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La Giornata della Vittoria e il difficile rapporto della Russia con la sua storia
E’ il 9 maggio, giorno in cui la Russia festeggia la Giornata della Vittoria. Con essa si ricorda e si celebra la fine della guerra contro la Germania nazista – la fine, in particolare, della Grande Guerra Patriottica.
Tale ricorrenza è divenuta negli anni sempre più importante per la Russia e proprio per questo col presente editoriale intendiamo soffermarci su di essa e sui tratti fondamentali sia della storia che della memoria di quegli eventi, vale a dire come essi sono ricordati, soprattutto dalle istituzioni russe.
Ovviamente, non pretendiamo con queste brevi righe di esaurire una tematica tanto ampia, complessa e a suo modo affascinante, ma speriamo di suscitare la curiosità di qualcuno e di mostrare a tutti che dietro questa ricorrenza si nasconde un groviglio di fatti, interpretazioni e strumentalizzazioni capaci di raccontarci tanto dei molti problemi della Russia odierna, della sua percezione dell’Europa odierna e degli eventi che continuano a sconvolgere l’Ucraina.
Buona lettura.
1. La Grande Guerra Patriottica
Ci sarà capitato più volte, questo e gli scorsi anni, di sentire o leggere che il 9 maggio in Russia si festeggia la vittoria sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale: lo fanno ad esempio Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 Ore, Il Giornale e Rai News. A volte, poi, qualcuno precisa che il nome con cui quella guerra è conosciuta in Russia è “Grande Guerra Patriottica”.
Ecco, il problema è proprio questo: i due termini non sono in realtà intercambiabili.
La differenza fondamentale è una, vale a dire la data d’inizio. Infatti, quella della Seconda Guerra Mondiale è il 1° settembre 1939, mentre quella dell’altra è a quasi due anni di distanza, il 22 giugno 1941. Da questa differenza fondamentale ne discendono inevitabilmente altre: la rilevanza degli eventi intercorsi tra le due determinano infatti differenze sia a livello di contesto che di interpretazione storica. Questo lo si può cogliere già solamente a un confronto tra carte politiche dell’Europa al 1939 e al 1941.
Potete trovare le due immagini qui e qui, ma proviamo adesso a dare loro un po’ di profondità.
Il 1939 si era aperto con il progressivo disfacimento della Cecoslovacchia, culminato il 15 marzo nella creazione del Protettorato di Boemia e Moravia da parte di Hitler. Questo fu, in un certo senso, l’atto finale della politica dell’Appeasement, volta a soddisfare le pretese del dittatore tedesco nella speranza di evitare il ripetersi della tragedia della Prima Guerra Mondiale.
Nonostante questa speranza, la Germania hitleriana faceva comunque paura e nei mesi successivi sono stati intavolati dei negoziati tra Inghilterra, Francia e URSS con l’obiettivo di coordinare una risposta militare nel caso in cui il dittatore tedesco avesse fatto risprofondare il continente nella guerra. Questi fallirono a causa soprattutto della diffidenza reciproca tra i tre, seppure i problemi furono molteplici, tra cui uno significativo, soprattutto in virtù di quanto accaduto successivamente:
I sovietici hanno proposto di considerare che una svolta politica verso la Germania da parte dei Paesi Baltici possa costituire una “aggressione indiretta” ai danni dell’Unione Sovietica. L’Inghilterra si è opposta a tale proposta per paura che il linguaggio proposto dai sovietici possa giustificare un loro intervento in Finlandia e nei Paesi Baltici o possa spingere quei paesi a cercare relazioni più strette con la Germania. La discussione sulla definizione di “aggressione indiretta” è divenuta uno dei punti critici per le parti coinvolte e per la metà di luglio i negoziati politici tripartiti si sono nei fatti arenati.
L’obiettivo di Stalin era quello di porre fine all’isolamento sovietico e per farlo aveva iniziato a stringere rapporti con i tedeschi già in aprile: questi culminarono nella stipula del Patto Molotov-Ribbentrop.
Si trattava di un patto di non aggressione contenente un protocollo segreto i cui articoli recitavano:
Article I. Nell’eventualità di un riassetto politico e territoriale nelle aree appartenenti agli Stati Baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania), il confine settentrionale della Lituania rappresenterà il confine delle sfere di influenza della Germania e dell’URSS […]
Article II. Nell’eventualità di un riassetto politico e territoriale delle aree appartenenti alla Polonia, le sfere di influenza della Germania e dell’URSS saranno delimitate approssimativamente dalla linea dei fiumi Narev, Vistula e San.
