La redazione di Rai News 24 sfiducia il direttore Paolo Petrecca (con l’83% dei voti): «Mandato scaduto, ora basta» (open.online)

di Alba Romano

A far traboccare il vaso dopo mesi di polemiche 
per la linea filo-Meloni il titolo errato sul 
caso Delmastro. 

Il Cdr: «Segnale chiaro alla Rai»

La redazione di Rai News 24 ha sfiduciato il direttore Paolo Petrecca.

A far traboccare il vaso, dopo mesi di dure polemiche sulla linea considerata troppo filo-Meloni, è stato l’«incidente» della messa in onda di un titolo del Tg che lo scorso 20 febbraio annunciava l’assoluzione di Andrea Delmastro, il sottosegretario alla Giustizia condannato invece poco dopo a 8 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione alla vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito.

«Dopo l’ultimo caso che ha rappresentato la disastrosa gestione, il titolo “Assoluzione per Delmastro”, l’assemblea ha incaricato il Comitato di redazione di organizzare una consultazione.

Con 132 voti contro e 12 a favore l’attuale gestione editoriale si compone un risultato netto: l’83% dei votanti sfiducia Petrecca», annuncia in una nota il Cdr del Tg all news della Rai.

«Ha votato tre quarti del corpo redazionale. Un segnale chiaro che nessuno potrà ignorare in azienda, a partire dallo stesso direttore il cui mandato triennale è scaduto a novembre 2024», aggiunge la rappresentanza sindacale della redazione.

(In copertina: Il direttore di Rai News 24 Paolo Petrecca alla festa di Fratelli d’Italia nel dicembre 2022 ANSA/FABIO CIMAGLIA)

Trump e il rapporto incestuoso con Putin che non piace agli americani: la Golden Card agli oligarchi e la mano tesa ai regimi (ilriformista.it)

di Paolo Guzzanti

Un americano unamerican

Il francese “Le Monde” scriveva che la politica americana si è “putinizzata” e che ormai il Presidente Donald Trump è soltanto l’alter ego di Vladimir Putin: “Il Cremlino vuole l’Ucraina, le Repubbliche baltiche, la Moldavia e la Polonia? Parliamone, in fondo noi vogliamo Panama, il Canada, la Groenlandia e la Striscia di Gaza”.

Di fronte a questa intesa spregiudicata per impossessarsi di terre e ricchezze l’opinione pubblica americana comincia a dare segni di nervosismo.

Hackman e il vero americano

Ieri è morto a 95 anni l’attore americano Gene Hackman che è stato l’interprete di meravigliosi film in cui dava vita in modo fintamente scialbo all’americano medio, un uomo senza qualità ma assolutamente americano. Quello del “vero americano” è del resto l’eterno filo conduttore di Hollywood, ma quel filo conduttore è sparito da quando Trump è tornato alla Casa Bianca.

E si diffonde un dubbio esistenziale: ma Trump è davvero un americano che condivide i valori di questa nazione? In inglese l’aggettivo “unamerican” vuol dire “antiamericano”, ma privo dell’identità americana.

Trump “agente di influenza” Kgb

Nessuna sorpresa se si rivede su Internet (la fonte è ucraina, quindi di parte) espresso il vecchio sospetto complottista e non provato ma pubblicato in due libri, secondo cui Donald Trump negli anni Ottanta sarebbe stato “coltivato” dal KGB per diventare “agente di influenza”.

Nessuno può dire se c’è una traccia di verità in queste teorie ma sta di fatto che un agente di influenza non è una spia, ma una persona che ha fatto un patto col diavolo, il quale gli spiana la carriera per poi manovrarlo. Non sarebbe una novità: tutti ricordiamo il clamoroso tonfo del cancelliere tedesco Willy Brandt travolto nel 1974 dallo scandalo quando si scoprì che il suo braccio destro Gunter Guillaume era un agente della Stasi tedesca e quindi del Kgb.

Il rapporto incestuoso

Gli americani avvertono uno specifico disagio quando si tratta di valutare il carattere americano come virtù che a noi europei può sfuggire. Ma oggi negli Stati Uniti si diffonde la percezione di un Presidente nei cui atti e parole non si vede traccia della buona retorica sulle virtù fondamentali: la libertà, la democrazia e quindi la lotta (almeno a parole) contro autocrati e regimi autoritari.

Trump non parla mai di libertà, meno ancora di democrazia ed è irritato dalla sconsiderata libertà dei giornalisti che lui sta dividendo fra quelli ammessi e quelli tenuti alla larga, ma quel che appare certo è il suo rapporto politicamente incestuoso con la Russia come mai l’ha avuto alcun altro Presidente. Tutti gli inquilini di White House hanno costruito il loro rapporto con la Russia, sovietica o post-sovietica ma nessuno si era spinto fino al comparaggio.

Bill Clinton condivideva pinte di whisky con il russo Boris Yeltsin in tempi in cui nessuno faceva caso al pallido Vladimir Putin che il capo del Cremlino aveva adottato come suo successore. Era ancora l’epoca delle pacche sulle spalle e degli abbracci entusiasti per il senso di liberazione dall’incubo della minaccia Russa all’Occidente.

Sentimenti che ispirarono Francis Fukuyama a scrivere il saggio la “Fine della storia” come fine del conflitto fra Occidente democratico e Russia quando il mondo si compiaceva della scomparsa per collasso interno del nemico numero uno della democrazia liberale. Ma era stato un equivoco, un effetto ottico per l’illusione che fosse finita la guerra fredda.

