Schieramenti passati, emozioni presenti e conflitti infiniti (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola Posta

Siamo in clima d’anteguerra, persi in un’aura di falsa coscienza e desideri frustrati. Un’assurdità

Assisto quasi con l’allegria dei naufragi allo spettacolo, invano atteso da tante generazioni sovversive, del crollo del capitalismo per mano di Donald Trump, purché tenga duro e non si lasci tentare da sconti e negoziati: dazi al 104 per cento, o più, e la facciamo finita una volta per tutte.

Nutro fiducia, anche per aver visto confermata la visione sulla Striscia di Gaza rapallizzata. Uno pensa a come si è dovuto arrabattare Putin per svuotare l’Ucraina da qualche milione di cittadini. Penso anche alla rapinosa retrocessione della questione ecologica, della seccatura ecologica, nominata ormai solo per essere irrisa – “il Green deal!”, com’era stato possibile un simile capriccio.

La riduzione delle auto in circolazione, vero cuore del tracollo demografico: non di quanti bambini si impoverisce la terra, ma di quante automobili, bisogna allarmarsi e commuoversi. Le ribelli di Extinction arrestate e spogliate, la piccola risacca di un’illusione, che il mondo finisse in qualche decennio, scadenza di nipoti.

Sgominata dalla campana della fine da un momento all’altro. Mi sorprende sempre che la guerra di Putin sia stata così fraintesa anche sotto il profilo ecologico: un paese smisurato di idrocarburi e poco più, il benzinaio con l’atomica, il più alieno alla conversione ecologica, dalla quale la sua fonte di sopravvivenza e di rapina sarebbe prosciugata, invade l’Ucraina e ne fa un ammasso di rovine tossiche, ricaccia indietro di decenni la riparazione dell’aria e delle acque, mette all’asta rottami e rifiuti tossici, e autorizza le democrazie evolute a degradare le premure per il riscaldamento globale e l’inquinamento a lussi superflui e comunque da accantonare: Non è il momento!

Osservazione che porta allo stallo della disposizione giovanile a ribellarsi in nome dell’interesse proprio e degli altri animali e delle generazioni a venire. I verdi tedeschi, i meno solubili, spostati sul campo dignitoso del sostegno alla libertà dell’Ucraina e anche dell’appoggio esterno a una maggioranza conservatrice che faccia argine all’avanzata paranazista.

I verdi italiani (salve eccezioni) racconto d’appendice. Greta divisa fra gli impegni del futuro negato e quelli del passato che non passa, e comunque tratta in arresto. Ci si accontentava di una moratoria sul clima, ci si rassegna a mettere in mora la moratoria.  E “i giovani”. Gli studenti sono protagonisti coraggiosi e creativi di grandi mobilitazioni, capaci di attrarre il prossimo. L’esempio turco, provocato da un prepotere che ancora una volta non si è figurato l’obiezione, l’audacia di chi ha tutto da perdere.

L’esempio serbo, vasto, fantasioso, che da mesi mette insieme da un capo all’altro della repubblica enormi manifestazioni e promulga a Niš il suo Editto, serio e spiritoso, sulla scorta di quello di Costantino che a Niš era nato. Il governo si è dimesso a vanvera, e intanto il presidente Vucčicć si barcamena, e appoggia il capobanda secessionista della Republika Srpska, Milorad Dodik, l’apologeta di Srebrenica.

Che appena colpito da un mandato d’arresto internazionale va a trovare Putin, come si usa. Gli studenti greci si muovono allo stesso modo – in Serbia era stato il crollo di una pensilina a Novi Sad, fatta per rubare e ammazzare, in Grecia la difesa dell’università pubblica e poi l’impunita dolosa strage ferroviaria del 2023. E così via.

E “i giovani” in Italia? Richiamo un aspetto della situazione di oggi, a confronto con la vigilia del Sessantotto. Allora i sondaggi – forse non si chiamavano nemmeno così – registravano una gioventù tutta casa e chiesa: eppure si muoveva. A sommuoverne le avanguardie e preparare l’esondazione, che stupì loro e se stessa, fu lo sdegno e l’emozione per il Vietnam.

