Libia: morti in mare, espulsione di MSF e lo “sportswashing” dell’Inter (nigrizia.it)

di giba

Tragedie ignorate e business milionari
Mentre i naufragi nel Mediterraneo si moltiplicano e le ONG vengono cacciate dal paese, la squadra italiana per 3 milioni di dollari va a celebrare gli Haftar, i signori della guerra.
La denuncia di Human Rights Watch. Il 2 novembre, infine, si rinnoverà in automatico il contestato Memorandum d’intesa Italia-Libia

Diciotto morti. Decine di dispersi, tra cui bambini. Un’altra tragedia nel Mediterraneo al largo delle coste libiche di Sabratha, dove un’imbarcazione di migranti è affondata lasciando 91 sopravvissuti e un bilancio che continua a salire.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha definito l’incidente “un duro promemoria del fatto che la mancanza di percorsi sicuri e legali continua a spingere molte persone a rischiare la vita in pericolosi viaggi in mare alla ricerca di sicurezza e dignità”.

Non è un caso isolato, ma l’ennesimo capitolo di una crisi umanitaria che nel 2025 ha già superato i numeri del 2024. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), dal 19 al 25 ottobre sono stati intercettati e riportati in Libia 1.273 migranti, portando il totale dell’anno a 22.509 persone – già più dei 21.762 intercettati in tutto il 2024. Di questi, 19.493 erano uomini, 1.976 donne e 832 bambini.

Drammatico il bilancio: 472 morti e 489 dispersi nel 2025.

La Libia senza più soccorso umanitario

In questo scenario di crescente emergenza, il governo di Tripoli ha ordinato a Medici Senza Frontiere (MSF) di lasciare il paese entro il 9 novembre. L’espulsione arriva senza alcuna motivazione ufficiale, attraverso una lettera del ministero degli Esteri libico che chiude definitivamente le porte all’organizzazione umanitaria.

«Non è stata fornita alcuna ragione per giustificare la nostra espulsione e il processo rimane poco chiaro», ha dichiarato Steve Purbrick, responsabile dei programmi di MSF in Libia. L’organizzazione aveva già dovuto sospendere le attività a marzo, quando l’Agenzia per la sicurezza interna aveva chiuso i suoi locali e sottoposto diversi membri dello staff a “interrogatori”.

MSF sottolinea di aver effettuato oltre 15mila visite mediche lo scorso anno in collaborazione con le autorità sanitarie libiche, fornendo assistenza cruciale non solo ai cittadini libici ma soprattutto a rifugiati e migranti «esclusi dalle cure e soggetti a detenzione arbitraria e gravi violenze».

Cacciate altre nove ONG

La loro espulsione si inserisce in un quadro più ampio di repressione: «Questa ondata ha colpito anche altre nove organizzazioni umanitarie che operano nella parte occidentale del paese», denuncia MSF.

Il risultato è devastante: «In un contesto di crescenti ostacoli all’intervento delle ONG, di drastici tagli ai finanziamenti per gli aiuti internazionali e di rafforzamento delle politiche europee sulle frontiere in collaborazione con le autorità libiche, non ci sono più ONG internazionali che forniscano assistenza medica ai rifugiati e ai migranti nella Libia occidentale».

Il rinnovo del Memorandum Italia-Libia

Tra naufragi, violazioni dei diritti e ONG espulse, tra pochi giorni (il 2 novembre) ci sarà il rinnovo automatico del Memorandum d’intesa Italia-Libia, originariamente firmato il 2 febbraio 2017 dal governo Gentiloni con Marco Minniti come ministro dell’Interno.

Questo accordo è alla base della strategia italiana di contrasto all’immigrazione irregolare attraverso la cooperazione con la Libia, in particolare con la guardia costiera libica.

Nonostante le numerose denunce di violazioni sistematiche dei diritti umani e crimini contro i migranti e nonostante le recenti manifestazioni nelle piazze italiane, il governo Meloni ha confermato la volontà di mantenere il Memorandum.

La sua approvazione è stata sostenuta dalla maggioranza in parlamento, che ha respinto mozioni di opposizione che chiedevano di sospendere il rinnovo automatico e di rivedere l’accordo.

A partire dal 2 febbraio 2026, se non interviene una disdetta formale entro il 2 novembre, il Memorandum sarà quindi in vigore per altri tre anni, continuando a fornire sostegno economico, politico e logistico alla guardia costiera libica nonostante le critiche di organizzazioni umanitarie e osservatori internazionali per i gravi abusi commessi.

