Anime morte
Nel corpo torturato di Victoria Roshchyna si concentra tutto ciò che il regime russo vuole occultare: resti umani, celle clandestine e testimonianze schiaccianti di torture
Vladimir Putin non vuole finire la guerra in Ucraina. Non solo perché non saprebbe come presentare la sconfitta al suo elettorato, nutrito per decenni da falsa gloria e potenza della Russia, non solo perché la guerra continua a permettergli di rimanere dov’è, tenere in pugno la situazione nel Paese e continuare a minacciare tutto il continente europeo, ma anche perché, una volta finita la guerra, verranno fuori tutti i segreti protetti oggi dall’occupazione forzata dei territori ucraini, come quando i soldati russi avevano ripiegato dal nord della capitale Kyjiv, lasciando dietro i massacri di Bucha, Irpin e Motyzhyn.
E anche per questo, la Russia sta facendo di tutto per mantenere il controllo dei territori occupati, scrivendo varie bozze di proposte di pace per Donald Trump.
Negli ultimi tre anni, da quando la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala, sembra che non si sia preoccupata più di tanto dell’opinione pubblica del mondo civile riguardo ai crimini contro l’umanità da lei compiuti, convinta che la sua macchina propagandistica, i troll al suo servizio, gli utili idioti e i giornalisti prepagati sapessero scaricare le colpe sugli ucraini e sugli europei che li aiutano, presentando la loro versione della storia anche con l’aiuto dell’America, che nelle ultime settimane è uscita dal gruppo investigativo dei crimini di guerra russi.
Eppure, con centinaia di documentari falsi, con programmi che addestrano l’intelligenza artificiale, i russi in qualche modo pensano e temono l’opinione pubblica del mondo civile e il giudizio internazionale, altrimenti non avrebbero restituito il corpo di Victoria Roshchyna con i chiari segni dell’intento di nascondere le torture a lei inflitte ancora in vita.
Victoria Roshchyna, una giornalista ucraina di ventisette anni, scomparsa nei territori occupati a fine estate del 2023. La settimana scorsa, un’indagine di quarantacinque giornalisti provenienti da vari paesi del mondo ha presentato un’inchiesta che ripercorre gli spostamenti di Victoria nelle varie prigionie russe e le torture subite dalla giovane donna ancora viva. Seguire le sue tracce è stato possibile grazie alle testimonianze dei prigionieri ucraini che nei vari luoghi di detenzione si sono incrociati con Victoria Roshchyna.
I detenuti raccontano le condizioni disumane in cui sono stati trattenuti, le torture che hanno dovuto subire, il dolore, la sofferenza e la crudeltà disumana dei loro torturatori. Una delle torture, quella con i cavi elettrici legati alle orecchie, si chiamava “La chiamata a Putin”, una spaventosa connessione che lega il capo dello Stato a un soldato singolo, che nelle sue azioni criminali vede l’approvazione del suo capo supremo.
Un prigioniero ucraino detenuto a Melitopol ha raccontato di essere stato costretto a scrivere una lettera a Putin dopo aver subito le torture, accompagnate dal suono dell’inno russo e delle canzoni patriottiche russe.
La tortura russa non è un caso isolato, singolo o casuale. La tortura è un’arma di guerra, è una dottrina militare approvata ai massimi livelli. Nel suo saggio “Contro le donne. Lo stupro come arma di guerra”, la scrittrice finlandese Sofi Oksanen scrive: «Se si osserva la storia dal punto di vista estone, con la guerra in Ucraina sembra di rivivere gli eventi degli anni Quaranta del secolo scorso; è come se premessimo continuamente il tasto replay, visto che la Russia sta usando lo stesso manuale delle sue precedenti guerre di conquista. Abbiamo già visto e sperimentato queste pratiche: il terrore sui civili, le deportazioni, le torture, la russificazione, la propaganda, i processi farsa, le elezioni di mera facciata, le accuse contro le vittime, le ondate di profughi, la distruzione della cultura. Tuttavia, il generalizzato stupore occidentale mostra come il manuale dell’imperialismo russo non sia sufficientemente conosciuto altrove».
Per non andare troppo lontano nel tempo, nelle guerre che Mosca ha lanciato contro l’Estonia, la Finlandia e una parte della Polonia cui appartenevano gli odierni territori dell’Ucraina occidentale nel 1939 (una delle tante guerre di colonizzazione — consiglio di leggere a riguardo il libro di Maksym Eristavi “Russian Colonialism”), basterebbe pensare alla guerra che la Russia ha iniziato nel 2014 nelle regioni orientali ucraine di Donetsk e Luhansk, e alle camere di tortura organizzate nei capoluoghi occupati.
Uno di questi luoghi di tortura si trovava nell’ex fabbrica di materiali isolanti “Izolyatsiya”, diventata un hub artistico negli anni Duemila. Ci era finito anche un altro giornalista ucraino, Stanislav Aseyev, che, come Victoria Roshchyna, cercava di raccontare ciò che stava accadendo nei territori occupati dall’esercito russo.
Aseyev ci è rimasto ventotto mesi ed è uscito vivo grazie a uno scambio di prigionieri. La sua detenzione e le torture subite le ha descritte nel libro “The Torture Camp on Paradise Street”. Victoria Roshchyna, invece, non potrà raccontare più nulla: l’unica testimonianza delle torture da lei subite è il suo corpo, che rimane come prova dei crimini contro l’umanità russi, crimini che hanno cercato di occultare asportandole il cervello, gli occhi e una parte della laringe.
La guerra della Russia all’Ucraina è la guerra più documentata nella storia dell’umanità, si svolge quasi in diretta. Le vittime delle torture subite dai russi (chi è sopravvissuto) vengono ascoltate, le loro ferite vengono registrate e catalogate. Ne parla anche il libro non concluso di Victoria Amelina, “Guardando le donne guardare la guerra”, che contiene i report sulle torture inflitte ai civili raccolti durante le missioni sul campo effettuate insieme al gruppo investigativo di Truth Hounds.
Victoria Amelina ha visitato luoghi diversi da quelli dove è stata trattenuta Victoria Roshchyna, ma il metodo, la crudeltà e le «chiamate a Putin» rimangono gli stessi. Compiuti da soldati e truppe diversi, ma indottrinati allo stesso modo di condurre la guerra, in una società russa in cui la violenza e l’umiliazione dell’altro restano sinonimo di potenza.
Putin non vuole finire la guerra in Ucraina perché una volta finita non potrà più nascondere la verità agli occhi del giudizio internazionale. Una volta fermata la Russia, l’Ucraina non si fermerà nella sua corsa verso la giustizia per le vittime dei crimini russi. Il 30 aprile Oleksandra Matviichuk, avvocata per i diritti umani, direttrice del Centre for Civil Liberties – che si occupa della documentazione dei crimini di guerra russi e Premio Nobel per la Pace 2022 – ha partecipato a un evento online a Stoccolma.
Oleksandra ha raccontato di Victoria Roshchyna, del suo impegno e della sua tragica morte nella prigionia russa, senza riuscire a trattenere le lacrime. Ne ha scritto in un post su Facebook, concludendolo con queste parole: «Victoria credeva nella verità e nella giustizia così fortemente da correre il rischio per poter raccontare al mondo ciò che stava accadendo nei territori occupati. E noi continueremo il suo lavoro». È proprio di quel «noi che continueremo il suo lavoro», nel raccontare i crimini russi, che hanno paura Putin, i suoi soldati e i suoi cittadini.
(LaPresse)