Algeria: la strage dimenticata di Setif che cambiò il destino del paese (nigrizia.it)

di Luciano Ardesi

L'8 maggio 1945 tra memoria europea e tragedia 
algerina

Mentre l’Europa festeggiava la liberazione dal nazifascismo, nella colonia francese una manifestazione pacifica si trasformò in un massacro, che aprì la strada all’indipendenza del 1962 e che segnò un punto di non ritorno nei rapporti tra Parigi e Algeri

L’Europa e il mondo occidentale celebrano oggi la resa della Germania nazista e la fine della Seconda guerra mondiale. Esattamente 80 anni fa anche gli algerini pensarono in questo 8 maggio di festeggiare quella liberazione credendo che potesse dare inizio alla propria libertà. Invece fu un massacro.

Numerosi coloni a Setif

Setif era allora una cittadina nell’est del paese, con una importante presenza di coloni francesi. La città come il resto del paese aveva vissuto la disfatta della Francia occupata dai tedeschi, la messa in piedi di un governo collaborazionista a Vichy con alla testa il maresciallo Petain e infine l’arrivo ad Algeri del generale De Gaulle e del suo Comitato per la Francia libera che porterà alla liberazione.

Il nazionalismo algerino assiste al crollo del mito della potenza francese e si interroga sulle vie a seguire. Uno dei leader, Messali Hadj, passerà del tempo nella prigione di Setif prima di essere deportato nell’aprile 1945 a Brazzaville.

Circa 170mila soldati algerini sono arruolati nell’esercito francese e partecipano alla liberazione della Francia.

Durante la campagna d’Italia 10mila algerini trovano la morte, tre volte tanti sono i feriti. L’8 maggio, il giorno della firma dell’armistizio, in molte città algerine i manifestanti sfilano scandendo parole d’ordine contro il colonialismo e il nazismo.

La manifestazione pacifica e la repressione sanguinosa

È mattina presto a Setif quando una folla di circa 10mila persone si riunisce nei pressi della moschea vicino alla stazione e prende la strada per il centro città. Disarmati, perché gli organizzatori avevano requisito loro tutto ciò che poteva costituire un’arma (coltelli, falci, ecc.), i manifestanti avanzano pacificamente chiedendo libertà e indipendenza.

L’intenzione è di far sventolare per la prima volta la bandiera algerina, ma appena appare il colore verde e bianco i gendarmi intervengono per fermare il corteo e impadronirsi della bandiera.

Per i giovani militanti è un simbolo sacro che non può essere ceduto. Il dramma precipita quando un gendarme spara al giovane scout di 22 anni Bouzid Saâl, che porta il vessillo, seguito dagli europei che fanno fuoco da un caffè e dalle finestre delle case sulla strada. I manifestanti si disperdono nel panico, una milizia di europei è subito radunata e armata. Ha inizio così la caccia al musulmano.

L’estensione del massacro e il bilancio delle vittime

Le stesse scene si ripetono nella vicina Guelma. A Kherrata, verso la costa, la notizia delle uccisioni di Setif e Guelma arrivano nel pomeriggio dell’8. Gli europei si riuniscono nella fortezza, il giorno dopo i musulmani si radunano, cercano armi per difendersi e tentano di ritardare l’arrivo dell’esercito. La violenza coloniale s’abbatte con estrema crudeltà.

Oltre ai morti per arma da fuoco e per i bombardamenti dell’aviazione, gendarmeria ed esercito compiono numerosi rastrellamenti, villaggi interi vengono rasi al suolo e incendiati, gruppi di prigionieri vengono bruciati vivi nei forni a calce. Alla carneficina partecipano anche milizie di coloni che vogliono vendicare le proprie vittime.

Di fronte a poco più di un centinaio di europei uccisi, si contano dopo alcune settimane 45mila morti tra la popolazione algerina, secondo i nazionalisti. Il più grande massacro dai tempi della conquista iniziata oltre un secolo prima.

Il seme dell’indipendenza

Più che i numeri, conta il significato di quell’eccidio poiché scava un fossato profondo tra le due comunità. Lo scrittore Kateb Yacine, che allora frequenta il liceo a Setif, partecipa alla manifestazione e verrà arrestato e detenuto per due mesi. Dirà più tardi: “Sono nato quando avevo 16 anni, l’8 maggio 1945”, e a quelle giornate dedicherà un’opera teatrale. Niente sarà più come prima perché, malgrado abbiano subito una carneficina, gli algerini hanno sperimentato l’azione collettiva, la rivolta.

E infatti 9 anni più tardi inizia la lotta di liberazione nazionale armata, la più intensa di quelle africane, che porterà all’indipendenza nel 1962. La lotta di popolo sarà diretta da una nuova generazione di nazionalisti che ha perduto, dopo Setif, ogni fiducia in una soluzione negoziata.

La ferita aperta: memoria contesa e tensioni diplomatiche

Per questo la cicatrice della memoria non si è mai rimarginata. La Francia in fondo non ha mai perdonato all’Algeria, all’epoca non una “colonia” ma un Dipartimento francese, la sua amputazione, come il popolo algerino non può dimenticare le atrocità subite. Così finita la guerra di liberazione per l’indipendenza, è continuata la guerra delle memorie.

Nel momento in cui la crisi diplomatica tra Francia e Algeria ha raggiunto l’apice, non poteva anche in questa occasione non riemergere la richiesta di una presa di posizione più netta da parte del presidente Macron della responsabilità della Francia del tragico massacro.

Il presidente Tebboune ha voluto fare dell’8 maggio una “Giornata nazionale della memoria” che si celebra ufficialmente a partire dal 2021, ed è l’occasione di un messaggio alla nazione. Così l’attuale regime algerino sfrutta la memoria di questo crimine per chiamare all’unità un paese, al “consenso nazionale”, lacerato sul piano sociale e soprattutto su quello della giustizia e della democrazia.

Copyright © Nigrizia – Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *