Dare un senso all’azzardo di Zelensky, che può dar fiato o costare troppo (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola Posta

L’audace incursione ucraina nella regione russa di Kursk, che ha colto di sorpresa l’esercito russo, attira l’attenzione sulla capacità di iniziativa dell’Ucraina: ma quanto potrà durare?

Kursk diede il nome a una delle più decisive battaglie della Seconda guerra, vinta dall’Armata Rossa nel luglio del ’43. In suo ricordo diede il nome a uno dei più efficienti sottomarini nucleari russi.

Nel 2000, durante un’esercitazione nel Mare di Barents, i suoi siluri esplosero a bordo e portarono a fondo la nave e i 107 uomini d’equipaggio.

Quando scrivo, è difficile riconoscere un proposito strategico nell’incursione – l’invasione… – delle forze armate regolari ucraine nella regione russa di Kursk. Tutte le ipotesi degli esperti sembrano poco plausibili. Così il proposito di alleggerire la pressione sul fronte di Pokrovs’k e sul resto della frontiera meridionale, richiamandone le truppe nel Kursk.

Così l’intento di occupare stabilmente un pezzo di territorio russo da far pesare in un futuro negoziato: tre giorni di combattimenti sono un fatto rilevante, ma è improbabile una resistenza prolungata degli ucraini alla riorganizzata reazione russa. Si potrebbe immaginarla se l’occupazione riguardasse un centro abitato più grande di Sudzha, che è attorno ai 6 mila abitanti, e di cui si dice che una parte sia caduta in mano ucraina.

Una città popolosa occupata dalle forze ucraine renderebbe arduo il bombardamento indiscriminato da parte russa, ma una simile prospettiva non sembra realistica. Scartate queste e altre ipotesi, compresa un’avanzata sulla centrale nucleare del Kursk che si trova a 60 chilometri di distanza, resta il colpo gobbo inflitto all’arroganza militare e politica russa dalla sorpresa ucraina.

Sul confine tra la provincia ucraina di Sumy e quella russa di Kursk, a nord di Kharkiv, si paventava un disegno russo di avanzata imminente.
Fra i due capoluoghi, Sumy e Kursk, la distanza in linea d’aria è di soli 133 chilometri.

A maggior ragione, bisognava ritenere che lo stato maggiore russo avesse il controllo pieno del territorio. E proprio là, sotto i suoi occhi, gli ucraini hanno saputo radunare le forze scelte di due brigate e mandarle per 10 chilometri – o 15, o 20 – oltre la frontiera, con un dispiegamento di mezzi corazzati, senza trovare resistenza.

Per giunta, meno di un mese fa le autorità russe avevano gridato all’allarme per “un’operazione segreta di Kyiv” sospettandone una complicità degli Usa, che si erano affrettati a rassicurarle – e, implicitamente o no, ad ammonire gli alleati ucraini a controllare la gittata di pensieri e bocche da fuoco.

I proclami del generale in capo Valerij Gerasimov e colleghi sulle trionfali operazioni per fermare l’avanzata ucraina, lungi dall’attenuare, esaltano la malaparata. Il prestigioso Gerasimov dormiva, l’ex ministro della Difesa Shoigu stava da commesso viaggiatore a Teheran, a portare il compassionevole messaggio di Putin agli ayatollah – “risparmiate i civili”…

Putin, titolare dell’invasione di un territorio vasto due volte l’Italia, ha deplorato “una provocazione su larga scala”.

Il pagliaccio Medvedev – non che gli altri lo siano meno, a lui hanno dato la casacca – ha tuonato che, basta con l’operazione speciale, ora bisogna marciare extraterritorialmente fino a Kyiv “e oltre”. Reazioni appena meno esose si registrano anche da noi, di scandalo per la Russia invasa “dai nazisti”, o di deplorazione ennesima per la sfida alla potenza atomica.

Gli americani, cui ogni tanto succede di essere spiritosi, hanno detto che si informeranno sulle intenzioni degli ucraini. L’Europa ha detto che gli ucraini hanno il diritto di difendersi anche un po’ oltre la frontiera.