Il Sessantotto degli studenti la trasferì all’interno, per passarla presto ai giovani operai immigrati – “Agnelli, l’Indocina / ce l’hai in officina”. (E, pro memoria: “Ma se questo è il prezzo / vogliamo la guerra… / Voi gente perbene che pace cercate…”). Qualcosa di simile accade forse oggi, e la mobilitazione studentesca e giovanile, rifluita in apparenza quella dei Fridays, episodica benché fortemente motivata quella per le crudeltà contro i migranti e gli abusi del decreto sicurezza, si è fatta forte della solidarietà con la Palestina.

Si consideri pure il retaggio bastardo di pregiudizi “sovietici” e antiamericani, nel caso dell’Ucraina, anti israeliani o antisemiti – o supposti antisionisti – nel caso di Israele, è un fatto che l’enormità, indifferente alle divergenze di calcoli, delle uccisioni, mutilazioni e distruzioni di Gaza, abbia segnato un cambio di scala e di intensità al sentimento delle persone, di una moltitudine prevalentemente estranea all’eredità di schieramenti passati.

Chi ammoniva a smascherare il cinismo di Hamas davanti alla sofferenza della gente di Gaza, non ha voluto riconoscere che si era superata una frontiera: che era troppo. E che quel troppo non ha fatto che crescere, togliendo il respiro. Qui non intendo sostenere una tesi. Solo suggerire che in un paesaggio così compromesso e pregiudicato una larga ribellione di studenti e giovani sembra avere il solo orizzonte della parola d’ordine della pace: perché sì.

Sono passati da un lunghissimo Dopoguerra a un brusco spaventoso anteguerra. Come possono dei giovani non desiderare la pace – fino al punto di ripudiare chi si batte contro un’invasione, o di simpatizzare con chi proclama la guerra santa e la distruzione del nemico innaffiata dal sangue dei propri martiri? Lavorarci, alla pace.

Per esempio, anche se il Papa, anche se il sacro collegio, non hanno voluto andarci, sul fronte in Ucraina, da una parte o dall’altra, e noi nemmeno – noi, dico, non “i nostri figli” – proviamo a ripensarci. C’è una prossima volta, e ci sono le volte scorse, ancora vive e moribonde. Non a curare le ferite, a farle smettere.

Siamo in una piena aura di falsa coscienza e di desideri frustrati: maggi radiosi e diserzioni orgogliose. Si litiga sulle somiglianze col primo anteguerra o con gli anni Trenta, si evoca la Sarajevo del 1914, si elude la somiglianza col primo Dopoguerra e si omette la memoria della Sarajevo del 1992-96. La storia è maestra di tutto e di niente – ammaestrata.

Una bella ed educata manifestazione civica, o di più, una dichiarazione d’amore per l’Europa, un po’ idealizzata come dev’essere la dama col fazzoletto, e una più grande e accesa manifestazione di amore per la pace, equivoca e sincera, con oratori e oratrici, alcuni, equivoci e bugiardi, è vero che non si escludono – non inevitabilmente, almeno.

A Bologna poi, manifestazione dignitosa, parole più aperte, gente poca ma abbastanza, vento e freddo. Se ne indice un’altra, non nomina l’Ucraina, nomina Gaza, si dice “contro la guerra, TUTTE le guerre”. Occorrerebbe una controprova, pur solo teorica, una manifestazione “per la guerra, per TUTTE le guerre”.

Che assurdità. Infatti.

(LaPresse)

Il Movimento 5 Stelle vuole portare l’ambasciatore russo (ed Elon Musk) in audizione al Senato (fanpage.it)

di Marco Billeci

Rossobruni

Il Movimento 5 Stelle ha chiesto di ascoltare l’ambasciatore russo in Italia, nell’ambito dell’approfondimento condotto in Senato sulle interferenze straniere in Europa.