Mentre si muore in mare, l’Inter celebra Haftar

In questo contesto di drammatica emergenza umanitaria, dove le vite dei migranti valgono sempre meno e le organizzazioni che cercano di salvarle vengono espulse, uno dei principali club calcistici italiani ha scelto di volare a Bengasi per intrattenere i signori della guerra locali.

Il 10 ottobre, l’Inter ha affrontato l’Atletico Madrid nello stadio internazionale di Bengasi in un’amichevole battezzata “Coppa della Ricostruzione”. Compenso per entrambe le squadre: 3 milioni di euro ciascuna.

Le accuse di Human Rights Watch

Il 29 ottobre Human Rights Watch non ha usato mezzi termini: si tratta di “sportswashing”, l’uso dello sport per ripulire la reputazione di chi commette gravi violazioni dei diritti umani.

La partita è stata presentata da Khalifa Haftar, comandante delle Forze armate arabe libiche (LAAF), e dal suo clan familiare, che controlla la Libia orientale e meridionale “con il pugno di ferro”.

Il Fondo per la ricostruzione e lo sviluppo della Libia, guidato dal figlio di Haftar, Belgasem, ha finanziato la ristrutturazione dello stadio da 42mila posti e coperto i costi dell’evento.

A giugno, la Camera dei rappresentanti libica aveva stanziato per il fondo un bilancio triennale di circa 12 miliardi di dollari, nonostante la crisi finanziaria del paese e la mancanza di un bilancio nazionale unificato tra i due governi rivali.

Il prezzo della complicità

«Mentre Haftar potrebbe voler distrarre il mondo dalla dilagante repressione e dalle gravi violazioni da parte delle forze sotto il suo comando, ospitare mega club europei in un torneo appariscente non nasconderà il fatto che legislatori e politici vengono fatti sparire nelle aree sotto il controllo della LAAF», denuncia Human Rights Watch.

Le Nazioni Unite hanno definito sparizioni forzate e rapimenti «pervasivi e sistematici» nelle zone controllate da Haftar, dove gli abusi contro i migranti sono dilaganti e dove persone che non sono d’accordo con il clan Haftar vengono «uccise illegalmente, detenute arbitrariamente, torturate, maltrattate e sfollate con la forza dalla LAAF e dai gruppi affiliati almeno dal 2014».

Human Rights Watch ha contattato sia l’Inter che l’Atlético Madrid il 24 ottobre per chiedere un commento sulla loro partecipazione. Nessuna risposta è arrivata al momento della pubblicazione del rapporto.

“Le società sportive devono rispettare i diritti umani”, ricorda l’organizzazione. “Questo include condurre una due diligence per identificare i rischi di contribuire a migliorare l’immagine di stati ed entità che violano i diritti umani”. Anche se le squadre potrebbero aver visto questa partita come un “riscaldamento per la Champions League”, “nulla di tutto ciò dovrebbe avvenire a scapito del riciclaggio della reputazione di gruppi irresponsabili e abusivi che commettono gravi violazioni”.

Il silenzio complice dell’Europa

La vicenda libica mette in luce una contraddizione profonda delle politiche europee: da un lato si finanziano le autorità libiche per intercettare i migranti in mare (più di 22mila nel 2025), riportandoli in un paese che nemmeno l’OIM considera un “porto sicuro”. Dall’altro si chiudono gli occhi quando i club calcistici più prestigiosi del continente volano a celebrare chi di quelle violazioni è responsabile.

Mentre MSF viene espulsa e non rimane più nessuna ong internazionale a fornire assistenza medica ai migranti nella Libia occidentale, mentre i corpi continuano ad affondare nel Mediterraneo e le autorità libiche intercettano migliaia di persone per riportarle nell’inferno da cui cercano di fuggire, l’Europa del calcio incassa i suoi milioni di euro e se ne torna a casa.

Tradire le origini dell’Inter

E la beffa maggiore arriva proprio dalla squadra nerazzurra: nel 1908 i dissidenti fuoriusciti dal Milan scelsero il nome Internazionale per sottolineare la volontà di accogliere calciatori di qualsiasi nazionalità, in contrapposizione alla linea nazionalista dei rossoneri. Era un nome che rivendicava l’apertura, l’inclusività e l’universalità dello sport oltre i confini nazionali.

Oggi l’Internazionale è solo quella del business.

(La squadra dell’Inter al suo arrivo a Bengasi. Credito Francesco Saverio De Luigi)

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