I molti complici inconsapevoli del trumputinismo globale (linkiesta.it)

di

Senso delle priorità

Tra liberisti accecati dalla motosega di Milei, liberali abbagliati dalla «riviera di Gaza», libertari felici per la strage degli asterischi la fine della liberaldemocrazia occidentale rischiò di passare quasi inosservata

Tenere il ritmo di tutte le enormità dette, fatte o annunciate da Donald Trump e da Elon Musk nell’arco di ventiquattro ore sta diventando sempre più difficile, ma soprattutto rischia di diventare controproducente.

Sia per la causa, perché finisce per prestare il fianco al tipico vittimismo della destra e alla caricatura di un giornalismo e di una sinistra ossessionati da Trump, sia per me stesso, perché immergersi quotidianamente in quel pozzo senza fondo di aberrazioni è una Cura Ludovico capace di mettere a tappeto anche il più cinico degli osservatori.

Solo ieri, per esempio, Elon Musk ha dichiarato in un tweet: «L’unico modo per ripristinare il governo del popolo in America è mettere sotto accusa (impeach) i giudici. Nessuno è al di sopra della legge, compresi i giudici. Questo è ciò che è servito per sistemare El Salvador.

Lo stesso vale per l’America». Parole con cui Musk ha rilanciato i tweet del presidente populista Nayib Bukele, intento a fare piazza pulita dei giudici sgraditi, a cominciare dalla Corte suprema, problema che peraltro Trump non ha di sicuro, avendo già una larga maggioranza anche lì.

Quanto a lui, ieri ha postato un video fatto con l’intelligenza artificiale che mostra la futura «Trump Gaza». Se non lo avete visto, cliccate qui, perché io davvero non ho parole per descriverlo. Segnalo solo un fotogramma, quello in cui si vedono Trump e Benjamin Netanyahu sdraiati sulla spiaggia uno accanto all’altro.

Non ho intenzione di perdere nemmeno un secondo a spiegare perché le intenzioni di Musk sui giudici siano chiaramente eversive e quelle di Trump su Gaza semplicemente mostruose. Ma sono sicuro che le une e le altre troveranno anche in Italia, per motivi diversi, i loro difensori. Ed è questo il problema di cui vorrei parlare. Perché un giorno, spero non troppo lontano, qualcuno ci chiederà conto delle nostre scelte e dei nostri silenzi di oggi.

Ci chiederanno – come ci siamo chiesti noi tante volte, leggendo i libri di storia, a proposito delle generazioni che ci hanno preceduto – come è stato possibile che non ci siamo resi conto di quello che stava accadendo, del fronte che si andava saldando, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’Argentina di Javier Milei all’Ungheria di Viktor Orbán, dal Salvador di Bukele all’Israele di Netanyahu.

E forse l’unica spiegazione sarà che alcuni erano troppo entusiasti dei tagli fiscali, altri erano troppo soddisfatti del sostegno garantito a Israele, altri ancora erano troppo felici per la crociata contro il politicamente corretto e la cultura woke, contro la partecipazione di atlete trans alle olimpiadi o contro lo strapotere dei giudici, per accorgersi di nient’altro.

E fu così che, tra liberisti accecati dalla motosega di Milei, liberali pro-Israele abbagliati dalla riviera di Gaza e libertari inebriati dallo sterminio degli asterischi e degli schwa, la fine della liberaldemocrazia occidentale rischiò di passare quasi inosservata.

(LaPresse)

Le speranze sull’Europa (corriere.it)

di Paolo Giordano

Il caos

A volte si dovrebbe immaginare il caos mondiale racchiuso in poche righe, nei libri di storia del futuro: «Tre anni dopo l’invasione dell’Ucraina, la presidenza americana cambiò bruscamente rotta, passando dal supporto all’ostilità. In questo quadro mutato l’Europa…».

