Un grande classico per "Il Genio del Giorno"
Lezione di storia per tutti i putinisti che leggendo i titoli del Falso Quotidiano si credono esperti della storia dell’Ucraina e delle relazioni con il Cremlino.


Un grande classico per "Il Genio del Giorno"
Lezione di storia per tutti i putinisti che leggendo i titoli del Falso Quotidiano si credono esperti della storia dell’Ucraina e delle relazioni con il Cremlino.


di Guia Soncini
Burloni e babbei
Un giornalista del Times di Londra ha intervistato via email l’ex sindaco di New York, ma non era lui, era un omonimo.
È la parabola di una professione che non verifica più nulla, convinta che la rete sia una fonte e non una trappola
Vi ricordate quel secolo lontano in cui, per sapere cosa succedeva nei posti in cui non abitavate, leggevate i giornali dei posti in cui abitavate, e quei giornali avevano inviati negli altri posti, corrispondenti dagli altri posti, gente che vi raccontava nella vostra lingua cosa accadesse negli altri posti, e voi vi fidavate e vi reputavate informati? A raccontarlo oggi, è l’età dell’innocenza.
Uno dei pochi settori in cui l’internet non ha fallito la propria opera di democratizzazione è l’aver reso noto a tutti quel che una volta sapevano solo quelli che viaggiavano e quelli che facevano i giornali: se non sai le lingue, non saprai mai cosa succede altrove, giacché tutti i giornalisti mandati all’estero sono dei cialtroni.
Hanno un sacco di attenuanti, dal fuso orario all’essere in posti in cui è più difficile avere fonti rispetto ai luoghi in cui sei cresciuto, ma è una regola – le eccezioni alla quale dipendono solo ed esclusivamente dalla buona volontà e dal talento del singolo: e buona volontà e talento sono, nel giornalismo come altrove, caratteristiche rare.
Fuori dalle eccezioni, nel migliore dei casi colui che vi racconta in italiano ciò che è successo a Londra o a New York o a Tokyo tradurrà decentemente quel che hanno scritto i giornali locali. Nel più medio dei casi, lo tradurrà male. Nel peggiore dei casi, inventerà, certo che nessuno se ne accorga; più certo ora di quanto lo fosse prima, visto che ora avremmo sì strumenti per controllare, ma quasi nessuno legge più niente e nessuno capisce più quel che legge.
Poi ci sono anche i casi di clamorosa sfiga. Quello dell’incompetenza è un settore molto competitivo, ed è evidente che la storia londinese del momento, quella dell’intervista all’imitatore dell’ex sindaco di New York scambiato da un inviato per il vero ex sindaco di New York, è la risposta inglese all’affaire Mauro Corona.
Ah sì, voi avete lo scrittore con le pagine mancanti la cui motivazione è che invece di consegnare un libro all’editore quello gli consegna un quaderno? E noi abbiamo un inviato in America che manda una mail all’ex sindaco a un indirizzo che però non è quello dell’ex sindaco ma a cui si trova qualcuno che si prende l’incomodo di rispondere come fosse l’ex sindaco: giochiamo a chi ha la sospensione dell’incredulità più grossa, dai.
È andata così. Martedì il Times, quello di Londra, pubblica un articolo di Bevan Hurley, un neozelandese che prima copriva l’America per l’Independent (altro quotidiano inglese), e ora lavora da New York per il Times. Sarà che Rupert Murdoch (proprietario del Times, e anche del New York Post) vuole dei pezzi contro Mamdani, e quindi Hurley si è affrettato a cercare Bill de Blasio, sindaco fino al 2021, che gli avevano detto avesse delle perplessità su Mamdani? Sarà quel che sarà, fatto sta che il povero Hurley scrive a una mail che qualcuno gli ha detto essere di de Blasio, e riceve delle risposte e le pubblica.
Lo so che le fonti sono un problema, per quelli all’estero: ieri sempre il Times aveva un pezzo su quelli che danno le case in affitto su Airbnb contro Giorgia Meloni, in cui venivano virgolettati con ampiezza da capi di Stato un sessantaduenne che affitta ai turisti la casa che ha ereditato a Montevarchi, località toscana nota agli italiani non di zona perché lì c’è l’outlet di Prada, e una cassiera di supermercato che a Sassari ha comprato un appartamento per ricavare dai turisti un secondo reddito.
Se avete un po’ di consuetudine coi giornali, non vi chiederete se gli intervistati siano rappresentativi di qualcosa: sapete che il povero tizio che sta a Roma per il Times ha chiesto a qualche suo amico che avesse usato un Airbnb, uno gli ha detto avevamo questo proprietario simpatico vicino Arezzo, un altro era andato in Sardegna e aveva ancora il contatto della cassiera, ed ecco che il pezzo era fatto. Il giornalismo è una scienza inesatta che si basa su quali numeri hai in rubrica.
Io, che sono la più competitiva nel settore dell’incompetenza, ho visto l’articolo su Montevarchi spiegata agli inglesi ma non l’intervista al presunto ex sindaco: ho bucato la notizia e non mi sono accorta di niente fino al tweet di de Blasio, che è delle dieci e mezza, ora italiana, di martedì sera. «Non ho mai parlato con quel giornalista, non ho mai detto quelle cose. Quei virgolettati non sono miei, non rispecchiano il mio punto di vista».