Article III. In riferimento all’Europa sudorientale è stata posta attenzione da parte sovietica ai propri interessi in Bessarabia. La parte tedesca dichiara il suo completo disinteresse politico in queste aree.
Article IV. Questo protocollo sarà trattato da ambo le parti come segreto.
Germania e Unione Sovietica si spartivano così l’Europa orientale, la stessa area che l’URSS aveva espresso a Francia e Inghilterra l’intenzione di invadere in caso di “aggressione indiretta”. Da quel momento fino alla Grande Guerra Patriottica assistiamo al susseguirsi dei seguenti avvenimenti:
23 agosto 1939 – Stipula del Patto Molotov-Ribbentrop.
1° settembre 1939 – Invasione nazista della Polonia e inizio della Seconda Guerra Mondiale.
17 settembre 1939 – Invasione sovietica della Polonia.
28 settembre 1939 – Stipula del Trattato di Confine e di Amicizia Tedesco-Sovietico. Si tratta di un’aggiunta di un ulteriore protocollo al Patto Molotov-Ribbentrop ora che i due Paesi, avendo invaso la Polonia da ovest e da est, si trovavano ora ad essere confinanti.
28 settembre, 5 ottobre, 10 ottobre 1939 – Stipula da parte di Estonia, Lettonia e Lituania dei rispettivi Trattati di Mutua Assistenza con l’URSS.
30 novembre 1939 – Invasione sovietica della Finlandia. Il Paese la ricorda come la Guerra d’Inverno, e avrà termine con un trattato di pace il 12 marzo 1940.
15 e 16 giugno 1940 – Ultimatum sovietici a, rispettivamente, Lituania, Lettonia ed Estonia. I tre Paesi sono di fatto obbligati ad accettare il dispiegamento delle truppe dell’Armata Rossa nei loro territori e ha così inizio l’occupazione dei Paesi Baltici. Verranno poi formati nuovi governi e indette elezioni con un’unica lista che raggiungeranno un’inverosimile affluenza di quasi il 100%; le assemblee in questo modo elette presenteranno domanda di ingresso nell’URSS.
4 luglio 1940 – Occupazione della Bessarabia da parte dell’URSS. Si trattava di una porzione di territorio rumeno posto ai confini dell’Unione sovietica.
12-15 novembre 1940 – Il ministro degli esteri russo Molotov raggiunge Berlino per dei colloqui con la controparte tedesca, rappresentata da Ribbentrop, e Hitler in persona. I tre discutono della collaborazione tra le potenze del Patto Tripartito (Germania, Italia e Giappone) e l’URSS, ma senza esiti.
14 giugno 1941 – Pubblicazione di un Comunicato TASS – agenzia stampa ufficiale sovietica – in cui le voci da tempo in circolazione su una possibile invasione nazista dell’URSS vengono descritte come
propaganda goffamente allestita da forze ostili all’Unione Sovietica e alla Germania, forze che hanno tutto l’interesse nell’espansione e nel prolungamento della guerra.
22 giugno 1941 – Inizio dell’Operazione Barbarossa o invasione nazista dell’URSS. Se Stalin se l’aspettasse o meno è tutt’ora materia di dibattito tra gli storici, ma quel che è certo è che nessun timore di un attacco tedesco è stato reso pubblico dalle autorità: il comunicato TASS risaliva infatti a una settimana prima.
Tutti gli eventi riportati in questa brevissima timeline – ne trovate di più corpose su Wikipedia – hanno luogo durante Seconda Guerra Mondiale, ma nessuno, a eccezione ovviamente dell’ultimo, viene ricordato nella Grande Guerra Patriottica.
Se la prima ha avuto inizio subito dopo la spartizione dell’Europa orientale in aree di influenza tra Germania e URSS, e ha visto molteplici aggressioni portate avanti da entrambe le parti, la seconda ha avuto inizio da una non provocata aggressione tedesca ai danni dell’URSS ed è stata combattuta dai sovietici per respingere l’invasore nazista. Così, l’Unione Sovietica si tramuta da invasore in aggredito e da oppressore in liberatore.
