L’asse Travaglio-Meloni contro l’indulto di Papa Francesco: il Pontefice piaceva, imprigionare le persone di più (unita.it)

di Angela Stella

Giustizia

Le dichiarazioni della premier

Si allarga anche nella maggioranza il fronte a favore di una pdl per un anno di riduzione di pena per tutti i detenuti. Il Fatto tuona: “Impunità”. Meloni: “Colpita dalle parole di papa Francesco, ma no a svuotacarceri”

“Non ho mai creduto che la strada per ridurre il sovraffollamento siano indulti e svuotacarceri: così ieri in una intervista all’Adnkronos la premier Giorgia Meloni ribadisce la sua netta contrarietà a qualsiasi forma di atto clemenziale nei confronti dei detenuti. 

Lo fa nei giorni in cui anche all’interno della sua maggioranza si sta allargando il fronte a favore di una proposta di legge trasversale, a cui sta lavorando Nessuno Tocchi Caino, per un anno di riduzione di pena per tutti i detenuti, in memoria di Papa Francesco.

Diverse le sottoscrizioni raccolte anche ieri: Maria Chiara Gadda (Iv); Paolo Emilio Russo (Fi); Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova (+Europa); Gian Antonio Girelli (Pd); Mauro Berruto (Pd); Valentina Grippo (Azione); Maria Stefania Marino (Pd); Domenico Furgiuele (Lega). In precedenza, avevano firmato il capofila Roberto Giachetti (Iv), Fabrizio Benzoni (Azione), Maria Elena Boschi (Iv), Paolo Ciani (Pd), Maurizio Lupi (Noi Moderati), Giorgio Mulè (Fi), Emanuele Pozzolo (espulso da Fd’I), Debora Serracchiani (Pd) e Luana Zanella (Avs).

Tra le opposizioni, manca il Movimento Cinque Stelle, da sempre contrario a provvedimenti di amnistia e indulto, come pure il giornale Il Fatto Quotidiano che in merito alla proposta scrive di “impunità”.

Tornando all’intervista, il direttore dell’Adnkronos Davide Desario ha domandato alla Meloni di commentare l’appello di Pier Ferdinando Casini che, nel solco dell’insegnamento di papa Francesco, le ha chiesto di occuparsi subito delle condizioni pesanti dei detenuti.

La presidente del Consiglio ha risposto: “Mi hanno molto colpito le parole di papa Francesco quando all’uscita della sua ultima visita a un carcere ha detto che, ogni volta che vede dei carcerati, pensa ‘perché loro e non io’. Non dobbiamo mai perdere la nostra umanità nei confronti di chi ha sbagliato e sta scontando una pena. Certamente le condizioni carcerarie ci preoccupano, abbiamo ereditato una situazione pesante sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria a cui stiamo cercando di porre rimedio con interventi straordinari e un nuovo piano di edilizia carceraria”. 

Tuttavia “non ho mai creduto che la strada per ridurre il sovraffollamento siano indulti e svuotacarceri. Uno Stato giusto adegua la capienza alle necessità, non i reati al numero di posti disponibili. Servono misure strutturali per ampliare gli spazi a disposizione, e per migliorare le condizioni carcerarie, ed è quello che stiamo facendo. Il piano del Governo è di arrivare alla fine della legislatura con una capienza nelle carceri aumentata di almeno settemila unità, ma fermo restando che occorre trovare le risorse il mio intendimento sarebbe di arrivare a 10 mila, cioè ai posti medi mancanti secondo le statistiche degli ultimi anni”.

Intanto però, secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, in carcere sono ospitati 62.281 detenuti, mentre la capienza regolamentare è pari a 51.283 posti. Ciò significa che il tasso di sovraffollamento è di circa il 122 per cento. Inoltre è di ieri la tragica di notizia di altri due suicidi in carcere, a Gorizia e a Terni, “ormai 31 in questo 2025” conta drammaticamente la presidente di Nessuno Tocchi Caino, Rita Bernardini, giunta oggi al nono giorno di sciopero della fame contro il dl sicurezza e l’emergenza carceraria.