Nell’ultima frase non ci sarà spazio per descrivere i dilemmi di opportunità, nemmeno per trattare l’Italia come un soggetto distinto. Solo per riassumere quello che l’Europa alla fine avrà fatto o deciso di non fare. Al di là dei calcoli immediati, al di là delle inclinazioni dei singoli politici, molto oltre la contingenza.

Alcuni leader sembrano averlo capito. A volte, anticipare la prospettiva storica non è un esercizio retorico. Semplifica il contesto. Liquefà la paura.

Per il momento, purtroppo, il fiato per parlare è rimasto soprattutto a chi aveva atteso acquattato la propria occasione, un cambio di vento favorevole. Espressioni riaffiorano alla superficie, «la guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina», «l’allargamento della Nato a est», «gli interessi di Zelensky», le farneticazioni varie sulla «pace».

Con una differenza rispetto a prima: se quella pace che molti politici e commentatori avevano in mente era fino a qui incomprensibile, offuscata da un velo di mistificazione, adesso Trump l’ha scoperchiata. Ed ecco di cos’è fatta: di falsità, di sottomissione ma anche di un elemento che non avevamo previsto – l’estorsione.

La fortuna dei predicatori falsi è che non mollano mai. L’opinione pubblica sensata si evolve, ed evolvendosi lascia andare. Si distrae anche. I falsi predicatori no. Che si tratti di negazionisti del Covid o di antiucraini, aspettano che la loro versione della realtà trovi la sua chance. A quel punto sono da soli sul proscenio.

Non occorre più nemmeno camuffarsi, nascondere la sostanza in giri di parole. Possono dissentire su quasi tutta la vertiginosa agenda Trump, anzi è spesso così, ma salvano il singolo pezzetto che gli conviene, lo isolano accuratamente dal resto e lo usano per legittimare finalmente la propria posizione, troppo a lungo maltrattata dal «pensiero unico», dal mainstream.

Se questo processo selettivo porta a contraddizioni vistose, se dà origine a paradossi, tanto peggio. L’ha comunque detto niente meno che il presidente degli Stati Uniti d’America. Per molti inizia così il riscatto, l’orgoglio ritrovato. Orgoglio antiscientista. Orgoglio antiucraino. Orgoglio antieuropeo.

Da veri campioni quali sono, Trump e Musk e Vance racimolano questo consenso sbriciolato, lo accumulano, nella totalità diventa enorme. Vanno oltre: inaugurano il tempo della vendetta. Il tempo della rappresaglia. Il tempo dei predatori alfa. La verità arretra un altro po’, intimorita.

Mentre si produce la riconfigurazione delle opinioni su larga scala, qualcosa di reale è già accaduto: la guerra che uccide gli ucraini è passata di nuovo sopra le teste degli ucraini. Kiev esclusa dal tavolo negoziale. Il martirio sovrascritto.

Perciò ho chiamato K. Per rimettere almeno a posto il mio baricentro emotivo. K. era a Kiev per una commemorazione del poeta Maksym Kryvstov, morto al fronte a trentatré anni. La volta scorsa il padre di Maksym le sedeva a fianco e ha pianto tutto il tempo. K. si chiede se oggi reggerà, se reggerà lui, se reggerà lei.

Ma questo genere di racconti è lontano che da noi, da me. Non ci permea più, figurarsi se ci modifica. K. mi parla della playlist che ha in testa, delle canzoni che molte persone le hanno chiesto di suonare al loro funerale, in caso di. Custodisce quei testamenti musicali, si ripete spesso l’elenco per non dimenticarlo. Anche questo: troppo lontano.

Vado dritto al punto, alla metamorfosi della politica internazionale, a Donald Trump e Keith Kellogg, al meeting frettoloso di Parigi. Per una stagione la nostra presidente del consiglio è stata un mito per i giovani ucraini, il suo discorso senza ombre a Kiev, pronunciato a fianco di Zelensky. «L’Italia non intende tentennare in questa vicenda, e non lo farà… L’eroica reazione di un popolo…».