La Golden Card agli oligarchi

Trump ha annunciato di voler una “Golden Card”, da vendere per quattro milioni di dollari agli stranieri, purché miliardari, che vogliono diventare americani privilegiati. Un giornalista ha chiesto: “Ma così darà la cittadinanza americana a tutti gli oligarchi russi del circolo di Putin”. La risposta di Donald Trump è stata: “E perché no? Fra gli oligarchi c’è gente molto in gamba, posso assicurarvelo”.

Questa affermazione ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica come si legge dai post e le e-mail ai media. Il Presidente Ronald Reagan instaurò un rapporto molto personale con l’ultimo segretario del PCUS Michail Gorbaciov dopo avergli urlato dalla porta di Brandeburgo a Berlino il 12 giugno del 1987, “tear down this wall!”, butti giù quel muro. Gorbaciov aspettò due anni ma poi consentì alla caduta del muro nel 1989, primo segno concreto dell’inizio del collasso sovietico.

Vladimir Putin era allora un tenente colonnello del KGB di stanza a Dresda, nella Repubblica Democratica tedesca. Lui stesso ha raccontato con molti dettagli come lui e i suoi colleghi facessero “scoppiare le stufe” per eliminare tutti i rapporti sulle operazioni di Stasi e Kgb.

La stazione di Dresda aveva un compito di supervisione del terrorismo europeo come è emerso anche nella Commissione bicamerale d’inchiesta che ho presieduto, e contro la quale Putin nel 2002 scatenò una campagna contro perché considerava intollerabile che un Parlamento straniero indagasse sul KGB.

Arricchitevi

Il legame fra Putin e Trump oggi è costantemente mostrato e commentato, ma la consistenza di questo legame non sembra tanto geopolitica quanto guidata da una spavalda avidità per la ricchezza.

Per entrambi i leader sembra valere oggi il celebre slogan del primo ministro francese Francois Guizot nel 1840: “Arricchitevi!”. Guizot era un calvinista molto bigotto e lodava il denaro come premio divino agli imprenditori virtuosi. Non avrebbe certo venduto “Golden Card” ad oligarchi e mafiosi.

È su questa esibizione spregiudicata di avidità e desiderio nonché disinteresse anche formale dei sacri principi di libertà, democrazia e libertà di parola che l’opinione pubblica dà già oggi ad un mese dalla “inauguration”, forti segni di disorientamento e anche di repulsione non solo fra i democratici ma nell’elettorato repubblicano composto da ceto medio e immigrati legali e non da miliardari.

Il malcontento cresce ed è visibile in tutti i media, ovviamente a partire dalla CNN e dal New York Times i cui columnist si chiedono “se per caso non siamo guidati da un padrino della Mafia avido di territori da spartirsi con la Russia: io mi prendo la Groenlandia e tu ti prendi la Crimea, io prendo Panama e tu il petrolio artico”.

L’idiota (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Doveva succedere ed è successo, anche molto in fretta.

Javier Milei, il sodale argentino di Trump che vuole cambiare il mondo a colpi di motosega, ha ripristinato le parole «idiota», «imbecille» e «ritardato mentale» per definire i disabili cognitivi nei documenti del governo.

Va detto che le aveva già ampiamente sdoganate contro i bersagli politici, a cominciare dal Papa suo connazionale. Siamo sprofondati in un circolo vizioso: il linguaggio di Milei è una reazione al politicamente corretto, che a sua volta nasceva come reazione al linguaggio di Milei (e di quelli come lui).

Il politicamente corretto irrita per quanto è stucchevole, il linguaggio di Milei per quanto è violento. Entrambi fanno venire l’orticaria, ma il primo offende solo il buon senso, il secondo anche le persone. L’uno è ipersensibile, l’altro insensibile.

Sarebbe auspicabile una via di mezzo affidata al buon gusto e all’umanità dei dicitori, ma sono materie che nella scuola della vita non si insegnano più. Così eccoci alle prese con l’eterno pendolo della stupidità umana, che adesso batte le ore della rivincita contro gli eccessi della cultura «woke».

E non sorprende che sia una rivincita sguaiata, perché in chi la cavalca prevale un dispetto, se non un disprezzo, per qualunque forma di fragilità: psicologica, fisica, sentimentale.

C’è una ostentazione aggressiva e tracotante delle proprie ricchezze e delle proprie certezze che sarà anche molto liberatoria, ma certo è ben poco liberale.

Il Trump in chiave filocinese di “Giuseppi” Conte

di Lodovico Festa

La posizione furbetta pro Pechino del leader del 
M5s su Ucraina, Russia e Usa, il pacifismo 
demagogico pentastellato, la mancata reazione 
del Pd. 
Rassegna ragionata dal web

Su Huffington Post Italia Alfonso Raimo scrive: «Fuga in avanti di Conte, che annuncia una manifestazione contro il caro vita e contro le armi. Il Pd spiazzato, Verdi e Sinistra si arrabbiano. E rilanciano per far male ai Cinque stelle (e pure al Pd). Non se ne esce».

L’obiettivo di costruire una campo largo che prepari una vittoria della sinistra nelle prossime elezioni politiche, è complicato: il Movimento 5 stelle ha una base di protesta spesso senza vere proposte e questa è assorbibile da una sinistra condizionata dalla “Cgil allo sbando” di Maurizio Landini, ha un punto fermo nel giustizialismo del Fatto quotidiano, elemento centrale nella formazione delle opinioni e nell’indirizzo degli ex grillini (ora contini o travaglini?), anche questo accettabile da una sinistra senza saldi princìpi e orientamenti, ma poi ha un legame organico con la Cina.