Per favore basta. Basta con i servizi in cui si va dal vicino a chiedere chi era l’assassino, per sentirsi rispondere “una brava persona”. Scriverlo. mandarlo in onda. O sentirsi dire che “era una coppia felice”. Cosa ne può sapere il vicino o il barista? Scrivete di lei piuttosto.
Fateci sapere chi era questa vittima della violenza maschile. L’ennesima. Parlate di lei. Della sua vita spezzata. E non per adombrare il dubbio che, in fondo, se la sia cercata.
Nella trappola cadono anche le firme più blasonate. Si va in automatico. In fondo, la colpa è sempre della donna. La numero 95 di quest’anno. Ana, 30 anni, incinta, accoltellata, inseguita, riportata sul furgone, uccisa. L’assassino, l’uomo con cui Ana aveva una relazione, occulta il cadavere in una discarica e va al bar, poi dal barbiere. A Partinico. Le cronache, nell’immediato, dopo l’arresto dell’uomo, si basano evidentemente sulla sua confessione, su quello che racconta lui o che riferiscono gli agenti. “Ana minacciava di rivelare la relazione alla moglie di lui”. “Ana gli aveva chiesto soldi”, adombrando un ricatto. Ecco dunque, se l’è cercata.
Altra la verità che emerge grazie ad articoli più accurati: Ana aveva infatti chiesto soldi anche a un’amica, un aiuto per una gravidanza difficile. Altro che ricatto … leggi tutto