Non è un caso che ancora oggi la Federazione Russa non riconosca la Continuità statale dei Paesi Baltici e collochi ancora, dunque, l’indipendenza dei tre Paesi al 1991. I Baltici, però, la collocano al 1918.
Allo stesso modo, non è un caso se l’Ucraina ha celebrato per la prima volta l’8 maggio 2024 – data comune in Europa occidentale in quanto la resa fu firmata in tarda serata, quando a Mosca era già il 9 – il Giorno della Memoria e della Vittoria sul Nazismo nella Seconda Guerra Mondiale 1939-1945. Il nome è lunghissimo, fin troppo per i nostri canoni. Eppure, i termini “memoria”, “Seconda Guerra Mondiale” e le precise date “1939-1945” andavano evidentemente inseriti: essi stanno a evidenziare la volontà ucraina di dissociarsi dal revisionismo russo e avvicinarsi all’esperienza di elaborazione della memoria europea.
Per tutte queste ragioni ogni volta che si usa il termine Grande Guerra Patriottica bisognerebbe tenerne bene a mente il suo portato simbolico e interpretativo, perché in essa tutte le colpe sovietiche scompaiono e quella che viene celebrata ogni 9 maggio a Mosca è precisamente la vittoria di questo tipo di conflitto.
2. Il Giorno della Vittoria e il suo «culto»
Della storia di questa celebrazione, ripresa da Yeltsin nel 1995 ma riportata in auge da Putin nel 2000, parla dettagliatamente la testata russa Novaya Gazeta in un articolo pubblicato appena ieri. La testata nel 2022 è stata costretta prima alla chiusura e poi a spostarsi all’estero per proseguire il lavoro.
Nel 1991, la Russia si ritrovava ad essere erede di un’Unione Sovietica sconfitta nella Guerra Fredda e sgretolatasi dall’interno. In breve, il Paese necessitava di un simbolo attorno al quale ritrovare l’unità e l’orgoglio perduti: Putin scelse il Giorno della Vittoria, in grado sia di ridare dignità alla defunta URSS che di raccogliere attorno a sé un elevatissimo numero di perone, dato che non esiste praticamente famiglia russa che non abbia perso qualcuno in quella guerra.
Alla sua prima celebrazione, il 9 maggio del 2000, Putin chiudeva così il suo intervento:
Cari cittadini russi! Il nostro esercito è stato e rimarrà per sempre l’esercito del popolo. Il nostro soldato ottiene vittorie non solo con le armi, ma anche con lo spirito e la volontà. Sono più duri del metallo, ci aiutano a superare ogni prova, preservando la nostra coscienza e il nostro onore, preservando l’orgoglio per il nostro passato e presente, per la dignità nazionale dello Stato. Così è stato, così è e così sarà.
Gloria ai soldati della Grande Guerra Patriottica!
Gloria al popolo vittorioso!
Gloria al nostro esercito: l’esercito della liberazione!
Felice Giorno della Vittoria! Evviva!
Cinque anni dopo veniva coniato il termine Pebodobesie, o Culto della Vittoria. Esso rappresenta la crasi – o fusione – di tre parole russe, vale a dire vittoria, oscurantismo e frenesia: un termine capace di sintetizzare piuttosto bene la retorica militarista, la rimozione storica e l’adesione collettiva al mito – non alla storia – della Grande Guerra Patriottica.
Il 9 maggio 2008 hanno fatto quindi la loro prima comparsa nella Piazza Rossa gli armamenti pesanti. Poi, dal 2014 le istituzioni e i media russi hanno iniziato a parlare di nazisti ucraini, incentrando su tale retorica la propaganda a sostegno dell’annessione della Crimea e delle rivendicazioni delle due Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, delle quali il Cremlino non ha mai esplicitato il suo sostegno militare diretto. In questo contesto il 9 maggio assume ancor più marcati connotati propagandistici.
Nel suo discorso del 9 maggio 2015, Putin affermava:
Noi abbiamo un grande diritto morale di difendere principalmente e persistentemente la nostra posizione. È stato il nostro Paese che ha subito il più duro colpo del nazismo, che l’ha combattuto con eroica resistenza e sopportato le prove più dure. È stato il nostro Paese che ha determinato l’esito della guerra, che ha travolto il nemico e portato alla liberazione dei popoli di tutto il mondo.
