I colloqui di Istanbul! (forzaucraina.it)

Un grande classico per "Il Genio del Giorno"

Lezione di storia per tutti i putinisti che leggendo i titoli del Falso Quotidiano si credono esperti della storia dell’Ucraina e delle relazioni con il Cremlino.

COLLOQUI DI ISTANBUL, APRILE 2022: COSA CHIEDEVA LA RUSSIA ALL’UCRAINA
Ad aprile 2022, durante i colloqui di Istanbul tra Russia e Ucraina, la Russia avanzò richieste molto specifiche come condizioni per un eventuale accordo di pace. Non si trattava solo di questioni militari o politiche, ma anche di territori e popolazioni.
1. NEUTRALITÀ DELL’UCRAINA
La Russia chiedeva all’Ucraina di dichiararsi paese neutrale, rinunciando a qualsiasi ingresso nella NATO o altre alleanze militari occidentali. Nessuna base militare straniera avrebbe potuto operare sul territorio ucraino, e l’Ucraina avrebbe dovuto limitare le proprie capacità militari. Questa condizione avrebbe ridotto drasticamente la sovranità strategica di Kiev e la capacità di difendersi autonomamente.
2. LIMITAZIONI MILITARI
L’Ucraina avrebbe dovuto ridurre le dimensioni delle forze armate, rinunciare ad armi a lungo raggio e sottoporsi a meccanismi di controllo sul proprio armamento. L’obiettivo russo era ridurre la capacità di difesa ucraina e garantire che il paese non rappresentasse una minaccia militare per Mosca.
3. CESSIONE DI TERRITORI E POPOLAZIONI
La Russia avanzò richieste precise su territori chiave, che avrebbero comportato un controllo diretto su milioni di persone:
* Crimea: già annessa nel 2014, con città principali come Sebastopoli, Simferopol e Kerch. Circa 2,4 milioni di abitanti, in maggioranza russofoni, sarebbero stati riconosciuti come sotto il controllo russo, con rinuncia formale ucraina.
* Donetsk e Luhansk (Donbass): regioni orientali con circa 4 milioni di abitanti, inclusi Donetsk, Luhansk, Horlivka e Mariupol. La Russia chiedeva il riconoscimento delle repubbliche separatiste filorusse e il cedimento del controllo a queste entità.
* Regione di Kherson: con città principali come Kherson, Nova Kakhovka e Oleshky, circa 1 milione di persone, strategica per creare continuità territoriale tra Crimea e Donbass.
* Parte della regione di Zaporizhzhia: con città come Melitopol e Berdiansk, diverse centinaia di migliaia di abitanti. Controllo richiesto per garantire linee logistiche e accesso al Mar d’Azov.
Queste concessioni avrebbero comportato non solo perdita di territori, ma anche di sovranità su milioni di cittadini ucraini, cambiando radicalmente la vita quotidiana, le leggi e le libertà civili nelle zone coinvolte.
4. GARANZIE DI SICUREZZA
La Russia richiedeva meccanismi che le permettessero di monitorare l’assistenza militare occidentale all’Ucraina e avere un ruolo decisivo sulle scelte strategiche ucraine, riducendo ulteriormente l’autonomia del paese.
SINTESI
Le richieste russe puntavano a trasformare l’Ucraina in uno stato neutralizzato e subordinato, con cessioni territoriali significative (Crimea, Donbas, Kherson, parti di Zaporizhzhia) e il controllo su milioni di persone, oltre a limitazioni militari e politiche che avrebbero inciso profondamente sulla sovranità nazionale e che avrebbero facilitato un futuro attacco russo su territorio ucraino.
Senza dimenticare gli effetti che un accordo del genere avrebbe avuto per la popolazione ucraina e per tutto il mondo, permettendo che un Paese aggressore potesse perfino dettare le condizioni di un accordo che sapeva più di una resa.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "Herk MOVIMENTO IL GENIO DEL GIORNO Ettore Mautone Invita a seguirti L'ucraina ad aprile 2022 quando avwva integro territorio si sottratta alla trattativa ad istanbul in cui si chiedeva solo neutralità militare. Una svizzera ai confini russia salvaguardia delle popolazioni russofone. Era così difficile accettare. Sarebbe stata una soluzione di pace benessere per tutta l'europa salvando interessi tutti dopo ifallimenti di Minsk. Esecrare la diplomazia significa esecrare la cultura di pace. Diplomatici così chiamati perché un tempo gli unici istruiti e colti GRAZIE AL τυο COMMENTO HAI 100 RUBLI 100% VATH JETED"

Il vaccino mRNA aiuta a sconfiggere il cancro. Un altro brutto colpo per la disinformazione novax (valigiablu.it)

di

Nei giorni scorsi ha suscitato molto interesse 
uno studio appena pubblicato sulla rivista 
Nature. 

