Trump e Putin si alleano contro i centristi europei nella crisi elettorale in Romania (politico.eu)

di Tim Ross

Elon Musk attacca le autorità rumene per aver 
bandito il candidato di estrema destra 
Călin Georgescu. 

È un’altra vittoria per il Cremlino.

Per inseguire Conte e Landini sull’Ucraina, Schlein si allontana dal Pse (e dal Quirinale) (linkiesta.it)

di

RearmPd

La segretaria dem ha scelto fin da subito di usare toni netti contro il piano von der Leyen di riarmo, ma una parte del suo partito e gli alleati socialisti europei non la seguono.

Mercoledì il Parlamento europeo voterà la risoluzione sul piano, ed Elly dovrà scegliere da che parte stare

A causa dei suoi errori, per Elly Schlein gli esami non finiscono mai. E ogni volta l’ostacolo è più alto di quello precedente. Mercoledì prossimo a Strasburgo il Parlamento europeo dovrà votare una risoluzione riguardante il Piano RearmEu approvato dal Consiglio europeo straordinario. Che farà la segretaria del Partito democratico?

Se non vota la risoluzione si isola nel Partito socialista europeo, se la vota si allontana da Giuseppe Conte e dal pacifismo landiniano. Il voto sarà un atto politico di grande rilevanza, rappresentando di fatto il via libera dell’Europarlamento non tanto al Piano stesso, che non è soggetto a votazione, quanto all’idea politica che lo ispira.

La maggioranza Ursula (Pse, Ppe, Renew, Conservatori) non corre rischi. In queste ore le varie famiglie europee stanno lavorando a un testo comune. Intanto il gruppo dei Socialisti e Democratici ha già la sua bozza, un lungo documento in cui al punto quarantaquattro si afferma che il Parlamento «accoglie con favore l’iniziativa ReArmEU quale primo passo importante».

Nella bozza di risoluzione, il gruppo S&D spiega dettagliatamente perché bisogna aumentare gli aiuti all’Ucraina e sottolinea che «i soli aumenti della spesa nazionale, senza risolvere i problemi di coordinamento, potrebbero peggiorare le cose»: di qui una serie di proposte per centralizzare la spesa e la direzione del Piano.

È questa una esigenza manifestata con vigore da Schlein.

Pertanto sarà difficile per lei, se il testo finale ricalcherà queste posizioni, continuare a opporsi al Piano RearmEu, a meno che lei non decida di spostarsi completamente sulle posizioni dell’estrema sinistra e del Movimento 5 stelle (che sono in realtà simili a quelle della Lega): il che significherebbe finire clamorosamente in minoranza nel Pse, oltre, ovviamente, a cristallizzare la spaccatura della delegazione del Pd in modo forse irreversibile.

Difficile prevedere come finirà. I riformisti infatti voteranno a favore. «Per me bisogna votarlo senza alcuna ambiguità», dice Lorenzo Guerini. Marco Tarquinio e Cecilia Strada contro. Nicola Zingaretti, che ha contribuito al testo della risoluzione S&D, non può certo votare contro e così anche centristi come Dario Nardella, Matteo Ricci, Irene Tinagli, Brando Benifei. È possibile, ma sarebbe politicamente clamoroso, che gli esponenti più vicini a Schlein si asterranno (Camilla Laureti, Sandro Ruotolo, Annalisa Corrado). Si vedrà.

Certo non si sfugge alla sensazione che la segretaria si sia infilata in un vicolo cieco da cui è difficile uscire. È partita subito con toni definitivi contro il Piano che hanno suscitato molte contrarietà nel suo partito, via via cresciute dopo che il Pse ha preso una posizione favorevole e constatando che il più di sinistra di tutti, Pedro Sanchez, non abbia minimamente dato ascolto a Elly: «Noi europei ci troviamo intrappolati tra due potenze militari che cercano di spartirsi l’Ucraina ignorando l’Ue. Ecco perché l’Europa ha bisogno di rafforzare la propria autonomia strategica nella diplomazia e nella difesa».

Parole chiarissime. È questo l’orientamento del Pse, non quello del gruppo dirigente del Pd, da Schlein ad Andrea Orlando a Peppe Provenzano, che è poi l’orientamento di Goffredo Bettini per tacere di Massimo D’Alema (Pier Luigi Bersani è stato più silenzioso), il tutto essendo molto vicino alle posizioni di Maurizio Landini e Giuseppe Conte.

A tutti questi, forse, sfugge non solo la serietà del pericolo che può venire dagli imperialisti del Cremlino ma anche un dato più di fondo, e cioè che l’idea della difesa comune europea non nasce oggi.