«I generali russi avevano prenotato i ristoranti di Kiev per festeggiare» (avvenire.it)

di Nello Scavo

Ucraina
Zazo, allora ambasciatore in Ucraina, rivela che pochi giorni prima dell’attacco apprese da alcuni ristoratori che gli ufficiali russi avevano prenotato diversi tavoli: «Credevano di essere accolti»

L’ambasciatore Pier Francesco Zazo(L’ambasciatore Pier Francesco Zazo)

Non solo i “segnali” anche le informazioni sull’imminente attacco russo contro l’Ucraina c’erano tutti. Ma le cancellerie europee non vollero prendere sul serio gli avvertimenti.

Fu in quel contesto che l’allora ambasciatore italiano a Kiev Pierfrancesco Zazo (unico tra gli europei, insieme alle rappresentanze francese e vaticana, a non lasciare mai scoperta la presenza diplomatica) chiese all’Unità di crisi della Farnesina di inviare una missione in Ucraina per approntare i piani di emergenza per l’evacuazione dei connazionali.

Una decisione che si rivelerà indovinata, permettendo di portare al sicuro nonostante il conflitto centinaia di italiani e intanto assistere l’Ucraina sul piano internazionale fin dal primo attacco russo. Nonostante Kiev, fino ad allora, guardasse con diffidenza alle politiche di Roma.

Da luglio 2024 Zazo è in congedo. Le immagini del diplomatico che durante i bombardamenti suonava il pianoforte per i bambini italiani rifugiati nella sua residenza fecero il giro del mondo. E in questa intervista ad “Avvenire” rivela notizie che gettano nuova luce sul conflitto.

Quando si convinse che oramai sarebbe stata questione di ore?

Pochi giorni prima i colleghi americani ed inglesi ci avvertivano che l’invasione era ormai imminente ed inoltre vidi che i russi chiusero la loro Ambasciata bruciando tutti i documenti. Ricevetti poi un’informazione sorprendente da fonti non diplomatiche né di intelligence e che significava due cose: la Russia stava per attaccare l’Ucraina e a Mosca pensavano che sarebbe stata una passeggiata, che a Kiev la gente li avrebbe accolti senza troppo obiettare. Attraverso quella informazione ebbi la conferma che al Cremlino, dove si illudevano ancora che le popolazioni ucraine russofone fossero anche russofile, non avevano compreso nulla dell’Ucraina degli ultimi anni.

Di che genere di notizia si trattava?

Alcuni miei conoscenti ristoratori mi informarono, con loro sorpresa, che un gruppo di cittadini russi, che poi da una successiva verifica risultarono essere dei generali, aveva tranquillamente prenotato diversi tavoli nei loro ristoranti per i giorni successivi lasciando i loro nomi. Proprio le date in cui la guerra è poi effettivamente scoppiata. Evidentemente pensavano di non incontrare resistenza e di poter soggiornare nella capitale ucraina come se si trovassero a Mosca.

Lei come aveva visto cambiare invece l’Ucraina?

Ho potuto fare tesoro delle mie precedenti esperienze diplomatiche sia a Kiev, oltre venti anni fa dal 1999-2002, e successivamente a Mosca. Mi ha poi facilitato parlare il russo. Venti anni fa era un Paese diviso a metà: l’Ucraina occidentale guardava all’Europa, quella orientale alla Russia. Ma la prima cosa che ho subito notato al mio ritorno a Kiev dopo oltre venti anni è stato vedere un Paese profondamente cambiato, rafforzato nella sua identità nazionale, anche a causa del trauma provocato dall’annessione della Crimea e della guerra nel Donbass dal 2014 e delle continue minacce di Putin. Mi avevano soprattutto colpito le giovani generazioni che guardano all’Occidente, sono attratte dall’Europa e non dal modello autoritario offerto dalla Russia. Non è un caso che alle ultime elezioni i partiti filorussi avessero raggiunto solo il 13 % dei voti (in maggioranza espressi da persone anziane).

