Meloni vorrebbe essere una leader conservatrice, ma è di matrice reazionaria (linkiesta.it)

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L’album di famiglia

Nonostante sia al governo da quasi due anni, la presidente del Consiglio non riesce a prendere una posizione chiara e univoca nemmeno sulla strage neofascista di Bologna

Le parole usate ieri da Giorgia Meloni, in occasione dell’anniversario della strage di Bologna, segnalano ancora una volta il persistere di problemi irrisolti tra lei e il neofascismo.

La presidente del Consiglio ha adoperato una stranissima circonlocuzione (identica a quella usata da Ignazio La Russa, dunque probabilmente concordata): «Il 2 agosto del 1980 il terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste, ha colpito con tutta la sua ferocia la Nazione».

A parte il grottesco riferimento agli «esponenti» neofascisti (ma come, «esponenti» degli assassini?), cosa sottintende la frase «le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste…» se non la larvata insinuazione che la verità giudiziaria è quella, ma chissà anche se quella storica. Che differenza con le lapidarie parole di Sergio Mattarella che ha parlato di una «spietata strategia eversiva neofascista»: la nitidezza del Presidente della Repubblica contro l’oscurità della Presidente del Consiglio.

La questione che si ripropone è quella, come disse Rossana Rossanda a proposito delle Brigate rosse e del Partito comunista italiano, dell’album di famiglia o meglio di quella lunga stagione di rossi e neri che gli amici più grandi di Meloni hanno vissuto e che per loro è come la caverna di Platone dove non vedono altro «se non la propria ombra e le ombre delle cose proiettate sulla parete». Da quella caverna non riescono a uscire.

È dunque il contrario di quanto contenuto nelle “Tesi di Trieste” (secondo congresso di Fratelli d’Italia, 2017) dove si affermava di voler «sanare le ferite dell’interminabile guerra civile che ha segnato la nascita della storia repubblicana» (dunque, per inciso, la Resistenza non è “anche” ma “solo” guerra civile, depauperata cioè dal concetto di Liberazione e riscatto nazionale).

Quando la destra post-missina parla di riconciliazione entra in contraddizione con lo spirito di rivalsa che la anima e le fornisce coraggio, quello spirito di rivalsa che Meloni incarna perfettamente e che si esprime con la sua abituale vis polemica. Anche ieri infatti non ha mancato di battagliare, come fosse una segretaria di partito e non la guida del governo, respingendo «gli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti, in questa giornata di commemorazione, alla sottoscritta e al Governo».

Il vittimismo d’altronde è elemento costitutivo dell’impianto ideologico di Meloni, che altro non è se non il riflesso di un sintomo di un complesso d’inferiorità e di una marginalità avvertita come tale su un piano culturale prima ancora che politico, l’effetto inconsapevole e un tantino infantile (la parabola di Calimero) di chi avverte di avere consenso ma non egemonia, intesa come costruzione alta di un’idea generale di società.

Di qui la tendenziale ambiguità, o non cristallina chiarezza, nel non chiamare le cose con il loro nome ricorrendo a giri di parole obliqui che tradiscono l’indisponibilità a strappare gli ultimi veli di un’appartenenza a una certa storia.

Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini. Ombre sul muro di una memoria inquietante che vanifica i quotidiani sforzi di apparire come gli altri, non essendolo fino in fondo.

Di qui la quotidiana lamentazione di una leader che vorrebbe essere conservatrice, ma non riesce a esserlo e non solo perché non cita mai né Winston Churchill né Charles de Gaulle (e neppure Ronald Reagan o Margaret Thatcher), ma perché i veri Conservatori dopo aver vinto tendono a unire: sono i reazionari che fanno della rivalsa la loro avventura.

Il politologo Orsina: “Da Bolognesi parole pericolose e un antifascismo strumentale”

