di Massimo Gramellini
Il caffè
Un giorno del 1992 Nino Benvenuti riceve una telefonata da New York.
Emile Griffith, il campione con cui da giovane si prendeva a cazzotti in mondovisione, è in pericolo di vita: stava uscendo da un ritrovo gay dell’Ottava Strada quando è stato aggredito da una banda di teppisti armati di stivali appuntiti e mazze da baseball.
Benvenuti è uomo di destra e in quel momento è anche impegnato in politica. Gli suggeriscono di abbozzare. Lui invece salta sul primo aereo e raggiunge il vecchio avversario in ospedale. Davanti alle telecamere accusa la polizia newyorchese di non voler indagare e sfida i teppisti: «Fatevi sotto, vigliacchi, mi rimetto i guantoni apposta per voi!».
Griffith sopravvive al pestaggio, ma perde un rene e durante la dialisi rimedia un’infezione al midollo. Poi arrivano l’Alzheimer, la povertà. E Nino, per pagargli le medicine, si inventa un tour teatrale sui loro tre incontri al Madison Square Garden, epica pura. Ai giornalisti dice: «Non puoi che essere amico di uno con cui hai fatto a cazzotti per 45 round».
Ricordo le immagini dell’arrivo di Griffith a Fiumicino. Un ometto tremante. Ma appena vede Nino si illumina e si appoggia a lui, staccandosi solo per mimare qualche colpo di boxe. Anni dopo, Benvenuti vola di nuovo in America per rimboccare le coperte al rivale morente, che lo lascia interrompendosi a metà di una frase.
Se esiste un paradiso degli amici, da ieri saranno lì, a finirla insieme.