di Enrico Marro
L’intervista
Renzi: «Una guerra ideologica, il referendum non cambierà nulla Ma sul Jobs act campagna per il no La sinistra parli di salari e bollette»
L’ex premier: Landini? Attacca me anziché Meloni
Senatore Matteo Renzi (Italia viva), in attesa del faccia a faccia sui referendum che lei ha proposto a Landini, proviamo un confronto a distanza. Il segretario della Cgil, nell’intervista pubblicata ieri sul Corriere, sostiene che dei 5 referendum su lavoro e cittadinanza non si stia parlando, in particolare non lo farebbero maggioranza e governo. Ha ragione?
«Ha ragione sul fatto che il governo non vuole parlarne. Ma ha sbagliato a fare una campagna ideologica, prendendo a pretesto il Jobs act. È una riforma di dieci anni fa che non c’entra nulla con la precarietà! La Cgil attacca me guardando al passato anziché attaccare la Meloni parlando del futuro. Sarebbe meglio parlare dei veri problemi di oggi che non sono i licenziamenti ma gli stipendi troppo bassi».
Lei andrà a votare e pensa che governo e forze politiche dovrebbero impegnarsi per la partecipazione al voto?
«Lo farò, ma questi referendum non cancellano il Jobs act: sono solo il simbolo di una guerra ideologica. Diciamolo chiaro: se vince il sì non è che sui licenziamenti torna l’articolo 18 dello Statuto, cioè il reintegro nel posto di lavoro, ma si torna alla legge Monti-Fornero, che prevede sempre un indennizzo, ma con un tetto più basso, non le 36 mensilità di adesso, ma 24 mesi».
Lei ha detto che il quorum non si raggiungerà «nemmeno col binocolo». Con quali conseguenze?
«Non cambierà nulla e tutti, dopo una settimana, si dimenticheranno di questa prova. Ma io la prendo sul serio e faccio campagna per far capire che il Jobs act non può essere imputato della precarietà, che c’era prima e c’è ora, ma ha invece dato alle aziende certezze giuridiche e ai lavoratori più tutele, come la Naspi. Senza dimenticare che quella stagione di riforme, mutuata dall’esperienza di Obama negli Usa, semplificò le assunzioni, diede 80 euro al mese al ceto medio, industria 4.0 alle imprese, tagliò l’Imu sulla prima casa e l’Irap sul costo del lavoro. Nel 2015 quella stagione di riforme è stata utile al Paese. Non mi stupiscono Landini e Schlein che erano contro già allora. Ma mi sconvolge l’ipocrisia dei presunti riformisti del Pd che non hanno il coraggio di difendere il Jobs act perché hanno paura di non essere ricandidati».
Tra i democratici
Ipocrisia dai presunti riformisti, non difendono il Jobs act per paura di non essere ricandidati
Come voterà Renzi sui 5 referendum?
«No all’abrogazione sui due quesiti che riguardano il Jobs act, quello sui licenziamenti e quello sulla reintroduzione delle causali nei contratti a termine: non è burocratizzando che si favoriscono le assunzioni, ma incentivando i contratti a tempo indeterminato dal lato fiscale e delle regole. Sulla responsabilità solidale delle aziende negli appalti e sulla rimozione del tetto all’indennizzo nelle piccole imprese stiamo parlando di riforme che non sono del mio governo: lasceremo libertà di voto. Infine, sul dimezzamento da 10 a 5 anni del periodo di residenza necessario per chiedere la cittadinanza italiana voteremo sì, per dare più diritti, ma anche più doveri a chi vive e lavora nel nostro Paese».
Maurizio Landini dice che, in caso di vittoria dei sì, si aprirebbe una fase dove sarebbe più facile fare le leggi sulla rappresentanza sindacale e sul salario minimo. È così?
«Macche! E la verità è che non ci crede neppure lui. Per rovesciare il governo Meloni attacca il governo Renzi? Ora è vero che questo governo non ha fatto una riforma che sia una. Ma ricordo sommessamente al segretario della Cgil che sul Jobs act la Meloni e Salvini la pensano come lui. Fratelli d’Italia e la Lega hanno votato contro il Jobs act esattamente come Schlein e Cinque Stelle.
E quindi che cosa propone alla Cgil e più in generale al centrosinistra?
«Se vogliono mandare a casa il governo parliamo di salari, bollette, pensioni. E soprattutto parliamo dei 191mila che hanno lasciato l’Italia nel 2024: è una fuga senza precedenti. Se il centrosinistra vuole tornare a vincere le elezioni non può cacciare i riformisti. La lezione del Canada con Mark Carney e le dichiarazioni di Tony Blair dimostrano che si vince al centro. Chi pensa di vincere solo valorizzando l’estremismo di sinistra alla fine aiuta Giorgia Meloni a fare il bis. Noi non vogliamo litigare sul passato, ma vogliamo vincere sulle sfide del futuro, dall’intelligenza artificiale all’innovazione tecnologica. Meno ideologia e più concretezza».