Perché all’Occidente conviene mandare più aiuti militari all’Ucraina (linkiesta.it)

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Il momento giusto

Nonostante i progressi nella regione di Kursk, l’esercito ucraino è in difficoltà davanti all’avanzata delle forze russe sul fronte orientale.

Ma Stati Uniti e Ue avrebbero il potenziale economico per influenzare l’andamento della guerra e prevenire conseguenze più gravi in futuro

La guerra in Ucraina è diventata ormai una guerra di logoramento, una guerra in cui la vittoria è della parte che resiste di più sul piano delle risorse umane e materiali. Se si guarda ai due eserciti e al rapporto di forze, una vittoria gialloblù può sembrare improbabile, specie se si considera il rallentamento del supporto militare all’Ucraina da parte dell’occidente. Eppure, se dotata di risorse sufficienti, Kyjiv potrebbe avere successo sul campo, come dimostra l’attuale incursione sul territorio russo.

La controffensiva nella regione di Kursk, che analisti ed esperti credevano temporanea, è in corso da due settimane e, seppur lentamente, l’esercito ucraino sta ancora avanzando, con l’intenzione di mantenere i territori conquistati il più a lungo possibile. Uno degli obiettivi dichiarati dal presidente Vlodymyr Zelensky è la creazione di una zona cuscinetto che consenta di evitare attacchi russi ravvicinati sul suolo ucraino.

Negli ultimi giorni l’esercito ucraino ha anche danneggiato tre ponti sul fiume Seym che collegavano una grossa area di confine con l’Ucraina al resto della Russia e che l’esercito russo usava per i rifornimenti militari. Se l’Ucraina riuscisse ad accerchiare questa regione, sarebbe un grande successo che consentirebbe di allargare ulteriormente la porzione di territorio russo conquistato.

Però l’impegno nella zona di Kursk ha ulteriormente indebolito la presenza ucraina sul fronte orientale, dove nelle ultime settimane l’esercito russo sembra essere tornato ai ritmi di conquista dell’inizio della guerra. Le forze russe stanno infatti avanzando velocemente nella regione orientale di Donetsk, che è già in buona parte sotto il controllo di Mosca.

Dopo la conquista del villaggio di Artyomov, l’esercito è diretto verso Pokrovsk, città situata in un punto strategico per il rifornimento delle truppe ucraine, dove le autorità stanno evacuando centinaia di civili. Quindi, se lo scopo di Kyijv era determinare un rallentamento dell’avanzata russa, non c’è ancora nessun segnale positivo.

Il confronto tra i due eserciti rimane sproporzionato perché i problemi dell’Ucraina al fronte sono la mancanza di soldati e la scarsità di risorse economiche e militari, che devono quindi essere razionate ed essere dosate nei diversi fronti aperti.

A questo si aggiunge il fatto che i Paesi occidentali continuano a limitare l’invio di aiuti economici e militari all’Ucraina. La guerra ha messo sottopressione l’industria bellica statunitense ed europea, e soprattutto i Paesi Europei fanno fatica a stare dietro all’enorme consumo di armi e munizioni.

Tuttavia, Lars Calmfors, economista e professore di economia internazionale presso l’Università di Stoccolma, scrive sul Financial Times che le risorse economiche dell’Occidente superano di gran lunga quelle della Russia. Nel lungo termine, questa capacità economica potrebbe essere trasformata efficacemente in capacità militare, diventando decisiva nell’evoluzione del conflitto.

Secondo la Banca Mondiale il Pil combinato di Stati Uniti, Ue e Regno Unito è circa nove volte più grande di quello della Russia. E il Pil combinato dell’Ue e del Regno Unito è cinque volte maggiore di quello della Russia. Questo vuol dire che l’Occidente potrebbe mobilitare delle risorse significative a sostegno dell’Ucraina con effetti molto marginali sul tenore di vita.

Inoltre, i dati dello Stockholm International Peace Research Institute dicono che nel 2023 la Russia ha speso il 5,9 per cento del Pil in risorse militari, mentre la spesa dell’Ucraina è stata del trentasette per cento. In altre parole, la Russia ha speso circa centocinquanta miliardi di dollari in più. Qualche stima potrebbe aiutare ad avere un quadro più chiaro della situazione.