Forse il risultato maggiore di una mossa ardita se non temeraria è in questa rivelazione ennesima della condizione psicologica delle diverse parti in causa. La leadership ucraina e Zelensky personalmente avevano bisogno di dirottare l’attenzione su una propria capacità di iniziativa. È un azzardo, può dare fiato alla difesa e all’affannato sostegno interno e internazionale, o costare troppo. Ha reso attuale l’impensabile.

Non era così con le incursioni, davvero tali, dei “volontari” russi antiregime a Belgorod. C’era un solo gran precedente: la marcia irresistita di Prigozhin sulla strada di Mosca e la fuga di Putin, finché l’impostore si era spaventato della propria ombra e aveva consegnato sé e i suoi al patibolo.

Da Rostov sul Don a Mosca ci sono 1.000 chilometri, quei mercenari si erano fermati a 200 chilometri dal Cremlino. Da Kursk a Mosca ce ne sono circa la metà, e gli ucraini ne hanno coperti 10, forse 15. Parecchi.

(Ansa)

Che cosa sappiamo dell’offensiva ucraina in territorio russo (linkiesta.it)

di

Avanzata gialloblù

Martedì scorso è iniziata un’operazione militare che ha portato l’esercito di Kyjiv nella regione russa di Kursk. Potrebbe essere una mossa legata a ragioni solo belliche, oppure potrebbe dare a Zelensky una posizione più favorevole in caso di future negoziazioni

L’Ucraina sta tentando di portare la guerra in Russia, spingendo l’incursione nella regione di Kursk. Le forze armate di Kyjiv hanno conquistato circa trecentocinquanta chilometri quadrati, in quella che sembra l’operazione militare più grande in territorio russo dall’inizio del conflitto.

Dopo aver avanzato per mesi nell’est dell’Ucraina, martedì 6 agosto le truppe di Mosca sono state colte di sorpresa da una controffensiva inattesa, che ha spinto il governatore della regione di Kursk, Alexei Smirnov, a dichiarare lo stato di emergenza.

Dopo due giorni di silenzio Mykhailo Podolyak, portavoce della presidenza ucraina, ha commentato per la prima volta l’operazione, dicendo che «la causa principale di ogni escalation, di ogni bombardamento, di ogni azione militare anche nelle regioni di Kursk e Belgorod è esclusivamente l’inequivocabile aggressione della Russia».

Non è la prima volta che l’Ucraina colpisce via terra il suolo russo ma, mentre le precedenti incursioni erano guidate da milizie filo-ucraine composte da dissidenti russi, l’attacco di martedì sembra aver coinvolto direttamente l’esercito di Kyjiv. Secondo Mosca e i video verificati dal New York Times circa trecento soldati e decine di carri armati e veicoli da combattimento starebbero portando avanti l’offensiva.

Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che l’attacco è iniziato intorno alle 8 del mattino di martedì, quando le truppe ucraine hanno attraversato il confine tra i villaggi di Nikolayevo-Daryino e Oleshnya. Il governo di Kyjiv non ha rivendicato immediatamente l’operazione, ma il funzionario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino Andrii Kovalenko ha detto che «la Russia non ha il controllo del suo confine».

Inizialmente Mosca ha affermato di aver respinto l’incursione, ma l’assalto è proseguito anche nelle giornate di mercoledì e giovedì. Infatti, alcuni blogger militari russi hanno diffuso notizie riguardo all’avanzamento delle forze ucraine verso nord, dicendo che i combattimenti si sono spostati verso le città di Sudzha e poi Korenevo, a circa venti chilometri a nord del confine.

Secondo le autorità russe, nei bombardamenti sono stati uccisi cinque civili, trentaquattro sono rimasti feriti e circa un migliaio di persone è stato evacuato dall’oblast di Kursk, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza.

Vladimir Putin durante la riunione dei vertici delle forze armate convocata mercoledì ha definito l’offensiva come una «provocazione su larga scala», accusando «il regime di Kyjiv» di aver fatto ricorso a bombardamenti indiscriminati attaccando obiettivi civili.

