La post realtà
L’ecosistema mediatico trumpian-putiniano sta costruendo da anni il suddito totalitario ideale.
Quello per cui, come scriveva Hannah Arendt, non esiste più distinzione tra il vero e il falso. È il pubblico perfetto per assistere, con orgoglio e senza vergogna, al pestaggio mediatico di Zelensky
Non replicando l’errore del Risorgimento, che, fatta l’Italia, si pose dopo il problema tuttora irrisolto di fare gli italiani, gli impresari del nuovo disordine mondiale hanno prima forgiato il loro suddito totalitario ideale che – scriveva Hannah Arendt – «è l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più», e poi ne hanno fatto l’idolo della restaurazione sovranista, innalzandolo sugli altari della nuova religione politica contemporanea.
Questo suddito totalitario si concretizza nel pubblico addestrato a interpretare come una giusta lezione impartita al presidente ucraino, presentatosi malvestito all’appuntamento nello Studio Ovale e irrispettoso dei signori della Casa Bianca, quello spettacolo ributtante di violenza mafiosa che a un cittadino dell’America “pre-Maga” (poco importa se democratico o repubblicano) avrebbe suscitato vergogna e indignazione.
Il “senso comune” che la vulgata trumpiana continua a indicare come un deposito proibito di moralità e saggezza, che occorre liberare dalle catene del deep state universale e dei suoi canoni di correttezza, è in realtà un atto di obbedienza pavloviana, che porta ad esempio a interpretare la soperchieria come un fattore più autentico e, per così dire, naturale di legittimazione politica.
La guerra ibrida contro l’Occidente è sia una guerra civile sia una guerra mondiale, e ha segnato una saldatura inaspettata ma in fondo coerente tra tutti i nemici dell’ordine politico liberale, al di qua e al di là della sempre più evanescente frontiera atlantica.
La ragione per cui JD Vance e Alexander Dugin usano praticamente le stesse parole per dire le stesse cose è che, molto semplicemente, la pensano proprio allo stesso modo, hanno gli stessi gusti e soprattutto gli stessi disgusti, anche se l’odio contro il vecchio sistema euro-americano e i suoi valori diventa per il vice di Trump ripudio e per il filosofo di Putin vendetta.
L’ultimo Karl Popper – quello di “Cattiva maestra televisione” – aveva capito già trent’anni fa che la nuova forma del totalitarismo sarebbe stata l’entropia cognitiva indotta dalla comunicazione di consumo nell’uomo-massa mediatizzato. In troppi (quorum ego) ai tempi pensarono che quella profezia apocalittica riflettesse il ritardo evolutivo di un vecchio dinosauro liberale diffidente per le nuove tecnologie.
Invece Popper aveva visto arrivare un fenomeno che la comunicazione digitale ha ingigantito a dismisura e reso potenzialmente esiziale sia per la libertà, sia per la democrazia.
Come sempre nei suoi studi sul totalitarismo, Arendt aveva rilevato che le verità più esposte e vulnerabili sono proprio quelle di fatto, legate alla contingenza dell’esperienza e dell’azione umana, e quindi le più immediatamente politiche. Si tratta – è il caso di aggiungere – di verità fondate su prove e testimonianze che implicano, per essere accettate, atti anche inconsapevoli di fiducia, visto che per nessuna di queste verità tutti i potenziali osservatori possono avere un’esperienza diretta.
Questo spiega perché la verità dei fatti, pur essendo più concreta e umanamente urgente di qualunque verità desunta da un assunto logico e ideologico, è anche più fragile e falsificabile e alla mercé di un potere che può attestarla, ma anche confutarla.
Da questo punto di vista, la parte più esemplare del pestaggio mediatico andato in onda venerdì alla Casa Bianca è stata quella in cui Zelensky spiega il grande contributo economico dato dall’Europa alla causa ucraina, con Trump che lo interrompe per dire: «Hanno dato molto meno di noi». Il Presidente ucraino poi risponde: «No».
Ristabilire la verità dei fatti è il fondamentale atto di resistenza politica, perché la menzogna è la forma pura del potere totalitario. Non un contenuto, ma la logica e l’etica della sua azione e del suo linguaggio. Che tutto questo avvenga in un contesto di democrazia elettorale non cambia sostanzialmente la natura, né le conseguenze di questo fenomeno.
Come scrive Arendt in “Verità e Politica”, «i fatti informano le opinioni e le opinioni, ispirate da differenti interessi e passioni, possono differire molto e rimanere legittime fino a quando rispettano le verità di fatto. La libertà di opinione è una farsa tranne quando l’informazione fattuale è garantita e i fatti stessi non sono in discussione».
Nel sistema totalitario, i fatti non sono solo falsificati, ma, per così dire, aboliti, nel senso che ne è messo in discussione lo stesso possibile statuto di verità. I fatti non sono più un limite esterno, ma diventano un prodotto interno del potere e della macchina della post-verità.
È esattamente quello che sta avvenendo nell’ecosistema mediatico trumpian-putiniano, in cui la difesa del free speech non è solo legittimazione dell’odio, ma soprattutto oblio della realtà. Come è inevitabile, un’opinione liberata dalla realtà non è più libera, ma più manipolabile e nichilista. E un potere in grado di sbarazzarsi dei fatti è un potere più assoluto e sopraffattorio.
A quel punto – che è esattamente il punto a cui siamo arrivati – Donald Trump e Vladimir Putin, due uomini senza scrupoli, che non dicono mai, per ragioni di metodo, una sola cosa vera, possono negoziare con reciproco vantaggio la pace della guerra dichiarata dall’Ucraina alla Russia e accusare all’unisono l’ingrato Zelensky di volere la Terza guerra mondiale.