In questo discorso, come si può ben vedere, il presidente russo poneva l’Unione Sovietica al centro degli sforzi alleati nella guerra contro il nazismo. Approfittiamo per chiarire alcuni punti: il dibattito sul cruciale ruolo militare svolto dall’URSS è inesistente, perché la sua importanza è indiscussa; invece, la polemica sullo stesso tema è sterile, perché incapace di aggiungere elementi utili e migliorare la comprensione storica degli eventi, strumentale, perché mirata unicamente a esaltare il ruolo dell’URSS nella guerra, e puerile, in quanto ricorda due ragazzini che riescono assieme in qualcosa e poi si mettono a litigare per stabilire di chi è il merito del successo.
Putin, con quelle parole, metteva in atto la stessa operazione retorica, che condotta da un uomo qualunque è certo sterile, strumentale e puerile, ma quando proposta dal presidente della Federazione è allarmante.
Per inciso, in essa appare anche un richiamo all’enorme contributo di sangue nella lotta contro il nazismo, ma i 27 milioni di morti che spesso si citano furono sovietici, di cui 14 russi, 7 ucraini, 2 bielorussi, e i rimanenti provenienti dalle altre repubbliche sovietiche.
Come riporta un interessantissimo articolo del Guardian – in cui l’evoluzione del Giorno della Vittoria e delle sue celebrazioni è ripercorsa egregiamente – in quello stesso 2015 l’allora ministero della cultura russo Vladimir Medinsky ha affermato:
Dovremmo considerarli [i soldati dell’Armata Rossa ndr] allo stesso modo dei santi in chiesa
In un certo senso, queste parole sono diventate realtà: nel 2020 sono terminati i lavori per la Cattedrale delle Forze Armate Russe a Mosca, dove i mosaici con gli uomini dell’Armata Rossa e quelli dei santi sono messi l’uno accanto agli altri. Il culto si è finalmente rivelato tale.
Infine, per chi non lo sapesse, Medinsky ha curato lo scritto del 2021 di Putin, “Sull’unità storica di russi e ucraini”, mentre più di recente ha pubblicato un manuale scolastico di storia obbligatorio in cui l’Ucraina è descritta come un “progetto antirusso”. Quest’uomo è stato nominato capo negoziatore della delegazione russa in occasione dei negoziati di Istanbul nel 2022. Il 9 maggio di quell’anno Putin pronunciava l’ennesimo discorso che andavamo ad approfondire in questo articolo su Butac.
Vicino a quella cattedrale è stato poi aperto un museo dedicato alla Seconda Guerra Mondiale, dove, come riporta il Guardian nell’articolo di cui sopra:
Una guida di nome Viktoria percorreva agilmente le stanze, parlando delle gesta e dei sacrifici sovietici. […] C’era la quasi totale mancanza di contesto a proposito sia degli elementi sgradevoli del sistema politico staliniano che del nazismo […] “Hitler voleva distruggere due terzi di tutti gli slavi attraverso i campi di concentramento e il più famoso di tutti questi era Auschwitz”, ha detto Viktoria. Alla domanda sul perché non c’erano specifiche menzioni dell’Olocausto, lei ha risposto: “Abbiamo deciso di mettere tutti assieme, perché non si dovrebbe separare le vittime per etnia”.
Le rimozioni storiche, le forzature interpretative e le storpiature semantiche qui sopra mostrate – e la questione andrebbe ulteriormente approfondita, ma non è questa la sede per farlo – hanno così permesso il lento insinuarsi di una vera e propria visione del mondo che oggi sembra pervadere le istituzioni – e purtroppo non solo – del Paese. Come scrive ancora il Guardian nello stesso articolo menzionato poco sopra:
[In Russia ndr] la caratteristica principale dei “nazisti” è che hanno attaccato l’Unione Sovietica.
Secondo questa logica, tutto quello che minaccia la Russia è anch’esso nazista.
E, aggiungiamo, tutto ciò che era sovietico è, o dovrebbe essere, russo.
3. Conclusioni
Il difficile rapporto con la storia, con la sua ricostruzione e interpretazione e con la sua memoria non si è insediato al Cremlino con Putin, ma ha radici ben più profonde.