Le reazioni di esperti militari e analisti all’incursione ucraina sono contrastanti e i più scettici si sono chiesti quale possa essere la finalità dell’operazione. «Uno dei maggiori problemi dell’Ucraina sul campo di battaglia – scrive la Bbc – è la forza lavoro. La Russia ha molti più soldati e si sta avvicinando sempre di più alla città di Pokrovsk, nell’Ucraina orientale. Quindi, inviare centinaia di soldati ucraini in Russia è, diciamo, controintuitivo agli occhi di alcuni».

Tuttavia, per altri è possibile trovare delle motivazioni a una mossa che potrebbe sembrare folle. Secondo l’esperto Kostyantyn Mashovets l’attacco non è stato accidentale e, anzi, «è chiaramente parte di un piano».

Un piano che, presumibilmente, non ha come obiettivo l’occupazione della terra di Putin, bensì quello di provare ad attirare l’esercito nemico e far sì che concentri le proprie risorse «in casa» piuttosto che nell’avanzata sul fronte orientale, che Kyjiv fatica sempre di più a contenere. A sostegno dell’ipotesi, l’analista militare Mykhaylo Zhyrokov ha infatti detto alla Bbc che la Russia è stata costretta a ridistribuire alcune truppe dalla linea del fronte nell’Ucraina orientale a seguito dell’attacco.

Un’altra ipotesi è quella che Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali (Iai), sulla Stampa presenta come «ratio diplomatica»: vista la maggiore inclinazione verso la possibilità di un negoziato mostrata ultimamente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, lo scopo dell’incursione potrebbe essere tentare di conquistare asset strategici russi che gli consentano di sedersi al tavolo delle trattative davanti a Putin con una preziosa merce di scambio.

E mentre tutti si chiedono se l’operazione raggiungerà il suo scopo o meno, sui social è esploso l’entusiasmo tra gli utenti ucraini, che dall’inizio della guerra supportano il loro esercito a suon di meme: c’è una gara di schiaffi in faccia (esistono!) in cui l’Ucraina molla un colpo fortissimo alla Russia, che cade a terra davanti allo sguardo incredulo di Unione europea e Nato; c’è un Putin corrucciato e pensieroso che si chiede come mai gli ucraini abbiano preso in tre giorni più territorio alla Russia di quanto le sue truppe abbiano fatto con il territorio ucraino nell’ultimo anno.

E poi la presa in giro definitiva: i recenti progressi sul campo sono stati così inaspettati che ora sono gli ucraini a sbeffeggiare Mosca, chiedendo ai vicini di imparare il loro inno nazionale e di prepararsi al referendum. Come facevano i russi prima.

È solo un modo per sdrammatizzare. Forse.

Tim Walz, il governatore da happy hour, gioviale e festoso che combatte i repubblicani “weird” (ilriformista.it)

di Paolo Guzzanti

Il ritratto

Nel suo Stato, il Minnesota, consente la libera vendita della marijuana contro la quale invece la Harris, nella sua vita da procuratore generale della California, si è sempre battuta rendendosi impopolare.

Sarà questa la mossa giusta per i dem?

Si chiama Tim Walz, è il governatore del Minnesota e un uomo di sinistra liberale ma curiosamente sempre vestito in tuta mimetica o da football mentre va a caccia di fagiani o a pesca nei fiumi: è lui il “running mate”, candidato vicepresidente della Harris. Essendo governatore dello Stato col maggior tasso di immigrazione tedesca e nord europea d’America, e con quel cognome quasi danzabile, il governatore Walz ha la stazza e la postura di un cancelliere bavarese, pur essendo un uomo di sinistra che ha suscitato l’entusiasmo del socialista Bernie Sanders.

L’altra sera la Harris se lo è portato a Philadelphia per presentarlo nel rally di gala. Si tratta di grandi cambiamenti formali: per la pria volta una donna è candidata alla presidenza degli Stati Uniti scegliendo un uomo come candidato alla sua vicepresidenza.

