Tutti gli affari di Donald nei primi 100 giorni (corriere.it)

di Milena Gabanelli e Claudio Gatti

Le società di famiglia a capofitto nel business 
delle cripto in corso 19 progetti 

con governi stranieri e fondi sovrani sospese le leggi contro cripto-frodi, tangenti e riciclaggio

A nascondersi dietro all’accentramento di potere, alle intimidazioni e vendette politiche, alle deportazioni extraterritoriali, all’uso sistematico della menzogna e alle altalene sui dazi, c’è la trasformazione dell’Ufficio Ovale in un centro di arricchimento personale senza precedenti storici.

Partiamo dalla passione di Trump per le criptovalute, da lui denunciate per anni in quanto rifugio per truffatori e spacciatori. È attratto soprattutto dai memecoin, un tipo di criptomoneta speculativa sostenuta solo dal «pompaggio» social e dalla propaganda.

Le società di famigliaIl 17 gennaio, 3 giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca, Trump lancia il $TRUMP. Oggi sulla carta capitalizza 2,5 miliardi di dollari, e l’80% delle società anonime che hanno creato quel memecoin (CIC Digital LLC e Fight Fight Fight LLC) sono attribuite alla famiglia del presidente.

È vero che quel denaro smetterà di essere virtuale solo quando i Trump decideranno di vendere, ma sono già centinaia di milioni il reddito prodotto dagli scambi, e per tenerli alti, il 23 aprile scorso, Trump ha annunciato che i 200 investitori che entro il prossimo 12 maggio avranno comprato più $TRUMP riceveranno «l’invito più esclusivo al mondo», e cioè «una cena privata in sua compagnia», seguita da un tour della Casa Bianca. Nelle 48 ore successive il valore del meme è schizzato di oltre il 60% e gli scambi hanno generato commissioni per quasi un milione di dollari.

Il 22 aprile la Trump Media & Technology Group ha annunciato l’ accordo con la piattaforma Crypto.com per la quotazione del valore di un paniere di criptovalute, in partnership con Yorkville Advisors, che, nel frattempo, ha acquistato oltre 17 milioni di azioni della stessa Trump Media.

Gli accordi a strascico

Il Wall Street Journal e altri media americani hanno riportato che i Trump stanno negoziando due accordi con Binance, la più grande piattaforma di crypto-trading. Il primo riguarda l’acquisizione di una partecipazione, il secondo la quotazione di una nuova criptovaluta agganciata al dollaro emessa da World Liberty Financial, altra società della famiglia del presidente, che tra i fondatori ha Steve Witkoff, il super-mediatore per la pace che da mesi sta negoziando con Vladimir Putin.

Binance era uscita dal mercato Usa nel 2023, dopo aver ammesso la violazione delle leggi sul segreto bancario, e pagato una multa di 4,3 miliardi di dollari al Dipartimento di Giustizia e una di 2,7 miliardi di dollari alla Commodity Futures Trading Commission.

Per rientrare ora sta trattando con il Dipartimento del Tesoro un’applicazione più morbida di quelle leggi. Il secondogenito Eric Trump ha inoltre annunciato il lancio di American Bitcoin, una nuova società di mining che punta a diventare «il più grande ed efficiente miner di Bitcoin al mondo». La DTTM Operations LLC, società che controlla tutti i marchi della Trump Organization, ha invece presentato domanda di registrazione di un nuovo marchio per commercializzare il cognome del presidente in piattaforme di NFT, i beni per le speculazioni virtuali.

Violate le norme presidenziali

Siamo di fronte a un caso unico dalla fine della seconda guerra mondiale. Le norme di comportamento presidenziale, intese a ridurre i rischi di corruzione, impongono infatti di liberarsi dei propri asset finanziari e di rendere pubblica la dichiarazione dei redditi. Regole osservate da tutti i presidenti eletti, democratici e repubblicani.

Fino al 2016, quando Trump decise di non fare né l’una né l’altra cosa. E non l’ha fatto neppure in questo secondo mandato. Secondo la Citizens for Responsibility and Ethics (CREW), durante la sua prima amministrazione Trump ha accumulato oltre 3.400 casi di conflitti di interesse.