Lo studio parte dai dati di sopravvivenza media ed a tre anni raccolti da due coorti di  pazienti oncologici con tumore al polmone in fase avanzata (stage III/IV) e melanoma metastatico trattati al MD Anderson Cancer Center (MDACC) dal 2015 al 2022 con inibitori del checkpoint immunitario (ICI). 

Gli ICI sono farmaci messi a punto a partire dal 2014 e successivamente approvati per un numero sempre maggiore di tumori. Si tratta di anticorpi monoclonali in grado di legare in modo specifico la proteina PD-1 (Programmed  Death-1) localizzata sulla membrana dei nostri linfociti. Grazie al lavoro di James Allison e  Tasuku Honjo (Nobel per la medicina e fisiologia nel 2018) sappiamo che in molti tumori le cellule cancerose utilizzano una proteina chiamata PD-L1 in grado di legare in modo specifico PD-1 sui linfociti.

Tramite l’interazione PD-L1/PD-1 il tumore riesce a neutralizzare la risposta immunitaria dell’organismo che lo ospita rendendolo tollerante alla sua presenza. Sono farmaci ormai utilizzati frequentemente, anche se purtroppo non sempre con l’efficacia sperata, a causa delle caratteristiche del tumore.

Dal 2021, con l’avvento della pandemia, un certo numero di quei pazienti ha anche ricevuto una o più dosi di vaccino a mRNA per Covid-19, come tutti noi. Questo ha consentito agli autori dell’articolo, che sono interessati all’interazione tra vaccini a mRNA e cancro perché stanno mettendo a punto un loro vaccino ad mRNA per glioblastoma, di analizzare i dati di sopravvivenza in uno studio retrospettivo e comparativo tra i pazienti che avevano avuto solo l’inibitore e quelli che avevano avuto anche il vaccino ad RNA.

Analizzando i dati si scopre che i pazienti che oltre all’inibitore di PD-1 hanno ricevuto anche il vaccino hanno avuto una sopravvivenza media maggiore (20,6 mesi vs 37,3 per chi aveva ricevuto il vaccino) e una sopravvivenza a tre anni maggiore (30,8% vs 55,7% per chi aveva ricevuto il vaccino).

I dati della corte di pazienti con melanoma metastatico sono confrontabili.

Dati forse non eclatanti per chi spera nei miracoli, ma per quei tumori, a quello stadio, sono sicuramente significativi. Molti farmaci approvati o attualmente in trial clinico non promettono molto di più.

A questo punto per evitare confusioni serve distinguere due fenomeni diversi. Un conto è l’attivazione del sistema immunitario indotta dalla somministrazione di RNA e nanoparticelle lipidiche (quindi un effetto generico), un altro conto è l’attivazione specifica del sistema immunitario contro le proteine del tumore ottenuta vaccinando il paziente con degli RNA che codificano per le proteine tumorali, come è stato fatto per la proteina Spike di SARS-CoV-2 in pandemia.

Ricostruendo un modello sperimentale murino, gli autori sono riusciti a dimostrare che l’attivazione specifica dei linfociti contro il tumore è conseguente all’innesco della risposta innata provocata dal vaccino a RNA.

In pratica in quei pazienti oncologici, nella sequenza di eventi vaccinazione → attivazione della risposta innata (dovuta alla reazione della cellula all’RNA ed alle nanoparticelle lipidiche) → produzione della proteina spike esogena → maturazione e selezione dei linfociti T e B attivati specifici per la proteina spike → immunità, si è inserita la presenza di altre proteine esogene, quelle del tumore, che ora vengono riconosciuti come antigeni e pertanto le cellule che li contengono (quelle del tumore) vengono attaccate dai linfociti.

Il trattamento con ICI a questo punto sostiene la risposta antitumorale impedendo al tumore di neutralizzare il linfocito mediante la proteina PD-L1. A questa cooperazione tra vaccino ad RNA e ICI si deve la maggiore efficienza dell’immunoterapia nei pazienti vaccinati per Covid-19.

Se all’effetto generico immunostimolante di RNA e LNP si potesse aggiungere quello specifico dovuto alla produzione di proteine tumorali invece che della spike, l’effetto molto probabilmente sarebbe ancora migliore.

