È più forte di loro (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

È più forte di loro

Forse il ministro della Protezione civile poteva anche esimersi dal sottolineare che, a causa del lutto nazionale per la morte di papa Francesco, i festeggiamenti del 25 Aprile «saranno consentiti con la dovuta sobrietà».

Intanto perché nessuno pensava di sfilare sui carri di carnevale cantando Bella ciao a ritmo di samba. Ma soprattutto per scongiurare il rischio che qualcuno si aggrappasse a una frasetta tutto sommato pleonastica per lanciare l’ennesimo allarme contro il ri-fascismo alle porte. Che invece è proprio quel che è successo. «È più forte di loro», è saltato su con prontezza felina il Fratoianni, ammiratore da sinistra del pontificato di Bergoglio al punto da essersi meritato sul campo l’investitura a Fra Toianni.

«Sono allergici alla Liberazione e utilizzano la morte di una straordinaria personalità per sminuire il valore del 25 Aprile» ha continuato, riferendosi sempre a questi Loro.

I quali avrebbero colto al balzo i funerali del Papa per mettere la mordacchia alla compagnia dei Fra Toianni, impedendole di fare non si sa che cosa, visto che si potrà fare tutto «con la dovuta sobrietà», parola borghese e beneducata che a chiunque abbia un po’ di memoria storica non evoca l’olio di ricino, ma il loden di Monti.

Si tratta di un giochino delle parti stucchevole, dove gli attori di destra e di sinistra recitano a soggetto per compiacere il pubblico di riferimento, senza compiere mai il minimo sforzo per aiutarlo a crescere e magari a diventare adulto. Ma non ce la fanno: è più forte di loro. E di Loro. È più forte di tutti.

Gad Lerner lascia Il Fatto “indulgente con Trump, Putin e fascisti”: finalmente ha fatto la cosa giusta (una volta ogni morte di papa), ma davvero ci volevano cinque anni per capirlo? (mowmag.com)

di Riccardo Canaletti

Il Fango Quotidiano

Gad Lerner lascia Il Fatto “indulgente con Trump, Putin e fascisti”: finalmente ha fatto la cosa giusta (una volta ogni morte di papa), ma davvero ci volevano cinque anni per capirlo?

Da giornalista di punta, conduttore, l’uomo che stava sopra la notizia e poteva permettersi di intervistare filosofi del calibro di Severino e Vattimo (e farli litigare), a ex penna di Repubblica (lasciata in tempo) e ex opinionista del Fatto (lasciando con cinque anni di ritardo): ma com’è possibile che Gad Lerner si sia svegliato solo ora?

Certo, meglio che tardi che mai, ma il giornale di Travaglio è da sempre populista (e quindi trumpiano o putiniano)

Diciamo che Gad Lerner inizia a prenderci gusto. Cinque anni fa lasciò La Repubblica, quella di Molinari e gruppo Gedi (John Elkann). L’espediente fu il licenziamento di Carlo Verdelli (lo stesso giorno in cui uscì un manifesto in cui si leggeva la sua data – ovviamente falsa – di morte). Il motivo per cui lasciò il quotidiano: “Già non lo riconosco più”.

Passò così a Il Fatto quotidiano di Marco Travaglio, già ai tempi un giornale sostanzialmente grillino e cioè vicino a quel mondo che riuscì a tenere insieme il peggio del populismo di destra e di sinistra, qualcosa che più che una forza politica, almeno all’inizio (si ricordi il commento di Massimo Cacciari in una puntata di Annozero insieme a Franco Battiato, allora infatuato di Grillo), era un sintomo di un malessere.

Ma un giornale che diventa riferimento culturale di un malessere, che cultura politica potrà mai rivendicare?

Decisamente non la storia di Repubblica, la cui forza era tutta in quell’impronta, data da Scalfari, di sinistra antiberlusconiana. Né quella de Il Manifesto marxista. Né dei giornali aziendali di destra. Il Fatto prometteva solo scoop, solo inchieste, solo esclusive.

Ma l’obiettivo è sempre stato, soprattutto negli ultimi anni (diciamo cinque? Dalla pandemia in poi) quel maledetto Occidente.

Gad Lerner Marco Travaglio
(Marco Travaglio e Gad Lerner)

E ora, che quel maledetto Occidente viene attaccato dall’interno, da una quinta colonna populista, trumpiana, fascista, putiniana, Gad Lerner si accorge di quanto anti occidentale e anti europeista e rossobruni sia Il Fatto.

Si dimette un’altra volta, stavolta con motivazioni molto dure e specifiche: “Voglio ringraziare i colleghi della redazione per questi cinque anni trascorsi insieme. Negli ultimi tempi ho sentito crescere la mia distanza dalla linea del giornale, soprattutto per l’indulgenza – a mio parere – mostrata di fronte all’ascesa delle destre nazionaliste e fascistoidi: da Trump a Putin fino a casa nostra. Ciò non diminuisce di una virgola il mio apprezzamento per l’indipendenza del giornale e per la sua capacità di dare notizie scomode. Ho ringraziato il direttore per la libertà di cui ho goduto e vi saluto tutti con affetto”.