Una richiesta destinata a suscitare polemiche, per il rischio di offrire un palcoscenico istituzionale alla propaganda del Cremlino. Ma i pentastellati rivendicano la scelta, sostenendo la necessità di confrontarsi con tutti i soggetti capaci di condizionare le democrazie europee, compreso Elon Musk.

Con una scelta destinata a suscitare polemiche, il Movimento 5 Stelle ha chiesto l’audizione dell’ambasciatore russo in Italia Alexey Paramonov, davanti alle commissioni Esteri e Affari europei del Senato.  L’ambito è quello dell’approfondimento sulle ingerenze straniere nei processi democratici degli Stati membri dell’Unione europea e nei Paesi candidati a entrarvi. Ed è motivata dai pentastellati con la necessità di ascoltare tutti i soggetti dotati di capacità di condizionamento sull’Europa.

La richiesta però non può essere considerata al pari di qualsiasi altra, non fosse altro perché dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina i rapporti istituzionali del nostro Paese con il Cremlino sono stati quasi azzerati. Mentre adesso, se la proposta del partito di Giuseppe Conte si concretizzasse,  l’uomo di Putin in Italia varcherebbe le porte delle aule parlamentari e parlerebbe di fronte ai senatori.

Il rischio di una passerella per la Russia

Questa prospettiva ha già suscitato malumori a palazzo Madama e rischia di creare nuove tensioni tra i 5 Stelle e una parte del Partito Democratico. Nell’ala riformista dei dem, infatti, c’è chi sostiene che in questo modo i pentastellati stiano offrendo un palcoscenico di primo livello a Paramonov, per diffondere le idee della propaganda russa.

E si fa notare che solo pochi giorni fa, collegato con la manifestazione M5S a Roma  contro il piano di riarmo europeo, l’economista Jeffrey Sachs aveva spronato i 5 Stelle a promuovere il dialogo con la Russia, al punto da chiedere a Conte di invitare Putin a Roma, tra gli applausi della folla.

Commentando la notizia pubblicata da Fanpage.it, il senatore del Pd Filippo Sensi ha scritto su X: “penso che chi rappresenta la Russia di Putin possa essere ascoltato da un tribunale internazionale, non certo dal Senato della Repubblica. E a chi vuole ascoltare le parole dell’ambasciatore ne rivolgo due, chiare: #slavaukraini”

La replica del Movimento

Lato 5 Stelle si sottolinea come la richiesta di ascoltare l’ambasciatore russo non ha trovato opposizioni nell’ufficio di presidenza delle commissioni competenti del Senato, riunito l’8 aprile per stilare il calendario delle prossime audizioni sul tema delle ingerenze straniere in Europa.  Fino a oggi, davanti ai senatori sono sfilati attivisti e accademici. Ora però dal Movimento si chiede un “salto di qualità” nell’approfondimento della questione.

Spiega a Fanpage.it il capogruppo M5S in Commissione Affari Ue Pietro Lorefice: “Il nostro obiettivo è raccogliere in maniera plurale e non preconcetta i punti di vista dei principali soggetti, statuali e non, maggiormente informati su questo fenomeno in quanto notoriamente dotati di capacità di condizionamento”. Oltre all’ambasciatore russo, infatti, i pentastellati hanno chiesto di ascoltare anche quelli statunitense, cinese, israeliano, iraniano, britannico, indiano e saudita.

La “ciliegina sulla torta”  che vorrebbe il partito di Conte è l‘audizione di Elon Musk, proprietario del social network X e membro dell’amministrazione Trump. Un ventaglio così vario di interlocutori dimostrerebbe – secondo i 5 Stelle – che non c’è la volontà di offrire passerelle, ma semmai quella di dare la possibilità ai senatori di mettere alla berlina gli auditi.  Ma dal lato opposto rimangono i dubbi sull’opportunità coinvolgere la Russia in una discussione parlamentare di questo tipo.