La minoranza democratica alla Camera ha inoltre denunciato il fatto che nei primi due anni di quel mandato, vari governi stranieri (tra i quali quelli di Cina, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait e Malesia) hanno speso quasi 20 milioni di dollari nelle varie proprietà immobiliari di Trump al fine di coltivare il favore del presidente. I calcoli sui secondi due anni sono stati bloccati nel 2022 dalla maggioranza repubblicana. Ma il primo mandato è stato solo il giro di prova del secondo.

Leggi e ostacoli soppressi

Il 25 gennaio Trump ha licenziato in tronco gli ispettori generali di 17 dei maggiori enti governativi. Quindici giorni dopo ha rimosso il direttore dell’Office of Government Ethics, David Huitema, il cui mandato quinquennale era appena stato ratificato dal Senato.

Huitema veniva da decenni di carriera legale costruita attorno a questioni di etica nel governo. Al suo posto Trump ha scelto Jamieson Greer, un avvocato esperto di commercio estero, sostenitore dei dazi, e assolutamente privo di esperienza in materia.

Dopodiché, con un ordine esecutivo, Trump ha istruito il Dipartimento di Giustizia a sospendere l’applicazione del Foreign Corrupt Practices Act, la legge che vieta alle aziende americane di pagare tangenti per fare affari all’estero. Il 2 marzo, il Dipartimento del Tesoro ha annunciato che non avrebbe più applicato il Corporate Transparency Act, la normativa per combattere il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e le violazioni della legge da parte di investitori anonimi.

Il 7 aprile il Dipartimento della Giustizia ha sciolto il National Cryptocurrency Enforcement Team, l’ufficio che si occupa delle frodi cripto-valutarie. Per la Sec (equivalente alla nostra Consob), Trump ha scelto come presidente Paul S. Atkins, ex consigliere di operatori cripto. E la Sec ha prontamente annunciato di aver archiviato una dozzina di cause e indagini aperte su società emittenti di criptovalute.

Fra queste la Crypto.com, piattaforma partner di Trump Media. Destinate a chiudersi sono anche le indagini a carico di Justin Sun, un imprenditore di criptovalute che ha investito almeno 75 milioni di dollari nella cripto-moneta $WLFI, lanciata dalla società dei Trump World Liberty Financial.

In affari con i governi stranieri

Sul fronte degli emolumenti da governi esteri, Trump rischia di violare la costituzione. Il 4 aprile scorso ha partecipato in Florida a un torneo della lega di golf creata dal Public Investment Fund, il fondo sovrano saudita da 925 miliardi di dollari. Poi ha soggiornato nel suo club di Mar-a-Lago, insieme agli sponsor del torneo. Tra gli ospiti: Yasir al-Rumayyan, gestore del fondo saudita, i dirigenti della Riyadh Air, la compagnia aerea saudita, e quelli dell’Aramco, la compagnia petrolifera statale.

L’associazione CREW ha calcolato che nei quattro anni di questo secondo mandato, le società di Trump saranno impegnate in 19 progetti sparsi per il mondo. In Oman, la Trump Organization sta realizzando un hotel, un campo da golf e residenze private su terreni di proprietà del governo. In Serbia, Affinity Global Development, la società immobiliare del genero del presidente, sta costruendo un hotel con il brand «Trump» su un terreno del governo.

In Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, Trump è in partenariato con la Dar Global, società saudita legata al governo. E poi ci sono otto progetti in India (con le società Trump Towers e Trump Organization) e altri in Vietnam (Trump International Vietnam) e Uruguay (Trump Tower Punta del Este).

Da presidente, Trump potrà prendere decisioni su questioni che interessano quei Paesi valutando il possibile impatto sui suoi profitti. Da parte loro, i governanti di quegli stessi Paesi potranno scegliere se applicare le normative vigenti, oppure riservargli un trattamento speciale.

Per il portafogli della famiglia Trump i primi 100 giorni sono stati senz’altro un successo. E attenzione ai giornalisti critici: dopo averli definiti per anni «feccia umana», dopo aver fatto una causa da 20 miliardi di dollari alla Cbs, giusto 2 giorni fa ha tagliato tutti i finanziamenti già stanziati dal Congresso alle emittenti pubbliche NPR e PBS.