Così questa collaborazione “travagliata” giunge alla fine per motivi talmente noti e banali che un giornalista e di esperienza come Lerner non è chiaro come possa non averli maturati nei cinque anni passati. Addio alle pessime maglie metalliche di penne e stampanti che negli ultimi anni hanno accolto le voci più populiste del panorama culturale e politico italiano (da Alessandro Orsini a Francesca Albanese).

Insomma, da giornalista di spicco a Internet Explorer, Trenitalia della stampa italiana in ritardo su tutto. È vero, meglio tardi che mai. Ma meglio prima, per non fare pessime figure. Comunque in bocca al lupo a Gad Lerner, che anche lui qualcosa di giusto ogni tanto la fa. Diciamo una volta ogni morte di papa.

L’inquietante accanimento di Trump contro le agenzie scientifiche federali (linkiesta.it)

di

Oscurantismo climatico

La Casa Bianca vuole cancellare i temi climatici e ambientali alla radice, smantellando gli enti (come la Noaa) che si occupano anche di raccogliere i dati in grado di dare forma al presente e al futuro del nostro pianeta

Proibizionismo americano ai tempi di Donald Trump: niente merci provenienti dalla Cina, niente ricerca scientifica sul clima. L’ultima mossa del presidente degli Stati Uniti per ostacolare le agenzie scientifiche federali che si occupano di cambiamento climatico e monitoraggio ambientale riguarda la riduzione del budget destinato alla National oceanic and atmospheric administration (Noaa), uno dei centri più importanti per lo studio dell’atmosfera, degli oceani e del clima.

A darne notizia sono state diverse testate americane. Il New York TimesScience e altre fonti di informazione hanno ottenuto i documenti relativi a una proposta dell’amministrazione Trump per il bilancio 2026 del principale braccio scientifico della Noaa, l’Office of oceanic and atmospheric research (Oar).

La Casa Bianca sarebbe pronta a chiedere al Congresso una drastica riduzione dei fondi destinati a questo ente di ricerca. Il budget dell’Oar verrebbe ridotto da 485 milioni a poco più di 171 milioni di dollari.

Un finanziamento di questo tipo renderebbe di fatto impossibile lavorare sui sistemi di allerta precoce per gli eventi meteorologici estremi, sull’educazione climatica nelle scuole, sullo studio dell’Artico, dove le temperature sono aumentate quasi quattro volte più rapidamente rispetto al resto del pianeta negli ultimi quarant’anni. «Con questo livello di finanziamento, l’Oar come ufficio autonomo non esisterebbe più», prende atto l’amministratazione Trump nella proposta di bilancio.

I pochi programmi a cui sarebbero garantite delle quote adeguate – previsione degli uragani e acidificazione degli oceani — verrebbero trasferiti sotto la divisione del National weather service (Servizio meteorologico nazionale) e del National ocean service (Centro di ricerca sugli oceani).

Tuttavia, come ha dichiarato Zoe Lofgren, principale esponente democratica della commissione Scienza del Congresso, «l’ostilità di questa amministrazione verso la ricerca e il rifiuto della scienza climatica avrà come conseguenza l’indebolimento delle capacità di previsione meteorologiche, che invece questo piano sostiene di voler preservare».

Il piano di bilancio, comunque, è ancora una proposta e avrà bisogno dell’approvazione del Congresso americano. A essere non più rivedibili sono, invece, le posizioni di Trump sul cambiamento climatico, sulla scienza del clima e sulla ricerca scientifica in generale. La proposta per la Noaa, infatti, arriva dopo la rimozione dei riferimenti al riscaldamento globale dai siti web governativi, lo smantellamento di altre agenzie, come il National institutes of health (Nih), e i tagli al personale della Noaa stessa.

Inoltre, la Casa Bianca – attraverso licenziamenti a tappeto e tagli nei finanziamenti – sta smantellando anche l’istituto che si occupa di supervisionare il “National climate assessment”, principale report statunitense sul riscaldamento globale. Le politiche di Trump puntano a oscurare i dati, soffocando i temi climatici e ambientali alla radice.

L’accanimento, tutt’altro che terapeutico, rispetto alla Noaa deriva proprio dal ruolo fondamentale che svolge. L’agenzia federale si occupa di raccolta, analisi e diffusione dei dati relativi ai fenomeni atmosferici, oceanici e climatici, e condivide gratuitamente le sue misurazioni con istituzioni scientifiche e servizi meteorologici di tutto il mondo.

Attualmente, l’agenzia gestisce dieci laboratori di ricerca negli Stati Uniti, tra cui importanti centri oceanografici in Florida e nello Stato di Washington, cinque laboratori di scienze atmosferiche in Colorado e Maryland, un centro di ricerca sugli uragani in Oklahoma, il laboratorio di fluidodinamica geofisica nel New Jersey e uno dedicato ai Grandi Laghi in Michigan.