Ma in primo luogo, non tutti i tumori hanno abbastanza proteine mutate da poter essere utilizzate come neoantigeni tumorali. In questo caso l’effetto generico di RNA e LNP sul sistema immunitario è comunque meglio che niente.

In secondo luogo, sviluppare un vaccino specifico e personalizzato per il tumore di ogni paziente è una procedura lunga, complessa, costosa. Dovremmo/dovremo imparare a farne la nuova normalità, ma nel frattempo i vaccini ad mRNA per Covid già esistono, sono già approvati per l’uso e costano poco. Ovvio che i dati appena pubblicati facciano sperare di aver trovato un aiuto inatteso.

Ovviamente sarà il caso di fare studi appositi, su tumori diversi.

Ma questo apre la porta ad una nuova questione, di cui già ci siamo interessati tempo fa su Valigia Blu per rispondere a chi sosteneva che i vaccini a mRNA per Covid-19 non dovessero essere considerati vaccini ma una terapia genica.

Posizione sostenuta in parte da esponenti del mondo novax ma anche da qualche esponente della comunità scientifica. Posizioni che generalmente rientravano nei tentativi di dimostrare la pericolosità e nocività di quei vaccini sulla scia di chi minacciava morte entro pochi anni, aborti, malformazioni fetali in gravidanza, cancri e turbocancri.

La differenza tra vaccino e terapia genica è sostanziale riguardo le modalità e i tempi dell’approvazione alla messa in commercio. I vaccini a mRNA (ma anche quelli ad adenovirus ricombinante come AstraZeneca, Janssen e Sputnik), in quanto considerati vaccini per contrastare un agente infettivo, una volta superato il trial clinico di fase 1, e poi 2 e 3, hanno dovuto solo dimostrare la loro efficacia nel prevenire malattia e morte dovuti all’infezione (non la capacità di prevenirla, mai presa in considerazione, meglio ricordarlo).

Se fossero stati considerati terapia genica avrebbero dovuto soddisfare un lungo elenco di parametri pensati per prodotti per terapia genica “tradizionali”, molti dei quali però non compatibili con le definizioni di FDA e EMA in cui questi nuovi prodotti non si riconoscono.

È evidente che ormai bisogna aggiornare il concetto di vaccino sia nelle definizioni degli enti regolatori sia nella nostra concezione, e anche quello di “prodotti per terapia genica”.

Chi è interessato all’argomento può farsi un’idea più chiara e trovare informazioni più dettagliate in quest’articolo.

Ma intanto tutta quella discussione sembra improvvisamente essere stata messa da parte da questo dato inatteso, in cui un vaccino si riscopre attivatore della risposta immunitaria in funzione antitumorale ancora una volta sovvertendo i nostri schemi.

Non funziona come un vaccino, non rientra nella categoria di “prodotto per terapia genica” perché non conta la sequenza delle molecole di RNA, conta solo la loro struttura e composizione chimica.

A conferma che la ricerca sta andando più in fretta della nostra capacità di inquadrarla in schemi rigidi che ormai non valgono più.

Un grafico sui vaccini mrna e tumori

I giornali, il vero finto de Blasio, e la fine del mondo in cui il nigeriano prova a fregarti (linkiesta.it)

di

Burloni e babbei

Un giornalista del Times di Londra ha intervistato via email l’ex sindaco di New York, ma non era lui, era un omonimo.

È la parabola di una professione che non verifica più nulla, convinta che la rete sia una fonte e non una trappola

Vi ricordate quel secolo lontano in cui, per sapere cosa succedeva nei posti in cui non abitavate, leggevate i giornali dei posti in cui abitavate, e quei giornali avevano inviati negli altri posti, corrispondenti dagli altri posti, gente che vi raccontava nella vostra lingua cosa accadesse negli altri posti, e voi vi fidavate e vi reputavate informati? A raccontarlo oggi, è l’età dell’innocenza.

Uno dei pochi settori in cui l’internet non ha fallito la propria opera di democratizzazione è l’aver reso noto a tutti quel che una volta sapevano solo quelli che viaggiavano e quelli che facevano i giornali: se non sai le lingue, non saprai mai cosa succede altrove, giacché tutti i giornalisti mandati all’estero sono dei cialtroni.

Hanno un sacco di attenuanti, dal fuso orario all’essere in posti in cui è più difficile avere fonti rispetto ai luoghi in cui sei cresciuto, ma è una regola – le eccezioni alla quale dipendono solo ed esclusivamente dalla buona volontà e dal talento del singolo: e buona volontà e talento sono, nel giornalismo come altrove, caratteristiche rare.