Sempre dalle fila dell’ala riformista del Pd, la deputata Lia Quartapelle ha rilanciato l’indiscrezione pubblicata da Fanpage.it commentando: “C’è chi chiede all’oste se il vino è buono. E poi c’è il M5S. Che non è fatto di sprovveduti. Una richiesta che va presa per quello che è: un modo per legittimare chi vuole distorcere la nostra democrazia. È una richiesta che dice molto della “cultura democratica” di chi la fa”.

Mentre per il senatore di Azione Marco Lombardo: “Chiedere che l’ambasciatore russo venga in Commissione al Senato per (ammettere) le interferenze straniere (russe) è come pretendere che un imputato vada in tribunale per riconoscere i propri reati. A meno che il M5S non voglia prendere le difese della Russia e non dell’UE”.

C’è chi chiede all’oste se il vino è buono. E poi c’è il M5S. Che non è fatto di sprovveduti. Una richiesta che va presa per quello che è: un modo per legittimare chi vuole distorcere la nostra democrazia. È una richiesta che dice molto della “cultura democratica” di chi la fa

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I senatori M5s della commissione Politiche Ue hanno commentato: “Qualcuno vorrebbe creare una polemica surreale e assolutamente strumentale. Si punta il dito sulla nostra richiesta di audire anche l’ambasciatore russo, de-contestualizzandola da un’iniziativa ben più ampia che riguarda anche gli ambasciatori di Stati Uniti, Regno Unito, Israele, Iran, India, Cina e Arabia Saudita, oltre a Musk, che sono semplicemente tutti gli attori che hanno qualcosa da dire in proposito”.

La nota prosegue: “Senza nemmeno riflettere sul fatto che avere l’ambasciatore russo in Parlamento può essere l’occasione per fargli domande anche scomode. Ci stupisce anzi che non sia stato Sensi a chiedere l’audizione dell’ambasciatore russo. Ma capiamo che il senatore dem sia ancora disorientato e scosso da centomila persone che hanno urlato contro le sue posizioni guerrafondaie”.

Il caso Paramonov indigna i riformisti, nuova aggressione a Picierno e Sensi. E il Nazareno tace (ilriformista.it)

di Aldo Torchiaro

Elly Schlein va a Milano e polemizza a distanza 
con Giorgia Meloni. 

«Incontro bellissimo con le parti sociali lombarde», comunica via social la segretaria Pd.

Le immagini la ritraggono su un divano insieme alla Presidente del Salone del Mobile Maria Porro e il Presidente FederLegno Arredo, Claudio Feltrin. La segretaria dem durante la visita in fiera, tra un selfie e un caffè, punta il dito sul viaggio della premier a Washington.

«Penso che sia fondamentale che l’Unione Europea negozi unita. Attenzione a non dare a Trump l’impressione che ci sia una disponibilità a una trattativa bilaterale: rischia di dividere l’Europa e di farci trovare tutti più fragili a partire proprio dall’Italia. Quindi è importante che l’Europa reagisca unita e insieme».

Il caso Paramonov

Nel frattempo Giorgia Meloni prepara l’agenda della sua visita e tra i Dem scoppia il caso Paramonov. L’ambasciatore russo «invitato al Senato dai Cinque Stelle», come denunciato dalla minoranza riformista del Pd, è solo l’ultimo di una serie di colpi scambiati fra il Movimento e la minoranza dem.

A scatenare l’ultimo ‘incidente’ è stata una nota del senatore Cinque Stelle Pietro Lorefice in cui si annuncia di aver chiesto l’audizione in Commissione al Senato degli Ambasciatori di Stati Uniti, Regno Unito, Israele, Iran, India, Cina, Russia e Arabia Saudita, nonchè di Elon Musk.