Abituati ai dichiaratori che si pentono d’aver dichiarato, non prenderemmo troppo sul serio il tutto, non fosse che il Times non solo toglie l’intervista dal sito, ma fa pure un comunicato ufficiale: il loro giornalista è stato tratto in inganno (??) da uno che si è spacciato per de Blasio (???).
Ma come fa uno a fingersi un altro per mail? A che mail hai scritto, Bevan? Naturalmente i giornalisti si esaltano per questa storia: ogni volta che la cialtronata la combina così grossa un altro, è una di meno delle tue cialtronate medie che si notano. Ognuno dice la sua. Il Times di Londra dice che il tizio li ha truffati (ma in che modo? Vi ha scritto lui?).
Il New York Times che era un imitatore (tipo quelli di Liz Taylor e Pavarotti: corriamo a controllare se qualche inviato a Sanremo abbia mai pubblicato interviste alla sosia scambiandola per la vera Liz). Gli americani dicono che, sebbene i virgolettati fossero innocue ovvietà – il de Blasio che non lo era si chiedeva dove Mamdani pensasse di trovare i soldi per rendere gratuito tutto, dagli asili agli autobus – il vero de Blasio non le avrebbe comunque dette: de Blasio detesta Cuomo più di chiunque e mai direbbe una cosa che lo avvantaggia, solo uno d’un giornale inglese poteva crederci, era un inganno in cui sarebbe cascato solo un forestiero, come i fettuccini Alfredo nei ristoranti di Trastevere.
Mentre io passo il mercoledì a interrogarmi sul principe nigeriano al quale scrivi tu, e su come possa mai funzionare l’inversione del meccanismo, basato appunto sul fatto che sia lui a contattarti spacciandosi per un principe che ti vuole intestare i gioielli della corona ma per farlo ha prima bisogno di prendere due spicci per le marche da bollo dal tuo conto, mentre io cerco invano d’immaginare come possa capitare che uno sbagli mail e parli con un de Blasio che non lo era, Ben Smith di Semafor nota che, in altre circostanze, una storia del genere sarebbe perfetta per il New York Post. Che però non può dilettarsi a massacrare il giornale dello stesso proprietario.
Ci devono quindi pensare proprio quelli di Semafor, che ieri ci servono una cosa che non si vede praticamente mai in nessuna commedia con giallo da “Misterioso omicidio a Manhattan” in giù: una soluzione del giallo esilarante quanto il resto della trama.
Il DeBlasio cui ha scritto il povero Bevan si scrive, tanto per cominciare, attaccato, e con la D maiuscola. Si avventura, l’uomo del giorno, anche in deliranti specifiche quali «la d minuscola è per le classi sociali inferiori»: l’intera nobiltà nera romana ha qualcosa da obiettare, non c’è pronipote di Papa che non abbia la d minuscola, adesso stai a vedere che il proprietario d’un’enoteca di Long Island si sente di classe sociale superiore a Domietta del Drago.
Il DeBlasio che ha risposto alla mail dice a Semafor ma che volete da me, io mi chiamo Bill DeBlasio, «mica ho mai detto che ero il sindaco, né lui mi ha chiamato “signor sindaco”», mi ha scritto dicendo che voleva sapere la mia su Mamdani e io gliel’ho detta. Sarebbe bellissimo se avesse pensato che voleva sapere la sua in quanto proprietario di enoteca, ma no: il DeBlasio maiuscolo dice che ha capito l’equivoco e ha deciso di non scioglierlo.
E, poiché è abbastanza tecnologico da rispondere a Semafor dal videocitofono di Long Island pur trovandosi in Florida (io neanche sapevo esistessero queste diavolerie moderne), precisa che, per le risposte, si è rivolto a ChatGPT.
Pensavamo che la rovina dei giornali fossero le intelligenze artificiali usate dalle redazioni – l’altro giorno il Wall Street Journal, che evidentemente non fa fare la correzione di bozze agli umani, ha pubblicato un articolo sulla Paramount in cui la dirigente Cindy Holland si chiamava Cindy the Netherlands – e invece il guaio sono gli intervistati che, così come da soli non scrivono più il biglietto di buon compleanno alla zia, neanche le risposte a domande che non erano per loro.
Quindi, riepilogando. Bevan Hurley avrà tirato a indovinare: se non sai la mail di qualcuno sarà nome punto cognome chiocciola gmail, no? Cosa potrà mai andar storto. Ha scritto a principe punto nigeriano e gli ha detto ma non è che vuoi farmi erede universale e intanto ti serve il pin del mio bancomat, e un commerciante di vino di Long Island gli ha risposto: certo che sì.
Formiamo due file ordinate. Da una parte quelli che si chiedono perché, stando Hurley a New York, non sia andato a far visita all’ex sindaco: non lo sa che i giornali si fanno consumando-le-suole? Dall’altra quelli che non sono mica sicuri che, vedendolo al videocitofono, si sarebbe accorto che non era lui: questi italoamericani si somigliano tutti.
DeBlasio maiuscolo attaccato ha detto a Semafor che lui ha risposto per divertimento, mica pensava finisse sul giornale, pensava che avrebbero controllato. Ha cinquantanove anni. È cresciuto nella convinzione che la gente sapesse fare il proprio lavoro.
Mica è facile adattarsi a un mondo nuovo in cui il principe nigeriano è così sfaccendato che devi scrivergli tu.