Riformisti Pd, Quartapelle: “Andare oltre Landini e il referendum, la priorità va data agli stipendi bassi non a leggi di dieci anni fa” (ilriformista.it)

di Aldo Torchiaro

"I sindacati stessi sono spaccati"

Onorevole Lia Quartapelle, riformista del Pd e tra le firmatarie della lettera dei sei riformisti sui referendum voluti dalla Cgil indica l’esigenza di fissare un punto fermo, di dire: non ci stiamo.

«Secondo me è sempre giusto motivare i propri voti. E questo abbiamo voluto fare: abbiamo spiegato cosa faremo al referendum e perché».

La posizione che avete assunto come riformisti Pd è articolata. Darete alcuni sì e alcuni no.

«Sì, il Pd è un partito plurale. Noi siamo a favore dei quesiti sulla cittadinanza, convintamente. E a favore di una riforma sui sub-appalti. I quesiti della Cgil sul Jobs Act no, non li voteremo. La stessa segretaria quando ne ha parlato in direzione ha detto che lei, per una questione di coerenza, li aveva firmati. Ma che non chiedeva lo stesso a chi in passato aveva votato per quella legge».

Che è una legge del Pd. Ma ritirerete tutte le schede e voterete no, o non ritirerete le schede, dunque astenendovi?

«Non li voteremo. Ciascuno deciderà come fare: io personalmente, non ritirerò le schede sul lavoro».

C’è più in generale una tendenza landinista che sta dettando la linea anche al Pd…

«La ragione per la quale crediamo che questi referendum siano da rigettare guarda oltre alla polemica con Landini: i lavoratori italiani non meritano quesiti di questo tipo, che guardano alla situazione del lavoro di dieci anni fa, sulla quale era intervenuta una legge dieci anni fa. Oggi la situazione è diversa e la priorità andrebbe data agli stipendi, ancora i più bassi d’Europa. Pensiamo ci voglia energia, concentrazione, mobilitazione per ragionare sul lavoro dei prossimi dieci anni, non per guardare al passato di dieci anni fa».

Troppa attenzione al passato e poca sul futuro, da parte del sindacato?

«Sì ma attenzione, i sindacati stessi sono spaccati. Cgil li ha voluti e li vota. Cisl non li vuole e non li vota. Uil lascia libertà di coscienza. Basterebbe questo per far capire la debolezza di quei quesiti».

Verrebbe da chiedersi quale dibattito, quale momento di discussione e di elaborazione c’è stato nel Pd. E invece, temo, nessuno…

«Noi abbiamo cercato di fare dibattito con questa lettera. Per tornare a rappresentare il mondo del lavoro serve un lavoro politico duro e faticoso, che non si può accontentare di smantellare un feticcio di tanti anni fa. Bisogna tornare ad ascoltare le persone, entrare in contatto con la realtà di milioni di famiglie in cui si lavora sodo ma non si arriva a fine mese. Oggi gli italiani a casa si chiedono con quali soldi si pagheranno le vacanze, non credo discutano animatamente di Jobs Act».

È alle viste nel Pd un momento di confronto? Non dico un congresso, che mi sembra una parola tabù, ma almeno una conferenza programmatica sul lavoro che cambia?

«Questo dibattito riguarda i sindacati, il mondo datoriale, gli imprenditori, il mondo dell’innovazione. Manca sicuramente un dibattito nella politica, nei partiti. Il nostro contributo non voleva essere polemico ma, appunto, chiedere che del nuovo mondo del lavoro si torni a discutere sul serio».

Jobs Act, Difesa europea, Ucraina… si stanno aprendo molti fronti tra riformisti e schleiniani.

«Questa è una fase in cui stiamo discutendo. Antonio Monda, direttore del New Yorker, ricorda che i Democratici americani ai tempi di Kennedy sapevano rappresentare mondi molto diversi, tenendoli insieme. Dobbiamo guardare a quel modello, con ascolto e piena cittadinanza per tutte le idee: gli elettori vogliono una opzione alternativa al centrodestra. Nel nostro campo va costruita un’alleanza ampia, che sappia dare voce ai riformisti. Con una visione chiara del futuro e la capacità di tenere insieme da Avs a Iv, Azione, PiùEuropa. Si comincia dando spazio a tutte le idee».