Anzitutto, è ben nota la propensione di Stalin alla riscrittura della storia, con tanto di cancellazione di precise figure considerate scomode, ma per riprendere un tema sopra affrontato è utile ricordare come in Unione Sovietica fino alla perestrojka non è mai stata riconosciuta la specificità dei massacri nazisti commessi nei confronti degli ebrei: questi ultimi venivano piuttosto fatti riconfluire nei “pacifici cittadini sovietici” e il carattere unico della Shoah veniva così a dissolversi.
La storia del Memoriale di Babi Yar ce lo racconta molto bene ed è significativo come oggi il “genocidio del popolo sovietico” sia tornato ad essere utilizzato come utile strumento propagandistico in Russia. La guida che è stata sopra citata è solamente un caso tra i tanti esemplificativi di questo enorme problema.
Esemplificativo di quanto detto è anche un saggio pubblicato nel 1994 dal titolo “Gli eventi odierni e la rappresentazione del passato: alcuni problemi attuali negli scritti storici russi”. Alle prime righe si leggeva:
Il futuro è certo, solamente il passato è imprevedibile
Strumentalizzare la storia – giunti a questo punto dell’articolo dovrebbe essere chiaro – è purtroppo un’operazione molto semplice da compiere ed è per questo che, specie quando si tratta di eventi storici particolarmente complessi e tanto significativi da essere periodizzanti – cioè da stabilire un “prima” e un “dopo” quell’evento – sarebbe utile soffermarsi su ogni loro aspetto prima pronunciare qualsiasi parola.
L’uso politico che se ne è fatto ha certamente contribuito al fenomeno rilevato dal Levada Center, tra gli ultimi centri statistici e di raccolta dati russi considerati ancora affidabili: dal 2000 al 2024 la percentuale di russi che alla domanda “Chi era nostro alleato durante la Grande Guerra Patriottica?” ha risposto “USA” è diminuita dal 68% al 47%, quella di coloro che hanno risposto “UK” è calata dal 59% al 46%, mentre quella di chi ha risposto “Francia” è scesa dal 34% al 22%. Questo è il modo in cui la memoria del passato influisce sul presente e sul futuro.
Il 1° settembre 1939, il giorno d’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Hitler pronunciò un discorso al Reichstag:
Per mesi abbiamo sofferto sotto la tortura di un problema che il Diktat di Versailles ha creato […] Danzica era ed è una città tedesca. Il corridoio di Danzica è stato separato da noi, il Corridoio è stato annesso dalla Polonia. Come in altre territori tedeschi dell’est, tutte le minoranze tedesche che vivono lì sono state vessate nel modo più deplorevole. […]
Come sempre, ho cercato di arrivare, con il pacifico metodo delle proposte di revisione, ad un cambiamento di questa intollerabile posizione […] proposte per la limitazione degli armamenti e addirittura, se necessario, il disarmo […] Tutto è stato vano.
Ho ripetutamente offerto amicizia e, se necessario, la più stretta cooperazione con la Gran Bretagna, ma questo non può essere offerto da una parte soltanto. Deve anche trovare risposta dall’altra. La Germania non ha interessi nell’Occidente e il nostro confine occidentale è l’eterna frontiera occidentale del Reich […]
Questa notte per la prima volta i soldati regolari polacchi hanno aperto il fuoco sul nostro territorio. Dalle ore 5:45 abbiamo risposto al fuoco e da ora in poi le bombe incontreranno le bombe. […]
Chiunque, in qualsiasi modo, pensi di potersi opporre a questo comando nazionale, direttamente o indirettamente, cadrà. Noi non abbiamo niente in comune con i traditori. Noi tutti siamo fedeli ai nostri vecchi principi. Non è importante la nostra singola sopravvivenza, ma è essenziale che il nostro popolo viva, che la Germania viva. Il sacrificio che ci è chiesto non è più grande del sacrificio che molte generazioni fecero. […]
E mi piacerebbe concludere con la dichiarazione che feci quando iniziai la lotta per il potere nel Reich. Allora dissi: “Se la nostra volontà è così forte che nessuna avversità o sofferenza potrà soggiogarla, allora la nostra volontà e la nostra Germania prevarrà di certo”.
Non dovrebbe sorprendere che la vittoria della Grande Guerra Patriottica abbia dimenticato queste parole.