Audizioni mirate a fare luce sulle ingerenze straniere in Italia. I riformisti del Pd hanno mangiato la foglia e provato a disinnescare subito la mina: «Penso che chi rappresenta la Russia di Putin possa essere ascoltato da un tribunale internazionale, non certo dal Senato della Repubblica. E a chi vuole ascoltare le parole dell’ambasciatore ne rivolgo due, chiare: Slavi Ukraini», scrive il senatore Filippo Sensi seguito a ruota dalla deputata Lia Quartapelle: «Un modo per legittimare chi vuole distorcere la nostra democrazia. È una richiesta che dice molto della ‘cultura democratica’ di chi la fa».

Poco dopo è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e ‘testa d’ariete’ dei riformisti a Bruxelles, ad attaccare il Movimento: «Il M5S e il suo leader Giuseppe Conte con l’invito all’ambasciatore russo Paramonov in Senato dimostrano con chiarezza la loro strategia politica», spiega Picierno: «Riabilitare l’ aggressore e offendere ancora una volta gli aggrediti, dispensandoci lezioni di morale quando invece tanta retorica serve solo a nascondere un’impronta pericolosa della sua azione politica. Appare inoltre surreale la motivazione dell’invito ovvero farsi dire in Commissione che la Russia è nostra amica e non interferisce nella nostra politica e nella nostra informazione».

La risposta dell’esponente del M5s Dario Carotenuto arriva a stretto giro: «Per me queste posizioni nascono da un interesse, politico o personale. La pace non paga. Ma l’industria delle armi, chissà…».

Sensi ribatte laconico: «Con questa gente neanche un caffé, questo il livello».

Parole, quelle dei riformisti, che stridono fortemente rispetto alla linea “testardamente unitaria” della segretaria Schlein. Il punto è che, al di là delle dichiarazioni di intenti, Pd e M5s si giocano in questa fase la leadership del centrosinistra. I sondaggi attribuiscono al M5S qualche zerovirgola in più.

E Conte punta a imporre l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, come candidato governatore in Campania. A forzare – o comunque a puntare – sulla rottura dell’asse Conte-Schlein c’è Carlo Calenda. Il leader di Azione al suo congresso aveva auspicato la «cancellazione del Movimento» strizzando l’occhio a una potenziale alleanza alternativa: «C’è un gruppo di volenterosi composto da Forza Italia, AzioneCa, +Europa, non da Italia Viva.

Ci sono in questo campo Forza Italia, noi, un pezzo del Pd». E ieri Calenda ha preso da subito le parti di Sensi: «Esprimo la mia solidarietà a Pina Picierno e Filippo Sensi per le volgari accuse di corruzione lanciate da un parlamentare dei Cinque stelle. Concordo con Filippo Sensi: con questi neppure un caffè».

Forte la condanna del senatore Pierferdinando Casini: «L’aggressione primitiva, al limite del codice penale, al collega Filippo Sensi, reo di essere un esponente del Pd che solidarizza con gli aggrediti Ucraini e non ha compiacenze verso gli aggressori russi, merita la solidarietà di tutto il Parlamento, a partire dai gruppi parlamentari del M5S. Le opinioni di tutti sono sindacabili, anche quelle di Sensi, ma ciò non giustifica forme di intolleranza e di aggressione che non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nella politica italiana».

Anche nel centrodestra però i moderati si fanno sentire. Ieri Maurizio Lupi ha radunato i suoi al teatro Rossini per un evento che lancia la partecipazione di Noi Moderati, per la prima volta, al congresso del Partito Popolare Europeo che si terrà a Valencia il 29 e 30 aprile. Coordinata dalla Vicepresidente del partito, Maria Chiara Fazio, la kermesse ha visto sul palco Mara Carfagna, Pino Bicchielli, Mariastella Gelmini e il leader, Maurizio Lupi.

«L’Europa – ha detto Carfagna, segretaria nazionale di Noi Moderati – non è soltanto di fronte a una prova, io la definirei una sfida esistenziale che rischia di minacciare le fondamenta stesse della costruzione europea. Penso che il ruolo dei moderati italiani e dei popolari europei in questa fase storica così complessa e così drammatica per certi versi sia cruciale, sia per difendere il benessere economico, i diritti e la libertà dei popoli europei, sia per consentire all’Europa di superare questa sfida esistenziale che deriva da fattori esterni e da fattori interni».