LIA QUARTAPELLE, POLITICA

L’ennesimo elenco degli effetti collaterali (butac.it)

di maicolengel butac

Complottismi

L’ennesima volta in cui si cerca di far passare effetti avversi non verificati come direttamente correlati al vaccino

C’è un’immagine che circola da un po’ e che ultimamente avete ricominciato a segnalarci, quella che vedete qui sopra, che riporta in rosso la scritta:

PFIZER HA PUBBLICATO L’ELENCO DEGLI EFFETTI COLLATERALI DEL SUO VACCINO COVID, LA SPERIMENTAZIONE SULL’ESSERE UMANO HA PORTATO I SEGUENTI RISULTATI:

E a seguire, un lunghissimo elenco di condizioni cliniche, che sembra uscito da una puntata particolarmente tragica di Grey’s Anatomy (che ho scoperto solo da poco essere arrivato a 22 stagioni):

Trombosi del sangue. Danno renale acuto, Mielite flaccida acuta, Anticorpi antisperma positivi, Embolia del tronco encefalico, Trombosi del tronco encefalico, Arresto cardiaco (centinaia di casi), Insufficienza cardiaca, Trombosi ventricolare cardiaca, Shock cardiogeno, Vasculite del sistema nervoso centrale, Morte neonatale, Trombosi venosa profonda, Encefalite del tronco encefalico, Encefalite emorragica, Epilessia del lobo frontale, Con la schiuma alla bocca, Psicosi epilettica, Paralisi facciale, Sindrome da sofferenza fetale, Amiloidosi gastrointestinale, Crisi tonico-clonica generalizzata, Encefalopatia di Hashimoto, Trombosi vascolare epatica, Riattivazione dell’herpes zoster, Epatite immunomediata, Malattia polmonare interstiziale, Embolia della vena giugulare, Epilessia mioclonica giovanile, Danni al fegato, Basso peso alla nascita, Sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini, Miocardite, Convulsioni tonico-cloniche, Polmonite, Nati morti, Tachicardie, Epilessia del lobo temporale, Autismo, Miocardite fetoscopiche, Ictus trombotico, Diabete mellito di tipo 1, Trombosi venosa neonatale, Trombosi dell’arteria vertebrale, Pericardite, Morte improvvisa.

Ma chiariamo subito una cosa: l’elenco che viene riportato NON è un elenco di effetti collaterali confermati, bensì una raccolta di eventi avversi segnalati spontaneamente, e non implica alcuna relazione di causa-effetto con il vaccino. È un principio base della farmacovigilanza, che cerchiamo di spiegare da tempo, ma che continua a venir travisato, spesso in modo strumentale.

La lista in questione appare in documenti ufficiali, come quelli pubblicati dal governo britannico o dalla stessa Pfizer, all’interno dei report di sicurezza post-autorizzazione. E proprio in testa a questi documenti ci tengono a precisare chiaramente che:

A report of a suspected ADR to the Yellow Card scheme does not necessarily mean that it was caused by the vaccine, only that the reporter has a suspicion it may have. Underlying or previously undiagnosed illness unrelated to vaccination can also be factors in such reports.

Che tradotto:

La segnalazione di una sospetta reazione avversa al sistema di farmacovigilanza britannico (chiamato Yellow Card) non implica necessariamente che sia stata causata dal vaccino, ma solo che il segnalante sospetta un collegamento. Anche condizioni pregresse o malattie non diagnosticate possono essere alla base della segnalazione.

Uno dei documenti in cui quest’elenco di segnalazioni avverse è stilato da Pfizer, nel 2022, ben tre anni fa, e anche in questo caso a inizio rapporto leggiamo:

This document provides an integrated analysis of the cumulative post-authorization safety data, including U.S. and foreign post-authorization adverse event reports received through 28 February 2021.