La premier, critica la radicale dalla sua pagina Facebook, “non tiene minimamente in conto che fino a che non avrà realizzato i suoi progetti (e si parla di anni) decine di migliaia di detenuti, e di conseguenza agenti e tutto il personale, vivranno in condizioni disumane e degradanti. Ciò è semplicemente illegale, non da Stato giusto, come dichiara, ma da Stato che non rispetta i diritti umani fondamentali, che viola la sua stessa legalità, che si comporta da delinquente professionale senza subirne le conseguenze”.

Anche per il Segretario e deputato di +Europa, Riccardo Magi, “la risposta di Giorgia Meloni al problema carcerario e al sovraffollamento è un bel ‘me ne frego!’. Anzi, peggio: vorrebbe aumentare i posti per sbattere più gente in galera. D’altronde i reati non mancano con questo governo, che si inventa ogni giorno un modo in più per perseguitare le persone che mettono mano al codice penale. Misure riempicarcere come il decreto sicurezza, che rispondono alla logica repressiva del ‘tutti dentro’”. Prima di parlare di nuove carceri, Meloni dica come e con quali risorse intenderebbe garantire la presenza di medici, mediatori, psicologi, e di tutti i servizi necessari a partire dalla polizia penitenziaria. È uno scandalo. Per noi la risposta è chiara: amnistia, indulto, carceri a numero chiuso e case di reinserimento sociale per chi deve scontare meno di un anno, perché altrimenti il primo ad essere illegale per le condizioni di detenzione nelle proprie carceri è lo Stato”, ha concluso Magi.

Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica

Premesse per trasformare Gratteri in principe della Chiesa (ilfoglio.it)

di Andrea Marcenaro

Andrea's Version

Le parole del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica, e la premessa al primo miracolo bergogliano

“Il cardinale Becciu è una persona molto stimabile. Ma voi giornalisti, quando intervistate i vicini dopo un delitto, i vicini  dicono: ‘Era una brava persona’. Poi non è detto che una brava persona sia anche innocente”. Sacrosanto.

E’ quanto sostiene infatti il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica. Potrebbe altresì diventare, questa veneranda espressione educatrice dei giovani cattolici, la solida premessa al primo miracolo bergogliano.

Essa saprebbe trasformare allora il dottor Nicola Gratteri, magistrato principe, in principe della Chiesa. Da giustiziere terreno con clava, a teorico celeste del Conclave.

L’abito non fa il Lollo (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Quando avete bisogno di un massaggio all’umore, magari perché vi hanno appena detto che quel tizio alla Casa Bianca pensa di riaprire Alcatraz, basta andare su un motore di ricerca e digitare «Lollobrigida»: vi sentirete subito meglio.

Ancora una volta il ministro dell’Agricoltura con delega alla Surrealtà ha toccato vette impareggiabili di nonsense. Gli chiedevano un commento sulla foto di Trump in versione Santo Padre e lui, anziché liquidare la faccenda con un moto di indignazione o di ilarità, ha risposto papale-papale: «Abbiamo visto leader di tante nazioni — dalla Cina, all’India, all’Africa — che vestono in tanti modi. Non condividiamo le loro scelte di abbigliamento, ma ragioniamo insieme di temi concreti».

Lo so, pensate che non possa averlo detto davvero. Invece c’è un video, e non sembra Intelligenza Artificiale. Si direbbe proprio Lollo al naturale. Un Lollo molto compreso nella parte, che mette sullo stesso piano i fotomontaggi irriverenti del presidente americano con la casacca grigia di Mao, l’abito tradizionale di Gandhi e la camicia a fiori di Mandela (oddio, ho appena dato altre idee a Trump).