Nel 2021 proprio il presidente russo pubblicò un controverso documento sull’unità storica delle genti di lingua russa. Come venne recepito?

Per me fu il vero campanello d’allarme. Parlava dell’unità storica del popolo russo e di quello ucraino. Intendeva dimostrare l’appartenenza all’unico popolo russo, negando la legittimità dell’esistenza di uno stato ucraino indipendente e separato dalla madrepatria russa. Quello che molti non comprendono è che in Russia la storia è politica. E il mito fondamentalista del “russkiy mir” (mondo russo) è la chiave di lettura per capire a cosa ambisce Putin.

Quali erano i suoi rapporti con la leadership ucraina? Come vedevano l’Italia prima della guerra?

Il mio lavoro sul piano diplomatico è diventato paradossalmente molto più facile dopo il 24 febbraio 2022. Prima della guerra eravamo considerati “un po’ troppo vicini ai russi nonostante i rapporti di amicizia tra i nostri due Paesi”, secondo le parole usate da Zelensky alla presentazione delle mie lettere credenziali. Ma dopo l’aggressione russa la politica estera italiana è cambiata radicalmente in 24 ore. Abbiamo adottato una posizione filoucraina e siamo diventati un partner affidabile di Kiev con relazioni bilaterali eccellenti, prima grazie al premier Mario Draghi e poi con l’attuale governo Meloni che ha confermato la politica di massimo sostegno e gli ucraini ci sono anche grati per l’eccellente conduzione della Presidenza italiana del G7.

Leggi liberticide e Stato di polizia. Putin ha svuotato le piazze russe (ildubbio.news)

di Gennaro Grimolizzi

Il report

Mosca ora soffoca il dissenso controllando internet e canali social: centinaia di esperti “arruolati” per monitorare la rete. L’allarme dell’Ong Ovd-Info a tre anni dall’inizio della guerra

L’aggressione ai danni dell’Ucraina ha provocato un grande sforzo militare da parte della Russia. Un impegno ingente anche in patria, dove dal 24 febbraio 2022 le misure per reprimere il dissenso contro una guerra ingiustificabile sono state ancora più stringenti.

Come non ricordare, per esempio, l’articolo 207.3 del codice penale sui cosiddetti “falsi militari”, inserito frettolosamente nel marzo di tre anni fa? Sono stati tanti i russi che per aver criticato le forze armate impegnate ad occupare il territorio ucraino hanno subito processi farsa, finendo in carcere. Tra questi gli avvocati Alexei Gorinov e Dmitry Talantov.

Gorinov è stato il primo cittadino russo ad andare dietro le sbarre (deve scontare in totale dieci anni in una colonia penale; la prima condanna è stata di sette anni alla quale se ne è aggiunta un’altra di tre anni nello scorso autunno, si veda Il Dubbio del 29 novembre 2024) per aver contestato l’operazione militare speciale, chiamandola con il suo vero nome: guerra. Una parola vietata nella Russia di Vladimir Putin.

L’opinione pubblica è tenuta sotto lo schiaffo e alcune leggi liberticide, che hanno sotterrato la libertà di opinione e la libertà di pensiero, servono al boss del Cremlino per avere un controllo pressoché totale sulla società russa ed evitare, per il momento, la nascita di una opposizione politica.

Il triste momento che sta vivendo la Russia è documentato da un report di Ovd-Info. L’organizzazione che si occupa di diritti umani ha redatto uno studio a tre anni dalla guerra di aggressione in cui si lancia un allarme rivolto alla comunità internazionale.

«Il terzo anno di guerra su vasta scala della Russia contro l’Ucraina – si legge nel documento – è accompagnato da una continua repressione politica all’interno del Paese. Nonostante il calo del numero di proteste contro la guerra su larga scala e l’aumento della censura, la pressione sulla società civile, compresi attivisti, avvocati, giornalisti e organizzazioni indipendenti, prosegue incessantemente.