Dopo il Consiglio nazionale di Forza Italia e il congresso leghista della settimana scorsa, ora il boccino è nelle mani della componente moderata, quarta gamba della coalizione: anche loro, i riformisti della compagine del centrodestra insieme a FI, determinati a tenere alto l’investimento in sistemi di difesa. E i russi ben lontani dal Parlamento.

L’importanza di chiamarsi pacifista (lespresso.it)

di Giuliano Torlontano

Trump tratta con Putin e raccoglie l’applauso 
della sinistra radicale, di Salvini e 
dei populisti. 

Stravolgendo gli schieramenti tradizionali dei partiti italiani

Grande è la confusione sotto il cielo – come diceva Mao Zedong a proposito della Cina pre-rivoluzionaria aggiungendo «quindi la situazione è eccellente» – se a lodare Donald Trump, quasi arrivando a definirlo pacifista, è un intellettuale “gramsciano”, Angelo d’Orsi, lo stesso professore torinese che aveva invitato a boicottare la manifestazione europeista del 15 marzo a Roma, per un «clima di russofobia e di bellicismo».

E ora d’Orsi non esita a sostenere che «Anche se è una boutade definirlo pacifista, Trump in questo momento fa una cosa buona. È l’unico – dice lo storico del pensiero politico – che ha interrotto il meccanismo della guerra, anche perché deve remunerare il suo elettorato dopo aver promesso di non fornire nuovi aiuti all’Ucraina. Sono dalla parte del presidente americano se fa la cosa giusta».

È da dubitare che la situazione sia “eccellente” (per restare all’immagine maoista). Piuttosto, Trump ribalta la politica italiana. Chi era antiamericano diventa filoamericano e viceversa. Sull’Ucraina e non solo, guardano a Trump, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. «Accompagniamo il processo di pace aperto da Trump», chiede il vicepremier-ministro-leader della Lega nel momento stesso in cui boccia l’Europa delle armi.

«Sarei molto cauto a definire il presidente americano pacifista, ma certamente Trump è molto motivato nel cercare di concludere il conflitto in Ucraina. Fra la prospettiva di una guerra di logoramento e la possibilità di una pace anche imperfetta, dobbiamo scegliere quest’ultima, perché sarebbe la soluzione meno dolorosa», ritiene Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo.

«Trump ha smascherato la propaganda bellicista sull’Ucraina», sostiene Giuseppe Conte, che oltre a bocciare il riarmo europeo (come Matteo Salvini), conferma il no agli aiuti militari a Kiev. Posizioni che consentono a Lega e M5S di crescere nei sondaggi più recenti.

È il Popul-pacifismo. Un intreccio favorito dalla svolta americana, ma con radici più profonde. «Non c’è da stupirsi se partiti che vengono definiti populisti hanno assunto un atteggiamento fortemente critico verso il piano di riarmo presentato da Ursula von der Leyen. In tutte le sue declinazioni – di destra, di sinistra o trasversali – la mentalità populista è, per sua natura, aliena dall’assumere atteggiamenti bellicisti, e anche quando si accompagna a toni patriottici, esprime un nazionalismo difensivo, non offensivo o espansionista».

È l’analisi di Marco Tarchi, politologo, che, oltre agli studi sulla destra italiana, ha dedicato proprio all’Italia populista un fortunato saggio edito alcuni anni fa dal Mulino. L’elettore cui guarda la «mentalità populista», sottolinea Tarchi a L’Espresso «è l’uomo comune, ordinario, che vuole coltivare i propri interessi e modi di vita abituali e diffida di tutto ciò che può turbare la sua quotidianità, reclama sicurezza e non presta alcuna attenzione a quello che accade al di là delle frontiere del Paese in cui vive.