The limitations of post-marketing adverse drug event reporting should be considered when interpreting these data:

  • Reports are submitted voluntarily, and the magnitude of underreporting is unknown. Some of the factors that may influence whether an event is reported include: length of time since marketing, market share of the drug, publicity about a drug or an AE, seriousness of the reaction, regulatory actions, awareness by health professionals and consumers of adverse drug event reporting, and litigation.
  • Because many external factors influence whether or not an AE is reported, the spontaneous reporting system yields reporting proportions not incidence rates. As a result, it is generally not appropriate to make between-drug comparisons using these proportions; the spontaneous reporting system should be used for signal detection rather than hypothesis testing.
  • In some reports, clinical information (such as medical history, validation of diagnosis, time from drug use to onset of illness, dose, and use of concomitant drugs) is missing or incomplete, and follow-up information may not be available.
  • An accumulation of adverse event reports (AERs) does not necessarily indicate that a particular AE was caused by the drug; rather, the event may be due to an underlying disease or some other factor(s) such as past medical history or concomitant medication.

Che tradotto:

Questo documento fornisce un’analisi integrata dei dati di sicurezza cumulativi raccolti dopo l’autorizzazione del vaccino, includendo le segnalazioni di eventi avversi ricevute sia dagli Stati Uniti che da altri Paesi fino al 28 febbraio 2021.

Le limitazioni delle segnalazioni di eventi avversi ai farmaci dopo l’immissione in commercio devono essere tenute in considerazione nell’interpretazione di questi dati:

  • Le segnalazioni vengono inviate su base volontaria, e non si conosce l’entità della sottosegnalazione. Alcuni fattori che possono influenzare se un evento venga segnalato o meno includono: quanto tempo è passato dalla messa in commercio del farmaco, la sua diffusione sul mercato, l’attenzione mediatica sul farmaco o sull’evento avverso, la gravità della reazione, eventuali provvedimenti normativi, e la consapevolezza da parte di medici e pazienti dell’esistenza di sistemi di segnalazione, oltre a eventuali cause legali in corso.
  • Poiché molti fattori esterni influenzano se e come un evento avverso venga segnalato, i dati raccolti con questo sistema riflettono solo proporzioni di segnalazione e non tassi di incidenza. Di conseguenza, non è corretto confrontare farmaci diversi usando queste proporzioni; il sistema di segnalazione spontanea serve a individuare segnali sospetti, non a testare ipotesi scientifiche.
  • In alcune segnalazioni mancano informazioni cliniche importanti (come storia medica, conferma della diagnosi, tempo intercorso tra l’assunzione del farmaco e l’inizio dei sintomi, dose somministrata, o uso di altri farmaci contemporanei); inoltre, potrebbero non essere disponibili aggiornamenti o dettagli successivi.
  • Un alto numero di segnalazioni di un evento avverso non significa necessariamente che quell’evento sia stato causato dal farmaco. L’evento può essere dovuto a una malattia preesistente, oppure ad altri fattori come la storia clinica del paziente o l’uso concomitante di altri medicinali.

Ma chi diffonde l’immagine queste cose non le dice

Perché? Perché non gli interessano i dati, non interessa la scienza, interessa solo far paura. Sono disinformatori seriali, e usano ogni mezzo per seminare il dubbio e la sfiducia, approfittando di un tema delicato come la salute pubblica.

Quelle frasi tipo “sperimentazione sull’essere umano” servono solo a creare panico e indignazione. Perché, come ripetiamo spesso su BUTAC: “La paura fa novanta”.

E la paura è l’arma preferita di chi disinforma.

Concludendo

Diffondere liste come quella dell’immagine, fuori contesto e senza spiegazioni, è disinformazione bella e buona. I dati vanno letti, compresi e contestualizzati. E per farlo serve spirito critico, non solo una condivisione impulsiva e indignata.

Se un elenco medico sembra troppo assurdo per essere vero… beh, probabilmente non è vero, o non è vero come ve lo stanno raccontando.

Non credo sia necessario aggiungere altro.

L’allarme di Draghi: «I dazi di Trump un punto di rottura, l’Europa si svegli e impari a crescere da sola» (open.online)

di Bruno Gaetani

L'ex premier interviene al summit sull'innovazione 
di Coimbra e torna a pungere i decisori Ue: 
«Così il mercato dell'energia è una palla al piede»

È già da diversi anni che «la situazione si stava deteriorando», ma la guerra commerciale scatenata dagli Stati Uniti rappresenta «un punto di rottura».