Lo ha ricordato Piero Fassino, su HuffPost, ponendo inoltre il problema politico di fondo: «Le incertezze che si sono manifestate nella maggioranza di governo e tra le opposizioni rischiano di rappresentare l’Italia come un paese su cui non poter contare, con l’evidente conseguenza di una marginalità e una subalternità a decisioni altrui. Un rischio che va contrastato in ogni modo e il Pd – che ha nei suoi fondamenti identitari il federalismo europeo – deve sentire la responsabilità di tenere alta la bandiera di un’Europa unita e forte».

Ecco, lo slabbramento di maggioranza e opposizione di fronte alla scelta più impegnativa degli ultimi decenni sta preoccupando moltissimo Sergio Mattarella che in Giappone è stato molto chiaro: «La difesa europea è uno sviluppo naturale dell’integrazione europea che è andata avanti in questi decenni».

Elly Schlein, la leader del Pd che non ha grandi frequentazioni con il Quirinale, deve tenere conto anche di questo. Soprattutto di questo.

Il record in Calabria delle ingiuste detenzioni (inuovicalabresi.it)

di Antonio Polito

(In-giustizia)

I magistrati hanno appena scioperato, evento alquanto eccezionale trattandosi non di lavoratori dipendenti ma di un ordine dello Stato protetto dalla Costituzione, contro la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici requirenti.

Cioè tra chi chiede gli arresti o le condanne e chi deve decidere se autorizzare le prime ed emettere le seconde. Uno degli slogan più usati nella protesta dei magistrati contro il disegno di legge costituzionale varato dal governo fa riferimento alla frase di un noto e grande avvocato, Franco Coppi, il quale ha detto: «Non ho mai perso un processo a causa della comune appartenenza di giudice e pm allo stesso ordine».

Naturalmente non abbiamo gli strumenti intellettuali e le conoscenze giuridiche per contestare l’affermazione di un vero e proprio principe del foro, qual è l’avvocato Coppi. Anche se ci verrebbe da dire che uno come lui le cause non le perde mai, a prescindere, mentre magari avvocati meno bravi qualche problemino con l’appartenenza dei giudici allo stesso ordine del pm l’avranno avuto.

Ma ieri abbiamo letto sul Foglio il bilancio dei risarcimenti che lo Stato italiano ha sborsato dal 2018 al 2024 per indennizzare i cittadini vittime di ingiusta detenzione. Persone cioè arrestate o colpite da misure cautelari durante l’inchiesta che poi sono stati invece prosciolte o assolte dalle accuse.

Ebbene lo Stato italiano ha dovuto versare la bellezza di 220 milioni di euro, come previsto dalla legge, nei confronti di coloro che le Corti di appello, dunque altri magistrati, hanno ritenuto vittime di ingiusta detenzione.

Attenzione: l’errore giudiziario è fisiologico anche in un sistema che funzioni bene. E anzi si potrebbe dire che una tale mole di sbagli individuati dallo stesso potere giudiziario appare come una garanzia della sua imparzialità. Ma il problema è un altro: questo dato ha infatti, anche più di altri, una relazione diretta con la questione della separazione delle carriere; nel senso che l’autorizzazione agli arresti, in carcere o ai domiciliari, e a tutte le altre misure coercitive viene per l’appunto data da un giudice alla richiesta del procuratore, e poi convalidata da un altro giudice nel Tribunale della libertà.

Se si commettono tanti errori, non sarà forse anche perché i magistrati che accusano e quelli che decidono, pur in posizioni teoricamente contrapposte nel nostro sistema processuale tanto da averci fatto scrivere in Costituzione che il giudice è «terzo e imparziale» tra accusa e difesa, sono in realtà colleghi nella stessa carriera, partecipano alla vita delle stesse correnti, condividono le stesse sorti mediatiche, e sono valutati ed eventualmente promossi o puniti dallo stesso organo, cioè il Csm?

Coppi non avrà mai perso un processo a causa di ciò, ma forse anche a lui sarà capitato di aver vinto un processo per un imputato prima arrestato ingiustamente.

Queste osservazioni hanno un valore particolare a Napoli, dove il procuratore capo Gratteri nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario evitò perfino di recarsi alla celebrazione ufficiale alla quale prese la parola il ministro di giustizia Nordio.

Qui a Napoli, insomma, la polemica è anche più forte che altrove. Ma, allo stesso tempo, anche i dati della relazione del ministero sulla custodia cautelare ci riportano a Napoli. Perché di quei 220 milioni esborsati dall’erario per risarcire cittadini innocenti, ben 78, e cioè il 35%, sono stati versati in Calabria su decisione delle Corti d’appello di Catanzaro e di Reggio.

Nota perciò il Foglio: «Una regione che ospita soltanto 1,8 minuti di abitanti ha così assorbito negli ultimi sette anni il 35% dell’intera spesa destinata a risarcire le vittime di ingiusta detenzione. Un record, confermato anche nel 2024: su 26,9 milioni complessivi, 8,8 (cioè il 33%) sono stati versati per risarcire chi è stato incarcerato ingiustamente in Calabria».