È talmente assurdo dovergli spiegare la differenza tra un costume tipico e una caricatura che preferisco ancora credere che la sua fosse una sottilissima forma di ironia. Ora non resta che chiudere il cerchio: una foto dello storico incontro tra Trump vestito da Papa e Lollo vestito da Lollo, mentre ragionano insieme di temi concreti.

‘Lirica Ucraina’. Raccontare la guerra, ascoltare i sopravvissuti (valigiablu.it)

Un momento della proiezione del documentario "Lirica Ucraina" della giornalista Francesca Mannocchi alla XIX edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia

Durante l’incontro alla XIX edizione del Festival Internazionale del Giornalismo “Raccontare la guerra, la giornalista Francesca Mannocchi, autrice del documentario “Lirica Ucraina”, e il compositore della colonna sonora, Iosonouncane, hanno discusso di reportage di guerra, verità e arte, concentrandosi in particolare sulla narrazione del trauma.

Mannocchi è entrata nelle strade di Bucha appena due giorni dopo la liberazione dalle truppe occupanti russe. Lì ha raccolto e raccontato le piccole storie dei sopravvissuti.

“Il criterio che ci ha mosso nella scelta delle poche storie che ci sono in mezzo a tante scene, diciamo collettive, è che ognuna di queste storie rappresentasse un tassello del dolore della guerra e quindi la prigionia, la perdita di una persona amata, il rapimento, la fuga e da ultimo, nella seconda parte del film, l’abitudine alla guerra (…) e la vita che non si arrende”, racconta Mannocchi nell’incontro.

“A metà del film, una donna dice: ‘Se ci lasciamo considerare delle vittime, diventeremo delle vittime. Ecco, Io credo che un po’ in quella frase lì c’è il senso di tutte le guerre. Se ci se ci lasciamo considerare delle vittime diventiamo delle vittime. (…) Quello che desideravamo raccontare era la vita che non si arrende. Ecco, tutte queste storie hanno in comune che la vita non si arrende”.

Immagine in anteprima: Diego Figone/IJF25

Ascolta: https://open.spotify.com/episode/0yc814Q0l1OLBrW1XzMwjb?si=HdFEwe6RRaOSGwA8PBjjJQ

La trasmissione Rai su Gaza e la difesa del free speech antiebraico (linkiesta.it)

di

Docufiction

Presa Diretta ha dedicato alla situazione nella Striscia un repertorio di luoghi comuni e omissioni, culminato nelle accuse di Francesca Albanese su un genocidio in corso dal 1948. Ma a essere accusato di censura è chi ha denunciato lo scempio di verità

I fanatici pro Hamas che hanno festeggiato il 25 aprile insultando sui social «la nazista Liliana Segre», dalla puntata di Presa Diretta su Gaza di due giorni dopo avranno sicuramente tratto conferma della verità del genocidio perpetrato da parte di Israele, che la senatrice a vita si ostina a definire (parole sue) «una bestemmia», meritando così tutto l’odio e il disprezzo che una vasta compagine di indignati le vomita addosso dall’8 ottobre 2023.

Del resto, se a ufficializzare il genocidio è stata niente meno che una trasmissione del servizio pubblico, perché – se non per un’inconfessabile complicità col male – la vecchia e onorata reduce di Auschwitz continua a sostenere il contrario?

Si potrebbe discutere a lungo se venga prima l’uovo o la gallina, cioè se trasmissioni come quella che Rai Tre ha mandato in onda domenica 27 aprile siano la causa o l’effetto di una subalternità diffusa e irriflessa alla vulgata antisemita, che a sinistra porta anche all’asservimento della memoria resistenziale al senso comune antisionista e rende ogni 25 aprile le insegne della Brigata ebraica abusive e sgradite nelle celebrazioni della Liberazione, dove la teppaglia from the river to the sea viene invece accolta come legittima erede della lotta al nazi-fascismo.