Walz e il Minnesota cuore dell’America bianca

Donald Trump ha subito liquidato Walz dicendo che è un imbecille incapace e che lui e la Harris formano la coppia più indecentemente di sinistra che si sia presentata alla Casa Bianca.

Il Minnesota è il cuore del Midwest, che è il cuore dell’America bianca, di discendenza nord-europea, cristiana ma peccatrice, gaudente per la cucina, le birre e vini importati dalla Francia e dalla California. Tim Walz per molto tempo ha fatto l’allenatore di football (da non confondere col nostro che lì si chiama soccer) e ha anche vinto un campionato.

Ma è stato un deputato sempre appassionato della natura selvaggia in cui ama sparare quando non è impegnato ad arpionare salmoni. È condiscendente, tollerante, bendisposto verso tutti i gruppi e le minoranze, e non rischia né con le lesbiche né con i transgender. Kamala Harris l’ha scelto per questo.

Il governatore gioviale, uomo da happy hours

Era incerta ma poi ha letto che Walz ha avuto una battuta geniale e popolare definendo i repubblicani come gente strana che fa venire i brividi: weird che vuol dire strano e insano con qualche rotella fuori posto. È popolare nel mondo della scuola avendo insegnato a lungo in una high school e ha servito con onore nella National Guard.

Un po’ sovrappeso ma gioviale, cordiale, è davvero un uomo da happy hours. Il New York Times spiega quanto sia stata ben pensata la scelta di un midwestern democratico, che rappresenta l’essenza dell’altro americano obeso e ignorante come gli eroi del senatore J.D. Vance raccontati nella cruda Elegia Americana.

Si fronteggiano così due Americhe perfettamente autentiche e nemiche che si trovano ora una di fronte all’altra, rappresentate dai due vice: il Vance scelto come running mate da Donald Trump e che porta le insegne dell’America bianca povera e volgare, e il governatore Tim Walz che rappresenta l’America fastosa e festosa, patriottica ma con un accento sempre incerto fra il tedesco e il norvegese.

Walz contro Trump e i repubblicani definiti “weird”

Sembra che sia stato selezionato da una squadra di talent scout democratici i quali hanno notato il grande seguito di quest’uomo fra i liberal e capace di rispondere per le rime a Donald Trump. Ha 60 anni, non è giovane ma giovanile e ha passato la prima parte della sua vita in Nebraska dove si è anche laureato.

Ha indossato l’uniforme della Guardia Nazionale congedandosi con onore come “Command Sergeant major”, poi ha insegnato scegliendo una moglie anche lei insegnante da cui ha avuto due figli. Ha sempre contrastato i repubblicani ed è diventato governatore nel 2018, riconfermato nel 2022. Popolare fra i giovani perché ha sempre fatto politiche permissive per la marijuana, per l’aborto e un più severo controllo delle armi.

È stato quando Trump è andato a far un comizio in Minnesota che Walz, intervistato, ha pronunciato l’ormai storica frase “These guys just weird”: sono strani. Oggi è uno slogan nazionale dei democratici.

I polls: le proiezioni danno un testa a testa

Trump rispose in un comizio che Walz è un incapace e che se non fosse stato per lui, Donald Trump, la città di Minneapolis oggi non esisterebbe più. I polls, le proiezioni sulle intenzioni di voto, danno Trump e la Harris testa a testa ed è sicuro che la Harris sia partita facendo un balzo avanti per l’immediata accoglienza da parte di tutti i gruppi liberal etnici o di identità sessuale.

Anche il dibattito sul fatto che la Harris si definisca “black” è stato superato seguendo il principio che nessuno deve dimostrare nulla e che ciascuno ha diritto di dichiararsi quel che vuole.

Anche Walz ha dimostrato di saper moltiplicare i consensi con un comportamento popolare e mai reazionario, come dimostra il fatto che nel suo Stato consente la libera vendita della marijuana contro la quale invece la Harris, nella sua vita da procuratore generale della California, si è sempre battuta rendendosi impopolare.