Il sovranismo remissivo di Meloni e i rischi della pace autoritario-compensativa in Ucraina (linkiesta.it)

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La presidente del Consiglio si trova a un bivio: 
rafforzare il posizionamento dell’Italia in 
un’Europa coesa o seguire la linea trumpiana, 
condizionando gli interessi italiani a quelli 
della tecnodestra. 

Il futuro della nostra politica estera sarà chiaro al prossimo vertice Nato

Tutte le volte che ci siamo confrontati in Parlamento sul tema della pace, principalmente a seguito dell’invasione russa in Ucraina, le tesi in campo sono state due: la prima, quella che ho sempre condiviso, sostiene che la pace si ottiene rafforzando la resistenza ucraina e più in generale attraverso la deterrenza, rafforzando la Nato e con una difesa comune europea.

La seconda si muove esattamente al contrario, una pace oserei dire sterile, fondata sul dialogo con chi non vuole dialogare se non dopo essersi preso con la forza ciò che secondo il diritto internazionale non gli spetta.

Da quando però Donald Trump si è riaffacciato nello scenario internazionale, col suo pesante ritorno alla Casa Bianca, è emersa nel mondo occidentale una terza tipologia di pace: la pace autoritario-compensativa. Quella che si costruisce attraverso la guerra, l’aggressione, la prevaricazione delle super potenze e si conserva col silenzio reciproco e con la compensazione, tu fai fare a me e io in cambio lascio fare a te.

Che poi è il modello che Xi Jinping e Putin hanno sempre immaginato e che li ha portati a considerare illegittime intromissioni le azioni delle democrazie occidentali a difesa dell’Ucraina e di Taiwan.

In questo contesto internazionale, senza voler mettere in alcun modo in discussione la nostra amicizia con gli Stati Uniti d’America, perdonatemi se non riesco in alcun modo a derubricare come folklore, goliardia, le affermazioni di Trump sulla Groenlandia e la sua voglia di conquista, oltre al paventato disimpegno su tutti i conflitti in violazione del diritto internazionale, che non sfiorano gli interessi degli americani.

Rispetto a questa terza idea ossimorica di pace autoritario-compensativa il nostro paese come si pone? L’ambiguità regna sovrana  e lo dice chi ha visto con favore il processo di conversione maturato da  Giorgia Meloni in questi anni: sull’antieuropeismo, sul filoputinismo, ad esempio.

C’è stata una benefica inversione a u che tanto bene ha fatto al nostro Paese e  che ha portato a una conferma del nostro posizionamento internazionale, mettendo da parte derive pericolose che avevano tuttavia costruito la fortuna della Presidente del Consiglio quando era all’opposizione.

Il primo gesto di coraggio per nulla scontato, al governo Draghi in avvio del conflitto russo-ucraino. Quando il processo di conversione si stava compiendo fino in fondo ecco l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e il conseguente richiamo della foresta, ciò che prima era considerato dissacrante del pensiero della Meloni, trova invece legittimazione nella guida della prima potenza al mondo.

E gli istinti primordiali che sembrava avesse sopito e lasciato al folklore salviniano che cominciava a travestirsi da Trump e a sperare nella versione Altiero Spinelli della Meloni, si sono invece improvvisamente risvegliati con l’invito al Campidoglio, unica leader europea, da parte del presidente americano.

Improvvisamente Matteo Salvini, ha cancellato il volo per Washington (a dire la verità non era mai stato invitato), per occuparsi di ciò che finora aveva tralasciato, i ritardi dei treni e la Meloni ha accettato un posto in ultima fila nel giorno dell’insediamento trumpiano. Ma adesso è lecito chiederci: quanto costerà all’Italia questo invito?

Atteso che Trump non ha invitato la presidente del Consiglio italiana per simpatia ma perché, spero sbagliando, la considera funzionale al suo progetto di indebolimento dell’Unione Europea. Un’Europa schiacciata da Trump che la vuole divisa e debole, esattamente come Putin e Xi Jinping, il quale persegue la sua politica di conquista dei mercati esteri.

In questo contesto la Meloni sceglie la strada della maturità del patriottismo europeo, del sovranismo continentale, o quella col cappello in mano, di avamposto di Trump ed Elon Musk in Europa? In Italia la svolta trumpiana si avverte tutta: la proposta di uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità di Salvini, la contrapposizione del mite Antonio Tajani alla Corte penale internazionale e la gestione della vicenda Almasri hanno tutti i caratteri di una coalizione che era stata costretta a chetarsi, ad andare contro natura e che finalmente ritrova vigore in ciò che è stata grazie al nuovo corso americano.