La trasmissione di Riccardo Iacona su Gaza è stata un imbarazzante concentrato di luoghi comuni, omissioni e auto-censure. Ha iniziato col presentare come un reportage una sorta di docufiction realizzata da due operatori palestinesi, un giornalista del Sud e una fotografa del Nord della Striscia, durante e dopo il termine della tregua tra la fine di gennaio e l’inizio di marzo.

A venirne fuori – e non avrebbe potuto essere altrimenti – è un prodotto puramente propagandistico, dove il 7 ottobre non è mai esistito, non c’è Hamas, non ci sono gli ostaggi israeliani, non ci sono i tunnel delle milizie terroriste, non c’è la tragedia del collaborazionismo coatto della popolazione civile, che dopo essere stata obbligata a festeggiare la mattanza degli ebrei, ha dovuto custodire il bottino umano dei prigionieri a maggior gloria della jihad, non ci sono ospedali e scuole usate come caserme e depositi delle santabarbare antisioniste, non ci sono i vecchi e i bambini degradati a sacchi di sabbia, non c’è la rappresentazione della violenza islamista che continua a decidere la vita pubblica e quella privata di due milioni di scudi umani, le notizie che possono entrare e quelle che possono uscire, le cose che si possono mostrare e quelle che si devono nascondere.

Ovviamente in questo finto reportage manca anche la vera notizia delle ultime settimane da Gaza, cioè quella di un movimento crescente di protesta contro Hamas, represso nel sangue, ma non cancellato. Allora che cosa c’è? C’è la Gaza distrutta dalla violenza di Israele – e basta.

C’è insomma il feticcio mediatico dell’odio antisemita, che si può ben credere due giovani di Gaza in buona fede pensino di dover propalare come prova di resistenza alla guerra e a Israele, ma che una redazione giornalistica non può semplicemente ripostare, come farebbe un bot di Hamas con un santino di Sinwar su X o Instagram.

Dopo questo finto reportage, la trasmissione ha ospitato una lunga intervista alla relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani a Gaza e in Cisgiordania, la notissima Francesca Albanese, figura ibrida a cavallo tra la burocrazia onusiana e la militanza anti-israeliana, che, in totale spregio non solo della verità, ma anche dei doveri di trasparenza, imparzialità e indipendenza dalle opinioni politiche personali, cui dovrebbe in teoria attenersi nel suo mandato alle Nazioni Unite, è diventata la principale attivista della diffamazione internazionale dello Stato di Israele e della denuncia delle responsabilità dell’America e dell’Europa, che «soggiogate l’una dalla lobby ebraica e l’altra dal senso di colpa per l’Olocausto» anziché condannare Israele, condannano i palestinesi oppressi che si difendono coi mezzi che hanno, missili, naturalmente, compresi.

Cosa poteva mai raccontare Francesca Albanese in trasmissione? Ovvio: che c’è un genocidio in corso, anzi di più: che la reazione al 7 ottobre è solo un pretesto che giustifica e perfeziona un risalente progetto genocidario e che non è questo governo e questa maggioranza della Knesset, ma è lo Stato di Israele in sé, dal 1948, a essere impegnato a innescare incidenti militari per rubare e colonizzare le terre palestinesi e realizzare il programma di pulizia etnica, di cui l’esistenza stessa dello Stato ebraico è causa e dimostrazione.

Ecco uno stralcio delle sue parole: «Secondo me è molto importante capire perché c’è questo conflitto. L’ho denunciato sin dall’inizio perché conosco la storia della Palestina e di Israele. Quando c’è la possibilità di una guerra, Israele avanza [sic] la pulizia etnica di quello che resta della Palestina, distruggendo tutto e ammazzando quanti più palestinesi è possibile.

È successo nel 1948, è successo nel 1967 e succede anche oggi». Insomma, non solo il 7 ottobre, ma anche le guerre arabe contro Israele, fin dalla sua fondazione, sono una cospirazione dello Stato ebraico.