Solitamente, alla Noaa viene destinata oltre la metà delle risorse messe a disposizione dal dipartimento del Commercio statunitense, l’organo federale responsabile dello sviluppo economico e delle politiche commerciali. Nel 2026, però, se la proposta dell’amministrazione Trump venisse accettata, all’agenzia andrebbero poco più di 4,4 miliardi di dollari, una riduzione di 1,6 miliardi rispetto all’anno precedente.

Tagli giustificati dalla necessità di «un riequilibrio del bilancio federale», che si raggiunge anche attraverso «l’eliminazione del sostegno statale all’ideologia woke», come si legge nella proposta di bilancio.

È tutto coerente rispetto alle linee guida del “Project 2025”, il manuale strategico elaborato dalla Heritage Foundation, think tank conservatore noto per essere uno dei principali punti di riferimento ideologici delle politiche di Trump. Infatti, tra le proposte del progetto ci sono: eliminare qualsiasi programma su clima, diversità, diritti Lgbtq+; promuovere una visione cristiana tradizionalista dei valori americani; smantellare le agenzie federali che si occupano di ricerca sul clima, come la Noaa appunto.

I primi passi per l’eliminazione dell’agenzia – «principale fonte di allarmismo climatico», come la definisce il programma del think tank conservatore – sono stati fatti già a febbraio 2025, quando diversi dipendenti con contratti di prova hanno ricevuto un’email di licenziamento.

Ad aprile, dopo essere stati reintegrati da un giudice, hanno ricevuto una nuova comunicazione dal dipartimento del Commercio con un secondo licenziamento, dopo che una corte superiore aveva annullato la sentenza precedente. Inoltre, sembrano molto probabili nelle prossime settimane nuovi tagli al personale.

A fare un’analisi critica di questa situazione di negazionismo trumpiano, che non è solo climatico, ma anche legato ai benefici della scienza sulla società americana, è stato Steve Blank, professore della Stanford University, in un lungo articolo pubblicato su Nature. Blank scrive che «il motore dell’innovazione americana è stato per decenni la stretta collaborazione tra governo, università e industria».

Questo sistema, nato durante la Seconda guerra mondiale per finanziare la ricerca bellica, ha generato un’eccezionale espansione scientifica e tecnologica: brevetti, aziende, vaccini, scoperte hanno arricchito gli Stati Uniti. Se il sistema si rompe, come conseguenza delle politiche miopi di Trump, si rompe anche l’economia americana.

#Ukraina – Nuovo ordine: l’Europa non dipende più dagli Stati Uniti (Françoise Blanchard)

di Olga Andriash

Macron mette fine alle illusioni: l'Europa non 
dipende più dagli Stati Uniti.
Macron ha parlato in un modo che nessun leader europeo aveva mai avuto dalla Seconda guerra mondiale.
Nessun eufemismo, nessuna illusione, nessuna speranza per Washington. D’ora in poi la Francia vede la realtà: gli Stati Uniti potrebbero non essere più alleati dell’Europa, la Russia si sta preparando per una nuova guerra e il futuro del continente dipende dalla sua volontà di combattere.
«La pace non può essere la resa dell’Ucraina»: queste parole di Macron sono una croce per tutti coloro che sognano di raggiungere un accordo con il Cremlino. Gli accordi di Minsk hanno dimostrato che non ci si può fidare della Russia. L’unico argomento che Mosca comprende è la forza. E la Francia è pronta a dimostrarlo.
La prossima settimana Parigi riunirà i capi militari dei paesi pronti a garantire la pace in Ucraina. Ma non con documenti e trattative, bensì con forze reali sul campo. L’Europa non è più inefficace.
Non riguarda solo l’Ucraina. Si tratta di un nuovo ordine mondiale. La Francia ha parlato ufficialmente di deterrenza nucleare per l’intero continente. Macron accenna direttamente: se gli Stati Uniti sotto Trump abbandonassero l’Europa, lo scudo nucleare francese entrerebbe in funzione. Ciò non era mai accaduto prima nella storia moderna.
Ma questa non è certo la cosa più interessante. Mentre Macron prepara l’esercito, un altro personaggio di spicco si sta affermando a Berlino. Friedrich Merz è il nuovo cancelliere della Germania. Duro, freddo, diretto. Per la prima volta da decenni, l’Europa ha un duo di leader che non si nasconderà dietro gli americani.
Merz è salito al potere in un momento in cui gli Stati Uniti di Trump non vogliono più tenere per mano l’Europa. E lui lo capisce.
“L’Europa deve diventare indipendente dall’America” ​​non è solo una frase, è una nuova strategia. Vuole spostare il centro del processo decisionale nell’UE. Parigi, Berlino, Varsavia, Londra: ora sono il cuore del nuovo ordine. L’Europa non sarà più un continente che ha paura della propria ombra. Si sta armando, sta investendo nella propria sicurezza, si sta preparando a qualsiasi sviluppo. E l’Ucraina in questo processo non è un oggetto, ma un alleato chiave.
Il vecchio mondo, in cui l’Europa chiedeva a Washington il permesso di agire, è finito.
Inizia una nuova era. E in quest’epoca, l’Ucraina è uno di quelli che detta le regole.
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