Giovanni Orsina, uno dei politologi italiani più 
apprezzati, lancia dalle colonne de La Stampa 
una lunga accusa ai protagonisti del nuovo 
antifascismo di maniera, 
critica fortemente le parole usate a Bologna, nel corso della commemorazione per l’anniversario della strage, e invita la sinistra a non proseguire sulla strada di un radicalismo pericoloso.
Un editoriale dettagliato nel quale Orsina affronta anche il delicato tema delle numerose sentenze sulla strage compiuta 44 anni fa, ribadendo che non sono espressione di infallibilità. “Bolognesi ha strumentalizzato una vicenda storica ”Orsina esordisce dicendo che, “Fin quando la storia d’Italia sarà interpretata e strumentalizzata politicamente come ha fatto ieri Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Bologna, non potremo mai sperare di riuscire a metabolizzare il nostro passato. E fino a quel momento ci sarà pure impossibile chiedere con un minimo di credibilità a Giorgia Meloni e al suo partito di recidere i residui fili emotivi che ancora li legano alle vicende del neofascismo, perché sarà loro fin troppo facile sottrarsi accusando i propri accusatori di disonestà intellettuale e faziosità”. Orsina: “Le sentenze vanno rispettate ma non sono verità divina”
Il politologo, dalle colonne del quotidiano torinese, sottolinea come, “L’interpretazione storica che ha proposto ieri Bolognesi rimanda a numerose sentenze giudiziarie. Ne ricava senz’altro forza, ma non ne viene affatto resa incontrovertibile in ogni sua parte. Le sentenze non sono verità divina, in una democrazia si ha il pieno diritto di diffidarne e criticarle”.“Tanto più – scrive Orsini su La Stampa-quando arrivano al termine di iter lunghissimi, nel corso dei quali sono state montate, smontate e rimontate più volte fra il primo e il terzo grado di giudizio.

Nel caso specifico della strage di Bologna, per altro, non mancano studiosi autorevoli e disinteressati che hanno espresso dubbi fondati sulle ricostruzioni di parte giudiziaria. Dubbi tanto maggiori quanto più quelle ricostruzioni sono, per così dire, salite di livello, passando dagli autori materiali ai loro mandanti.”

“Su Mambro e Fioravanti e la loro colpevolezza restano dubbi”

Nel corsivo, Orsina parla dei principali protagonisti giudiziari di Bologna: “In un libro uscito di recente in spagnolo e inglese ma non ancora in italiano, uno storico attento come Juan Avilés ha ritenuto provate le responsabilità di Fioravanti, Mambro e Ciavardini ,ma molto meno chiare quelle di Licio Gelli”

“In un documentatissimo volume del 2016-continua l’articolo- Vladimiro Satta è giunto a una conclusione sconfortata. L’esame dei procedimenti giudiziari contro Fioravanti, Mambro e Ciavardini nonché di quelli per depistaggio delle indagini mostra che la dichiarazione di colpevolezza dei tre neofascisti non è campata in aria come vorrebbero gli innocentisti ma, purtroppo, non è neppure molto convincente“.

“La Repubblica può essere governata solo dalla sinistra”

Il politologo, docente universitario, continua il suo intervento riferendosi al discorso di ieri nel capoluogo emiliano: “Bolognesi non si è limitato a interpretare la storia, però. L’ha pure brandita come una clava per darla in testa a tutta la destra italiana degli ultimi trent’anni: da Berlusconi, corresponsabile della bomba del 2 agosto 1980 in quanto piduista, fino a Meloni, rea di voler introdurre una riforma della magistratura simile a quella sostenuta dal piano di rinascita democratica di Gelli”.

“La clava-si legge ancora- è la consueta lettura antifascista radicale della vicenda repubblicana. Intollerante, perché chi la sostiene ritiene di essere moralmente prima ancora che politicamente nel giusto e che la propria idea di costituzione e democrazia sia l’unica possibile”.

Una lettura, dice ancora Orsina, “Scopertamente politica, infine, poiché fissa il principio che la Repubblica possa essere legittimamente governata soltanto da sinistra, e che le destre siano quindi illegittime a prescindere“.

“Meloni? Ha risposto correttamente”

Nell’ultima parte del suo editoriale, Orsina cita indirettamente Pasolini, parlando dell’antifascismo odierno, e dà ragione a Giorgia Meloni, per la risposta a Bolognesi che aveva accusato l’attuale governo di poggiarsi sulle radici dello stragismo:

“Col suo estremismo, la sua faziosità-si legge-, e non di rado col suo spregio del buon senso e della verità storica, l’antifascismo radicale è stato ed è il peggior nemico dell’antifascismo quale strumento di ampia convergenza sui valori fondanti della Repubblica”.

Il finale è dedicato ai possibili condizionamenti culturali derivanti dall’antifascismo di Stato e le conseguenze sulle azioni giudiziarie.

“Poiché esso ha avuto un’influenza notevole anche sulla magistratura, per altro, bisognerebbe pure chiedersi quanto le sentenze sulle stragi, sui depistaggi, sui tentativi di colpo di Stato ne siano state condizionate, e quanto i dubbi su quelle sentenze nascano proprio dal vederle attraversate da linee ideologiche così evidenti.

Di fronte a un intervento scomposto come quello di Bolognesi, infatti, in quale altro modo avrebbe mai potuto replicare la Presidente del Consiglio?”, la chiosa del politologo.