Per dare forza a questa conclusione Albanese ha ovviamente citato i numeri della carneficina di Gaza, che è davvero impressionante, ma che nella rappresentazione della special rapporteur, dove sono contraddetti, per essere gonfiati, perfino i dati di Hamas, diventa una sorta di tirassegno indiscriminato a donne e bambini, bersagli predestinati dei cecchini genocidari.

Come spesso avviene in Italia e ormai in buona parte dell’Occidente, le cattive azioni giornalistiche diventano paradigmi di libertà morale e di correttezza deontologica, quindi quando qualcuno ha provato a denunciare questo vero e proprio scempio di verità, chiedendo che vi fosse posto rimedio, subito è finito nella lista degli attentatori alla libertà di stampa.

Due giorni dopo la trasmissione l’ex ministro Carlo Giovanardi, l’avvocato Iuri Maria Prado e il semiologo Ugo Volli hanno scritto al generale Pasquale Angelosanto, coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio, spiegando come trasmissioni di questo genere siano destinate a fomentare episodi di antisemitismo, già in fortissima crescita, e chiedendo di operare per ristabilire una corretta informazione su Israele e sulla guerra a Gaza.

A canali social unificati, il giornalista progressista collettivo (Fnsi, Usigrai e Articolo 21) e le sue avanguardie parlamentari (Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico) si sono immediatamente mobilitati contro la censura e l’intimidazione, definita da Albanese «protomafiosa», di questo esempio da manuale di «giornalismo d’inchiesta», (neppure il senso del ridicolo), dimostrando di avere un’idea della libertà di stampa e di pensiero sinistramente simile a quella del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance.

Infatti, se questi qualifica come censura impedire la propalazione della verità alternativa dell’invasione ucraina della Russia, sulla base dello stesso principio – libero odio in libero Stato – i sopracciò dell’informazione progressista ritengono inammissibile contestare la legittimità del racconto sulla storia contemporanea del Medioriente come quella di un programmato genocidio rateale degli arabi palestinesi da parte degli israeliani.

Insomma, ha ragione il vice di Trump: non esiste la guerra ibrida, è tutto free speech e guai a chi lo tocca.

Meglio il Landini della rivolta sociale che quello del Jobs Act (huffingtonpost.it)