Ricordiamo tutti che il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri è stato per l’appunto prima procuratore a Reggio Calabria e poi procuratore capo a Catanzaro dal 2016 al 2023.

E infatti molte assoluzioni e proscioglimenti riguardano proprio alcune maxi inchieste con centinaia di arresti da lui guidate. Tra le più clamorose quella per corruzione e abuso di ufficio contro l’allora presidente della Regione Mario Oliverio, anch’egli poi assolto con tante scuse, visto che il gip parlò di «evidente pregiudizio accusatorio»; ma, nel frattempo, già «condannato» di fatto con la fine della sua carriera politica.

Sbaglierò, ma a me pare intuitivo che i procuratori, soprattutto quelli che ricorrono con più facilità alla richiesta di arresto come è quasi inevitabile nelle maxi-inchieste, siano contrari a trovare nel giudice cui si rivolgono l’esponente di una diversa carriera professionale, quindi inevitabilmente più imparziale e meno condizionato dalla forza mediatica del loro «collega», costruita sul numero di arresti. Un argomento di cui tener conto.

(Da Il Corriere del Mezzogiorno – articolo di Antonio Polito del 2marzo 2025
https://napoli.corriere.it/notizie/cronaca/25_marzo_02/il-recordin-calabriadelle-ingiustedetenzioni-3a4bf9f2-743c-42ba-a92b-b7949053cxlk.shtml)

Andrea Stroppa attacca il Corriere della Sera. Che replica: metodi mafiosi dall’uomo di Elon Musk in Italia (milanofinanza.it)

di Angela Zoppo

Ad accendere la miccia un articolo di 
Fabrizio Roncone che fa riferimento all’uso di 
droghe da parte del miliardario americano e 
definisce scagnozzo il suo braccio destro 
italiano. 

La lite è rimbalzata da X, dove Stroppa ha chiamato in causa anche la moglie del giornalista, alle pagine del quotidiano

È scontro tra l’uomo di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, e il Corriere della Sera. Ad accendere la miccia, un articolo a firma di Fabrizio Roncone intitolato «Matteo Salvini, gli entusiasmi (senza freni) del Capitano leghista tra Trump, Putin e Orbán», nel quale la firma del Corriere descrive il patron di Tesla e SpaceX come «il miliardario che tra un cannone di hashish e una bottarella di ketamina vorrebbe deportarci su Marte» e fa riferimento a Stroppa come allo «scagnozzo». 
I passaggi hanno mandato su tutte le furie Stroppa, che ha attaccato Roncone utilizzando X (altra proprietà di Musk), ma non direttamente, bensì chiamando in causa la moglie del giornalista.

Il botta e risposta su X

Stroppa ha rivolto sarcasticamente il suo appello «alla compagna (ex?) di Fabrizio Roncone», riportando sia il passaggio su hashish e ketamina sia il riferimento che lo riguarda. «Con me è andato più leggero: dopo avermi già invitato a tenere la testa bassa, oggi mi definisce solo scagnozzo. Signora, lo aiuti», scrive Stroppa.

«So che è occupata a dirigere la comunicazione di Invitalia – ente pubblico dove è arrivata per evidenti meriti – ma trovi il tempo di aiutare questo signore. Se la ragione di questa tendenza alla violenza verbale è, come lei stessa scrive, il «molto alcolico», esistono strumenti e percorsi per affrontare la situazione. Anche se non conosco il dottor Roncone, ha tutta la mia solidarietà. Può farcela, ne può uscire!».

E la replica del Corriere: metodi mafiosi

Immediata la reazione del Corriere, che serra i ranghi in difesa di una delle sue firme di punta. «Andrea Stroppa continua a insultare i giornalisti», è la replica del quotidiano, «oggi lo fa coinvolgendo anche la moglie di un collega, Fabrizio Roncone. Sono metodi inaccettabili: ma non riusciranno a impedirci di raccontare quel che accade».

Come sempre gli accade, Andrea Stroppa non risponde nel merito degli articoli che riguardano lui o Elon Musk. Si limita a insultare i giornalisti, non avendo argomenti per esprimere un’opinione coerente o comunque per fornire una spiegazione adeguata.
«Questa volta, pensando evidentemente di essere più efficace, lo ha fatto coinvolgendo la moglie di Fabrizio Roncone. È un metodo che in Italia si definisce mafioso: diffamare, alludere, coinvolgere i familiari. Il Corriere e i suoi giornalisti non si sono lasciati intimidire da minacce ben più serie e certamente molto più gravi. Non sarà un qualunque signor Stroppa ad impedirci di raccontare ciò che accade esprimendo le nostre opinioni».
È finita qui? No, Stroppa ha voluto prendersi l’ultima parola di nuovo su X, attirandosi molti commenti negativi ma anche l’appoggio di alcuni dei suoi circa 121mila followers.