molto di più d’una manifestazione contro il piano europeo per il riarmo. Questa è anche una formidabile prova di forza politica.
Marco Travaglio sta per salire sul palco, ma la folla l’ha già avvistato e ondeggia eccitata, ci sono grida di evviva e certe che gli mandano baci strazianti. Lui — lo conoscete, non è esattamente un tipo schivo — risponde con sorrisi languidi. I fotografi cercano un primo piano del divo grillino.
Mischione, bolgia, gomitate. Ma quella non è la Taverna? «Ahò, ammazza quanti semo!». Si, è lei. Cronaca battente. Dettaglio fondamentale: il colpo d’occhio sul corteo della pace a 5 Stelle, che lentamente continua a inondare via dei Fori Imperiali, è magnifico. E inatteso, imprevisto, clamoroso.
Cronisti in circolo, adesso, dietro alle transenne. Vediamo di interpretarla bene: questa è molto di più d’una semplice manifestazione contro il piano europeo per il riarmo. Questa è anche una formidabile prova di forza politica. È Giuseppe Conte che dice a Elly Schein: guarda di cosa sono capace. E tu dovresti essere l’eventuale candidata premier?
Siamo arrivati qui sfilando, da subito, tra indizi scabrosi e perverse suggestioni, tenendo a mente una domanda spinosa, piena di politica primordiale: che razza di pacifisti sono questi grillini?
Giuseppe Conte — ricordatevi che siamo dentro la sua prima manifestazione da quando ha preso il comando del Movimento — è noto per avere in testa una strana idea di pace. Nei giorni in cui quel criminale di Putin invase l’Ucraina, e i suoi carri armati erano ormai a dieci chilometri da Kiev, fosse stato per lui, per l’avvocato di Volturara Appula, non avremmo dovuto mandare nemmeno una fionda agli ucraini, per aiutarli a difendersi.
Non solo: il capo dei 5 Stelle è anche un vecchio, caro e fidato amico di Trump, («Oh, Giuseppi, my friend!»), l’uomo che sta scassando il pianeta — e perciò se state pensando che c’è più di qualche similitudine con le posizioni di Matteo Salvini, state pensando bene.
Conte ha dato appuntamento alla sua gente in piazza Vittorio, nel modaiolo quartiere Esquilino, multietnico, multivip (però Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, un anno fa, hanno traslocato), quindi anche multiproblematico, con la comunità cinese che vive nell’ombra di misteriosi androni e un tanfo perenne di cipolla e aglio, i bengalesi soffriggono e cucinano a tutte le ore del giorno e perciò spadellano anche mentre il corteo si forma, prende corpo, già s’intuisce che sarà grandioso, con le bandiere e gli striscioni, i cori contro la premier Meloni e la delegazione del Pd che si fa largo, mesta.
Ospiti di Michele Serra, a piazza del Popolo. E ospiti pure qui. Dal Nazareno, stavolta, hanno mandato il capogruppo al Senato, Francesco Boccia, più Sandro Ruotolo e qualcun altro, credo. Boccia avverte l’ostilità dei manifestanti, tutti pronti a portare crisantemi nel cimitero del Campo largo e a imbastire discorsi pieni di un populismo radicale (molti arrivano dal Sud e covano rancore per la fine del reddito di cittadinanza): viste tante prime pagine del Fatto esibite come vessilli, cartelli contro l’Europa matrigna, spontaneamente ignorato Trump, uno striscione affettuoso per Putin («Il popolo russo non è mio nemico»), applausi per Simone Cicalone, lo youtuber giustiziere della metropolitana romana (accompagnato, l’altro giorno, addirittura dal generale Vannacci, trattato ormai come un vigilantes qualsiasi).
E Rita De Crescenzo?
Morbosa curiosità di vedere l’influencer napoletana confrontarsi con il professor Alessandro Barbero sul piano della von der Leyen. Ma lei — con gigantesco bodyguard nero al seguito — di Barbero se ne frega: vuole parlare solo con Conte, e proporgli la sua candidatura (500 mila follower su Instagram, in effetti, sono una roba che pure due giganti della politica come Toninelli e Vito «orsacchiotto» Crimi, se la sognavano). Conte, però, la ignora. Fresco e senza cravatta, al diavolo la celebre pochette, risale il corteo per andare a salutare la delegazione del Pd (e a farsi baciare la pantofola).
Qualcuno ha visto Di Battista? No (Dibba, ormai, va solo nei talk dove pagano un gettone di presenza). E la Raggi? Lei ha fatto sapere di aver un altro impegno (si, vabbè). Da qualche parte dovrebbe esserci pure il professor Montanari. Michele Santoro c’è, e avanza tra gli incoraggiamenti. «Miche’, non mollare» (e quando mai).
Da sotto il palco, improvvisa botta di nostalgia canaglia. Guardando verso la Salita del Grillo, ecco laggiù l’hotel Forum: con il pensiero che corre a Beppone. Ti ricordi? Sceglievi sempre la suite con vista sul Colosseo e poi scendevi a sghignazzarci in faccia, dicendo che noi cronisti eravamo servi, fantasmi, lombrichi, solo vermi schifosi al cospetto del comico visionario che avrebbe abolito la povertà (come poi urlò quel genio di Luigi Di Maio affacciato dal balcone di Palazzo Chigi) e cambiato l’Italia.
Invece — giusto il tempo di inoculare nelle vene degli italiani il tremendo virus dell’Uno vale Uno, di sfondare la nostra economia — e sei sparito. Puff! Ti sei fatto sfilare il partito da Conte e ora noi stiamo proprio sotto il suo palco, infilati in una manifestazione che tiene insieme anche pezzi di pacifismo arcobaleno (Paolo Cento) e la coppia di Avs Bonelli&Fratoianni (il leader sinistrorso sfottuto da tutti per la Tesla di famiglia, «Attento che te la righiamo, eh?»).
Adesso, comunque, sta parlando Travaglio: «Quanti pacifinti putiniani!». Poi, compiaciuto, legge due lettere di saluto che gli sono state consegnate dalla Ferilli e dalla Morante (il povero Rocco Casalino assiste radioso: in tutto questo sfavillante casino grillino, Conte — per mesi — gli aveva ordinato di farsi vedere il meno possibile).