di 

Dieci anni dopo fare la ‘guerra’ a Renzi è pura 
perdita di tempo
Che fine ha fatto la rivolta sociale? Non pervenuta.
Mobilita gli italiani su qualcosa che ha un senso e stai certo scoprirai la paura della loro ombra. Vuoi, allora, che il nesso rivoluzionario la Cgil di Landini l’avrà trovato con i referendum? Un primo passo per scassare quell’apatia e rassegnazione che risiede in tante famiglie? Mentre il mondo cade a pezzi innestare una discussione krafen su qualcosa che è ultroneo rispetto allo scenario catastrofico che ci circonda, è una perdita di energie. Mi scrive un elettore.
“Non andrò a votare per i 5 referendum, i partiti devono fare un quarantotto sul salario che a malapena, nel mio caso, 1250 euro, copre i primi 10 giorni del mese. Togli affitto, bollette sempre più care e la spesa alimentare che viaggia al 15% d’inflazione e siamo punto a capo”.
Ho ricevuto molte mail di lettori, a ragione, incavolati neri (ambulanti che fanno i mercati e dicono che la gente non spende). Per la situazione economica. Che al contrario di quello che ‘vende’ la premier Meloni non è brillante. Per l’irrisolto che si è cumulato. Dagli effetti a valanga della guerra russo ucraina a oggi. Il caro bollette così come il caro spesa alimentare sono le conseguenze prime. Capisco lo sforzo di Landini.
Che il 1 maggio ha incluso i 5 referendum come alcune delle stazioni del giro che dovrà compiere la rivolta sociale. Però si legge immediatamente che è un’operazione tirata. Dal referendum più noto, quello del Jobs Act, di fattura renziana per intenderci. Qualcuno pensa ancora che il jobs act provochi più lavoro precario? Stando ai dati, no.
Sono quelle assurdità esclusive che accadono nel seminato del centrosinistra (che per questi referendum sta facendo una lotta interna tra correnti contrapposte in particolare dentro il Pd tra i riformisti che a suo tempo appoggiarono il jobs act e quelli della Schlein che insistono nel dire che è fumo negli occhi). Dieci anni dopo star qui a far la ‘guerra’ a Renzi è pura perdita di tempo, mentre la Meloni sguazza nel vuoto pneumatico del suo menù che propina ogni giorno.
Un tira e molla su uno strumento, poi, universalmente riconosciuto che genera più lavoro. E che il mercato regola secondo le esigenze delle aziende. Avrei preferito che le stesse energie fossero profuse a trovare il modo per aumentare i salari dei lavoratori. Inserendo quest’obiettivo al primo posto del memorandum della rivolta sociale. Al secondo ci va il rincaro delle bollette.
Landini sa che è oltre un ventennio che l’Italia è in fondo alla classifica dei salari più bassi. Grandi iniziative per invertire la rotta non si sono viste. Né da parte del centrodestra, né dal centrosinistra ma nemmeno nei dintorni del sindacato. Un guizzo, un’idea, una formula in uso negli altri paesi fuori dall’Italia si poteva copiare.
Per esempio inserire gli operai nei consigli d’amministrazione delle grandi aziende. Leggo la busta paga di un lavoratore tedesco e di un lavoratore italiano. È inutile aguzzare la vista per costatare le macroscopiche differenze. Ricordo che sentii parlare di una formula simile a quella dei lavoratori nei cda nelle lezioni di Marco Biagi durante un seminario di Sinerghia presso la John Hopkins University inizio anni novanta, Esop – lavoratori proprietari d’impresa, formula tutta statunitense.
Ma nel rewind delle cose possibili mai realizzate, un pensiero va rivolto all’altro precariato diffuso, di marca nuove povertà, quello delle partite Iva dove si è registrata una pesante moria di attività lasciate nella solitudine, prive di voci sindacali per avere quei diritti minimi di sopravvivenza (iniziando dalle quote previdenziali esagerate da versare all’Inps).
Il ragionamento che deve fare Landini ha l’obbligo di prendere in largo. A estuario. Tenendo, certo, a fianco la sua benemerita rivolta sociale (sarà dura coinvolgere lo sfibrato e disilluso italiano e farne un movimento di popolo). Aumentare i salari in Italia com’è possibile farlo se c’è una mannaia fiscale che travolge? Se c’è nell’Europa unitaria un vantaggio competitivo a produrre in alcuni stati rispetto ad altri? Se c’è un costo dell’energia che strattona i risultati economici delle aziende?
Se solo nominalmente abbiamo aziende di Stato – che potrebbero andare in soccorso sul caro bollette -, materialmente intoccabili perché quotate in borsa e chiamate a rispondere solo agli azionisti e al mercato (lo stesso ragionamento vale per le varie municipalizzate, consorzio di comuni che gestiscono gas, acqua, rifiuti)? Se da troppo tempo ormai è assente una minima strategia industriale che per sommi capi collochi a traino i settori chiamati a svilupparsi da qui ai prossimi venti, trent’anni?
Insomma la rivolta sociale deve abbattere ritardi culturali e strutturali in Italia e in Europa. E il Pd che vuole dargli una mano non dimentichi che qualcosa si dovrà scardinare nelle varie agende di Bruxelles. Anche negli accordicchi di potere siglati in fretta dal partito socialista europeo.
Chiamando a rapporto la stessa premier Meloni, sgomitante, stretta a dar di mano con Trump e una pacca a Zelensky in quello sport del giro a vuoto dello scenario internazionale e della politica estera così utile per spostare l’attenzione e ciurlare nel manico delle magnifiche sorti e progressive.