A meno che non percepisca rischi di guerra, che vorrebbe a tutti i costi evitare».

Per il politologo del “Cesare Alfieri” di Firenze, è sempre stato così. «Basti pensare agli esempi dell’Uomo qualunque in Italia, che ingiungeva allo Stato di non “rompere le scatole” a chi si “faceva i fatti suoi” e del poujadismo in Francia, che reclamava la protezione dei “piccoli” contro le intrusioni della politica nella loro sfera privata.

Conte e Salvini, ciascuno a suo modo, riprendono e adattano all’attualità quel tipo di atteggiamenti. Non possono considerare quel che accade in Ucraina come una minaccia al popolo italiano e vorrebbero ritornare quanto prima possibile a rapporti pacifici – ed economicamente fruttuosi, perché farebbero calare i costi energetici delle imprese e consentirebbero la ripresa di investimenti in loco – con la Russia. E si dimostrano così ancora una volta, al di là delle collocazioni dettate dall’opportunità o dalle temporanee esigenze tattiche sul fronte progressista o su quello conservatore, poco sensibili alle ragioni dell’ideologia».

Salvini e Conte, sulla stessa linea di Landini, sostengono che il riarmo europeo toglierebbe risorse allo Stato sociale, incoraggiati, in questo, dai sondaggi che segnalano solo un 32 per cento di persone favorevoli alla causa di Kiev. «Il pacifismo, quello storicamente emerso nella versione cattolica e in quella comunista, non c’entra nulla.

Qui siamo solo davanti a operazioni strumentali e opportunistiche, che mirano alle prossime elezioni politiche», taglia corto Claudia Mancina, che fa parte della direzione Pd ed è esponente dell’associazione Libertà Eguale. Maurizio Lupi (Noi Moderati) assicura: «La linea del governo è espressa da Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Sosteniamo il rafforzamento della difesa con strumenti europei e ci opponiamo a una guerra commerciale che avrebbe solo effetti negativi».

Dal Pd, Anna Ascani, vicepresidente della Camera, ribadisce: «Non vogliamo il riarmo delle nazioni, per questo abbiamo sostenuto la necessità di revisione del piano presentato da Ursula von der Leyen. Sarebbe la strada sbagliata. Serve più integrazione, serve che il debito sia comune, ma occorre prendere atto che si è chiusa la stagione in cui erano gli Usa a occuparsi della nostra sicurezza e aprirne un’altra che va sotto il nome di difesa comune europea, io credo che sia il compito di un’alleanza progressista che vuole essere credibile nel candidarsi a guidare il Paese».

E nelle fila dei 5 Stelle non è dalla parte del presidente Usa il senatore Ettore Licheri (Commissione Esteri di Palazzo Madama), che si rivolge anche alla maggioranza: «C’è a destra una gara a chi è più trumpiano di Trump: questo non farà bene all’Italia. Trump è un uomo, un imprenditore spregiudicato. La sua vita, i suoi fallimenti, i suoi processi, parlano per lui. Godiamo però di un vantaggio: conosciamo la sua tattica. “L’Europa ha trattato male l’America, io tratterò bilateralmente solo con coloro che considererò miei alleati politici” ha detto. Ora se cadiamo in questa trappola l’Europa e gli europei saranno spacciati».

Anche quando si occupa dell’Ucraina, il presidente americano lo fa «in modo rozzo, senza cura per gli interessi europei e ucraini». Il suo vice, J.D. Vance, che lo spalleggia in funzione anti-europea, è apprezzato sia da Salvini sia da Meloni per i giudici sferzanti sul Vecchio Continente, in una rincorsa sovranista all’interno del governo.

Quanto a Elly Schlein, cresce la presa di distanza da Ursula von der Leyen per il suo piano da 800 miliardi di euro di cui la leader del Nazareno chiede la «revisione radicale», anche per fronteggiare il pacifismo M5S. Ma oltre questo, la segretaria del Pd non può spingersi.