Le autorità continuano a utilizzare l’intero arsenale di strumenti repressivi: dai procedimenti penali per i “falsi” sull’esercito russo per screditare le forze armate alle punizioni extragiudiziali, tra cui licenziamenti, pressioni sui parenti dei responsabili delle contestazioni e rifiuto di rilasciare documenti. Inoltre, vengono adottate nuove leggi che ampliano i poteri delle forze di sicurezza e consentono un maggiore controllo sui dissidenti».

Svuotate le piazze – dimostrare a voce alta con cartelli e fischietti è troppo pericoloso -, la repressione del dissenso, rispetto ai primi mesi di guerra, avviene adesso con un controllo di internet e con una singolare forma di retroattività.

Il social più monitorato dalle autorità russe è VK (oltre 200 milioni di utenti), fondato da Pavel Durov che è anche il padre di Telegram. Ma analoghe “attenzioni” non risparmiano neppure Telegram e YouTube. Centinaia di esperti sono stati “arruolati” per monitorare dalla mattina alla sera la rete. «Le autorità – evidenzia Ovd-Info – prestano particolare attenzione alla repressione contro le posizioni contrarie alla guerra su internet.

La maggior parte dei procedimenti penali vengono avviati a seguito di pubblicazioni sui social network, spesso in relazione a post pubblicati diversi anni prima dell’inizio dell’azione penale. Continua la pratica di includere media indipendenti, organizzazioni per i diritti umani e singoli attivisti nei registri degli “agenti stranieri” e delle “organizzazioni indesiderate”.

Le nuove restrizioni sull’uso delle Vpn (reti virtuali private, ndr) e il blocco di massa dei siti web rendono difficile l’accesso a informazioni indipendenti. Le forze di sicurezza stanno attivamente perseguitando non solo i cittadini russi, ma anche i prigionieri di guerra ucraini e i civili dei territori occupati. Molti di loro sono accusati di spionaggio, terrorismo o tradimento e vengono condannati a lunghe pene detentive».

Subito dopo il 24 febbraio 2022, le proteste di piazza contro la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina sono state represse con ben 20 mila fermi. Un numero che con il trascorrere dei mesi è sceso sempre di più. Le nuove leggi approvate hanno di fatto impedito ogni manifestazione di piazza. Nei tre anni di conflitto in Ucraina le forze di sicurezza hanno arrestato 856 persone per post contrari alla guerra o per aver pubblicato simboli collegati alla guerra, in modo particolare quelli con i colori della bandiera ucraina.

Nel 2024 e fino al 17 febbraio scorso ci sono stati 82 arresti. La maggior parte di questi è avvenuta a Mosca (27) e San Pietroburgo (13 casi). «Ciò – scrive Ovd-Info – è probabilmente dovuto al fatto che queste città tendono a ospitare più proteste contro la guerra rispetto ad altre regioni. Altri otto arresti sono stati effettuati nella regione di Sverdlovsk».

In merito alle proteste contro la guerra, si è svolta a Berlino una conferenza stampa di Memorial. Nei giorni scorsi una delegazione dell’organizzazione russa insignita del premio Nobel per la Pace nel 2022 ha visitato Kyiv e altre città ucraine. Il cofondatore di Memorial, Oleg Orlov, imprigionato in Russia dopo lo scoppio della guerra e liberato in uno scambio di prigionieri nell’agosto scorso, ha auspicato la fine delle ostilità.

Ha inoltre ricordato un incontro fatto nel suo viaggio in Ucraina: «Ho conosciuto una donna il cui marito è stato portato via da casa, torturato e poi ucciso. Il suo corpo è stato ritrovato poco tempo dopo. Era difficile per lei parlare con noi, me ne rendevo conto, ma parlava. Capì che, lei ucraina e io russo, non eravamo nemici».