Nel contesto internazionale, il 3 febbraio in Belgio, al vertice Nato, capiremo di più sul nostro comportamento. Quando la Meloni si ritroverà nella stessa stanza, allo stesso tavolo, con Trump e Ursula Von der Leyen, quando non potrà giocare più parti in commedia, lì cominceremo a capirne di più.

Quando ad esempio saremo i meno trumpiani di tutti nel rispetto del due per cento di trasferimenti alla Nato per la difesa, con appena 1,57 per cento dopo due anni e mezzo di governo di destra.

Spingeremo per gli eurobond, per la sospensione del patto di stabilità o reperiremo diciotto miliardi dalle nostre casse nella prossima legge di bilancio? Lavoreremo per l’esercito europeo, per una diplomazia europea, che non sempre necessariamente potranno sovrapporsi alla Nato, visto che gli interessi americani sempre meno coincideranno con quelli europei, o continueremo a manifestare la nostra freddezza anche quando saremo lasciati soli nel Mediterraneo e nella convivenza in Europa con la Russia?

E infine, che tipo di pace immaginiamo in Ucraina: consolidare l’esistente o batterci contro l’umiliazione del popolo ucraino e per l’ingresso nella Nato e nell’Ue, naturalmente se gli ucraini vorranno?

Intanto la Meloni si fa portatrice di un sovranismo senza spina dorsale, da praticare a corrente alternata e solo per concessione di un altro stato sovrano che ha interessi propri da tutelare. E mentre noi in Parlamento votiamo un altro decreto per sostenere l’Ucraina militarmente, Trump congela l’invio di armi all’estero, fatta eccezione per Egitto e Israele.

L’Europa ha tanti limiti, ma quando si è trattato di difendere l’Ucraina non si è voltata dall’altra parte e non si è divisa, nonostante gli interessi non sempre fossero convergenti tra i Paesi membri.

L’auspicio è che lo stesso orgoglio venga mantenuto quando Putin e Trump decideranno di sedersi a un tavolo a discutere del futuro dell’Ucraina, speriamo presto, una discussione che dovrà vedere protagonista l’Ucraina e l’Europa, con la stessa dignità e nonostante i vassalli.

L’Argentina vuole depenalizzare il femminicidio: «Crea privilegi e mette metà della popolazione contro l’altra». Così Milei si allinea a Trump (open.online)

di Alba Romano

Come il presidente Usa, anche l'omologo argentino 
sta pensando a un piano più ampio per smantellare 
le conquiste dei movimenti femministi

Via la norma sul femminicidio dal codice penale. È l’ultima trovata del governo voluto da Javier Milei, entrato in carica il 10 dicembre 2023 in seguito alle elezioni presidenziali.

Per il ministro della Giustizia Mariano Cúneo Libarona, la norma attuale implica «una distorsione del concetto di uguaglianza che crea solo privilegi, mettendo metà della popolazione contro l’altra», si legge su X.

«Questa amministrazione difende l’uguaglianza davanti alla legge sancita dalla nostra Costituzione nazionale – continua -. Nessuna vita vale più di un’altra».

Per modificare la normativa attualmente in vigore in Argentina – che prevede un aumento di pena per l’omicidio di donne legato a motivi di genere – è necessario approvare un legge in parlamento, dove però il governo è in minoranza, e osteggiato dall’opposizione di centro-sinistra, che aveva introdotto pene più severe per il femminicidio quando era al potere.

Stando ai dati dell’ufficio del difensore civico, dal 1° gennaio al 15 novembre dello scorso anno (ultimi dati disponibili) in Argentina si sono verificati 252 femminicidi. Il rapporto indica che il 66% delle vittime sono state uccise in casa, mentre nell’84% è stata accertata una precedente relazione con l’autore del reato.

«Questo farà Trump, questo sta facendo l’Argentina»

Nel suo intervento al Forum economico mondiale di Davos, Milei aveva criticato il concetto di femminicidio poiché, stando alle sue parole, «legalizza che la vita di una donna vale più di quella di un uomo». Più in generale, il discorso del presidente argentino, il 23 gennaio scorso, era stato caratterizzato da una lunga condanna alla cosiddetta «agenda woke» e al «femminismo radicale», bollati come «un cancro e un virus mentale che va curato».

La depenalizzazione potrebbe inserirsi, scrivono i media argentini, in un piano più ampio con cui il governo intende eliminare qualsiasi riferimento normativo a quote riservate, come ad esempio nel lavoro, così come la possibilità di prevedere il genere non binario nei documenti di identità.

Una mossa che ricalca quella di Donald Trump, impegnato nella sua crociata anti-aborto e contro tutte le politiche che propongono una visione aperta e fluida dell’identità di genere. «Questo farà Trump, questo sta facendo l’Argentina», le parole di Milei a Davos. Detto, fatto.