Fuori dalle eccezioni, nel migliore dei casi colui che vi racconta in italiano ciò che è successo a Londra o a New York o a Tokyo tradurrà decentemente quel che hanno scritto i giornali locali. Nel più medio dei casi, lo tradurrà male. Nel peggiore dei casi, inventerà, certo che nessuno se ne accorga; più certo ora di quanto lo fosse prima, visto che ora avremmo sì strumenti per controllare, ma quasi nessuno legge più niente e nessuno capisce più quel che legge.

Poi ci sono anche i casi di clamorosa sfiga. Quello dell’incompetenza è un settore molto competitivo, ed è evidente che la storia londinese del momento, quella dell’intervista all’imitatore dell’ex sindaco di New York scambiato da un inviato per il vero ex sindaco di New York, è la risposta inglese all’affaire Mauro Corona.

Ah sì, voi avete lo scrittore con le pagine mancanti la cui motivazione è che invece di consegnare un libro all’editore quello gli consegna un quaderno? E noi abbiamo un inviato in America che manda una mail all’ex sindaco a un indirizzo che però non è quello dell’ex sindaco ma a cui si trova qualcuno che si prende l’incomodo di rispondere come fosse l’ex sindaco: giochiamo a chi ha la sospensione dell’incredulità più grossa, dai.

È andata così. Martedì il Times, quello di Londra, pubblica un articolo di Bevan Hurley, un neozelandese che prima copriva l’America per l’Independent (altro quotidiano inglese), e ora lavora da New York per il Times. Sarà che Rupert Murdoch (proprietario del Times, e anche del New York Post) vuole dei pezzi contro Mamdani, e quindi Hurley si è affrettato a cercare Bill de Blasio, sindaco fino al 2021, che gli avevano detto avesse delle perplessità su Mamdani? Sarà quel che sarà, fatto sta che il povero Hurley scrive a una mail che qualcuno gli ha detto essere di de Blasio, e riceve delle risposte e le pubblica.

Lo so che le fonti sono un problema, per quelli all’estero: ieri sempre il Times aveva un pezzo su quelli che danno le case in affitto su Airbnb contro Giorgia Meloni, in cui venivano virgolettati con ampiezza da capi di Stato un sessantaduenne che affitta ai turisti la casa che ha ereditato a Montevarchi, località toscana nota agli italiani non di zona perché lì c’è l’outlet di Prada, e una cassiera di supermercato che a Sassari ha comprato un appartamento per ricavare dai turisti un secondo reddito.

Se avete un po’ di consuetudine coi giornali, non vi chiederete se gli intervistati siano rappresentativi di qualcosa: sapete che il povero tizio che sta a Roma per il Times ha chiesto a qualche suo amico che avesse usato un Airbnb, uno gli ha detto avevamo questo proprietario simpatico vicino Arezzo, un altro era andato in Sardegna e aveva ancora il contatto della cassiera, ed ecco che il pezzo era fatto. Il giornalismo è una scienza inesatta che si basa su quali numeri hai in rubrica.

Io, che sono la più competitiva nel settore dell’incompetenza, ho visto l’articolo su Montevarchi spiegata agli inglesi ma non l’intervista al presunto ex sindaco: ho bucato la notizia e non mi sono accorta di niente fino al tweet di de Blasio, che è delle dieci e mezza, ora italiana, di martedì sera. «Non ho mai parlato con quel giornalista, non ho mai detto quelle cose. Quei virgolettati non sono miei, non rispecchiano il mio punto di vista».

Abituati ai dichiaratori che si pentono d’aver dichiarato, non prenderemmo troppo sul serio il tutto, non fosse che il Times non solo toglie l’intervista dal sito, ma fa pure un comunicato ufficiale: il loro giornalista è stato tratto in inganno (??) da uno che si è spacciato per de Blasio (???).

Ma come fa uno a fingersi un altro per mail? A che mail hai scritto, Bevan? Naturalmente i giornalisti si esaltano per questa storia: ogni volta che la cialtronata la combina così grossa un altro, è una di meno delle tue cialtronate medie che si notano. Ognuno dice la sua. Il Times di Londra dice che il tizio li ha truffati (ma in che modo? Vi ha scritto lui?).