A parlare è Mario Draghi, intervenuto al XVIII summit sull’innovazione Cotec a Coimbra, in Portogallo. L’ex premier italiano ed ex presidente della Bce torna a suonare la sveglia all’Europa e prova a dire la sua su ciò che potrebbe accadere nel Vecchio Continente dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

«Le recenti azioni dell’amministrazione statunitense avranno sicuramente un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali si attenuano, è probabile che l’incertezza permanga e agisca da vento contrario per gli investimenti nel settore manifatturiero dell’Ue», dice Draghi.

La difficile via d’uscita dai dazi americani

Secondo l’ex premier, il terremoto politico e diplomatico provocato da Trump rappresenta l’occasione perfetta per riflettere su ciò che di buono e di sbagliato è stato fatto dall’Unione europea negli ultimi anni. Innanzitutto, dice Draghi, «dovremmo chiederci perché abbiamo smesso di essere nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita.

E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli». Ma ora che siamo nel pieno della tempesta dei dazi, «non possiamo diversificare dagli Stati Uniti nel breve periodo» e «le speranze che l’apertura al mondo possa sostituire gli Stati Uniti saranno probabilmente deluse». Insomma, non ci sono alternative: «Dovremo trovare un accordo con gli Stati Uniti per mantenere aperto il nostro accesso», sentenzia l’ex presidente della Bce, incaricato da Bruxelles di redigere un report sulla competitività europea.

I tre errori dell’Ue su austerità, produttività e salari

Sul lungo termine, continua Draghi, «è un azzardo credere che il commercio con gli Stati Uniti tornerà alla normalità dopo una rottura unilaterale così importante».

Se l’Europa vuole davvero dipendere meno dagli Usa, dunque, dovrà iniziare a fare in modo di creare da sola le condizioni per la propria crescita economica. Già, ma come può farlo? Draghi suggerisce tre ambiti su cui è necessario correggere il tiro. Innanzitutto, «la politica di bilancio restrittiva», che ha portato a un calo degli investimenti pubblici. Poi c’è «l’attenzione alla competitività esterna rispetto alla produttività interna».

Dal 2000, fa notare l’ex premier, «la crescita annuale della produttività del lavoro nell’Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario cumulativo di produttività di 27 punti percentuali nell’intero periodo». Infine, al terzo punto, c’è la questione legata agli stipendi. «I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo anche con la nostra lenta produttività», sottolinea ancora Draghi.

I prezzi dell’energia come «minaccia esistenziale»

La ricetta per rilanciare la competitività dell’Europa include un altro punto ribadito in più occasioni da Draghi: abbassare i prezzi dell’energia, che rappresentano – ha scandito l’ex premier dal vertice di Coimbra – «una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività, un onere insostenibile per le nostre famiglie e, se non affrontati, rappresentano la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione».

E a proposito di politiche energetiche, il blackout che ha colpito Spagna e Portogallo – su cui ancora si indaga per accertare le cause esatte – ha reso ancora più evidente la necessità di investire nelle infrastrutture di rete. «Dobbiamo realizzare un grande piano di investimenti a livello europeo per costruire le reti e le interconnessioni necessarie a rendere una rete basata sulle rinnovabili e adeguata alla trasformazione energetica a cui aspiriamo», ha sottolineato Draghi.

Dopodiché, occorre «riformare il funzionamento del nostro mercato energetico, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e delle rinnovabili», perché «è scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi consolidati».

Il debito comune e le politiche di difesa

Infine, c’è il capitolo dedicato al riarmo. Nel suo discorso a Coimbra, Draghi ricorda come l’Ue abbia «riformato le sue regole fiscali e attivato la “clausola di salvaguardia” per facilitare l’aumento delle spese per la difesa». Eppure, finora solo 5 dei 17 Paesi dell’area euro hanno optato per un periodo di aggiustamento prolungato.

«Quando il debito è già elevato – ha precisato l’ex presidente della Bce – l’esenzione di categorie di spesa pubblica dalle regole di bilancio può arrivare solo fino a un certo punto. In questo contesto, l’emissione di debito comune dell’Ue per finanziare la spesa comune è una componente chiave della tabella di marcia».