Il New York Times che era un imitatore (tipo quelli di Liz Taylor e Pavarotti: corriamo a controllare se qualche inviato a Sanremo abbia mai pubblicato interviste alla sosia scambiandola per la vera Liz). Gli americani dicono che, sebbene i virgolettati fossero innocue ovvietà – il de Blasio che non lo era si chiedeva dove Mamdani pensasse di trovare i soldi per rendere gratuito tutto, dagli asili agli autobus – il vero de Blasio non le avrebbe comunque dette: de Blasio detesta Cuomo più di chiunque e mai direbbe una cosa che lo avvantaggia, solo uno d’un giornale inglese poteva crederci, era un inganno in cui sarebbe cascato solo un forestiero, come i fettuccini Alfredo nei ristoranti di Trastevere.

Mentre io passo il mercoledì a interrogarmi sul principe nigeriano al quale scrivi tu, e su come possa mai funzionare l’inversione del meccanismo, basato appunto sul fatto che sia lui a contattarti spacciandosi per un principe che ti vuole intestare i gioielli della corona ma per farlo ha prima bisogno di prendere due spicci per le marche da bollo dal tuo conto, mentre io cerco invano d’immaginare come possa capitare che uno sbagli mail e parli con un de Blasio che non lo era, Ben Smith di Semafor nota che, in altre circostanze, una storia del genere sarebbe perfetta per il New York Post. Che però non può dilettarsi a massacrare il giornale dello stesso proprietario.

Ci devono quindi pensare proprio quelli di Semafor, che ieri ci servono una cosa che non si vede praticamente mai in nessuna commedia con giallo da “Misterioso omicidio a Manhattan” in giù: una soluzione del giallo esilarante quanto il resto della trama.

Il DeBlasio cui ha scritto il povero Bevan si scrive, tanto per cominciare, attaccato, e con la D maiuscola. Si avventura, l’uomo del giorno, anche in deliranti specifiche quali «la d minuscola è per le classi sociali inferiori»: l’intera nobiltà nera romana ha qualcosa da obiettare, non c’è pronipote di Papa che non abbia la d minuscola, adesso stai a vedere che il proprietario d’un’enoteca di Long Island si sente di classe sociale superiore a Domietta del Drago.

Il DeBlasio che ha risposto alla mail dice a Semafor ma che volete da me, io mi chiamo Bill DeBlasio, «mica ho mai detto che ero il sindaco, né lui mi ha chiamato “signor sindaco”», mi ha scritto dicendo che voleva sapere la mia su Mamdani e io gliel’ho detta. Sarebbe bellissimo se avesse pensato che voleva sapere la sua in quanto proprietario di enoteca, ma no: il DeBlasio maiuscolo dice che ha capito l’equivoco e ha deciso di non scioglierlo.

E, poiché è abbastanza tecnologico da rispondere a Semafor dal videocitofono di Long Island pur trovandosi in Florida (io neanche sapevo esistessero queste diavolerie moderne), precisa che, per le risposte, si è rivolto a ChatGPT.

Pensavamo che la rovina dei giornali fossero le intelligenze artificiali usate dalle redazioni – l’altro giorno il Wall Street Journal, che evidentemente non fa fare la correzione di bozze agli umani, ha pubblicato un articolo sulla Paramount in cui la dirigente Cindy Holland si chiamava Cindy the Netherlands – e invece il guaio sono gli intervistati che, così come da soli non scrivono più il biglietto di buon compleanno alla zia, neanche le risposte a domande che non erano per loro.

Quindi, riepilogando. Bevan Hurley avrà tirato a indovinare: se non sai la mail di qualcuno sarà nome punto cognome chiocciola gmail, no? Cosa potrà mai andar storto. Ha scritto a principe punto nigeriano e gli ha detto ma non è che vuoi farmi erede universale e intanto ti serve il pin del mio bancomat, e un commerciante di vino di Long Island gli ha risposto: certo che sì.

Formiamo due file ordinate. Da una parte quelli che si chiedono perché, stando Hurley a New York, non sia andato a far visita all’ex sindaco: non lo sa che i giornali si fanno consumando-le-suole? Dall’altra quelli che non sono mica sicuri che, vedendolo al videocitofono, si sarebbe accorto che non era lui: questi italoamericani si somigliano tutti.

DeBlasio maiuscolo attaccato ha detto a Semafor che lui ha risposto per divertimento, mica pensava finisse sul giornale, pensava che avrebbero controllato. Ha cinquantanove anni. È cresciuto nella convinzione che la gente sapesse fare il proprio lavoro.

Mica è facile adattarsi a un mondo nuovo in cui il principe nigeriano è così sfaccendato che devi scrivergli tu.