Se l’Occidente dovesse contribuire con lo stesso importo per permettere all’Ucraina di mantenere le sue posizioni, l’impatto sul Pil sarebbe minimo: si tratta dello 0,26 per cento del Pil combinato degli Stati Uniti, dell’Ue e del Regno Unito e dello 0,48 per cento del Pil di Ue e Regno Unito se dovessero finanziare da soli Kyjiv.

Inoltre, se l’Ucraina dovesse avere bisogno del trenta per cento in più di risorse per proseguire nell’avanzata e riprendere parte dei territori occupati, sarebbe necessario un supporto di circa duecentosessantacinque milioni di dollari. Questa cifra corrisponde allo 0,45 per cento del Pil di Stati Uniti, Ue e Regno Unito e allo 0,85 per cento del Pil di Ue e Regno Unito.

Queste stime mostrano come i sacrifici economici dei Paesi occidentali per fornire armi e munizioni all’Ucraina siano piuttosto ridotti rispetto agli effettivi costi sostenuti dai due Paesi in guerra, e che quindi le risorse economiche per aiutare Kyjiv in realtà ci sono.

Quello che forse l’Occidente dovrebbe cambiare è l’approccio al sostegno all’Ucraina, vedendolo in una prospettiva a lungo termine. Fornire a un Paese democratico sotto attacco l’aiuto di cui ha bisogno adesso, e quindi affrontare i costi che ne derivano, dovrebbe servire a evitare di pagare, in futuro, un prezzo molto più alto, non solo in termini economici ma potenzialmente anche umani. Infatti, se la Russia dovesse vincere in Ucraina, non c’è nessuna garanzia che si fermi lì. Un’eventuale evoluzione del conflitto potrebbe mettere in discussione la pace a cui gli europei sono abituati dal 1945 e determinare conseguenze a livello globale.

Al momento, Vladimir Putin confida nel fatto che alla fine l’Occidente si stancherà di finanziare l’Ucraina, permettendo alla Russia di sostenere i costi della guerra più a lungo. Ma un intervento meno incerto da parte di Europa e Stati Uniti rispetto a quello attuale potrebbe, forse, indurre Mosca a ricalcolare le proprie spese militari e fare un cambio di rotta.

Patuanelli parla come il Cremlino, le parole contro l’Ucraina sembrano un comunicato russo (ilriformista.it)

di Aldo Torchiaro

"La risposta di Kiev è un pericolo"

L’ex ministro Patuanelli va in tv e sproloquia: «Se vogliamo far fare la guerra a qualcuno in nome dell’Occidente, non va bene. Chissà cosa può succedere». Sembra un comunicato del governo russo

Il Re è nudo. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, bacchettando l’incursione di Kiev sulla russa Kursk, non esprimeva una opinione personale ma anticipava la posizione del governo: no all’uso di armi italiane per l’offensiva ucraina sul territorio russo. Una linea diversa da quella dell’Unione europea, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Tanto che i partner ritengono necessario specificarlo.

L’operazione nella regione russa di Kursk «non cambia» il sostegno del Regno Unito a Kiev, ha detto ieri Keir Starmer: «La nostra posizione è che rimaniamo al fianco dell’Ucraina fin quando sarà necessario e siamo fermi nel nostro impegno a fornire assistenza militare».

La marcia autarchica

L’Italia dunque continua nella sua marcia autarchica in piena presidenza del G7, scommettendo (contro gli ultimi sondaggi) sulla vittoria di Donald Trump a novembre e predisponendosi ad allentare gli aiuti a Zelensky nel segno delle indicazioni di Trump, che nella conversazione con Elon Musk ha mentito, dicendo che gli Usa hanno dato molto più dell’Unione europea a Kiev. La distrazione generale di Ferragosto consente al governo di muoversi – anche tra le due guerre in corso – con rinnovata disinvoltura.

Disimpegno ad Est e perfino una prolungata pausa verso Bruxelles. Quasi tutti i governi degli Stati membri Ue hanno recapitato la lettera che reca in calce il nome (o i nomi) dei commissari da nominare. L’Italia no. E Ursula von der Leyen ha detto di voler chiudere la pratica entro il 15 agosto. Ormai ci siamo, ma a Palazzo Chigi qualcuno ama la suspense. Vuole arrivare all’ultimo minuto.

Le preghiere all’Iran

Sull’altro conflitto, quello in Medio Oriente, la vicinanza a Israele si limita a firmare un “invito alla moderazione”, una specie di preghiera all’Iran. Sostegno militare a Tel Aviv, neanche a parlarne. Conforto morale, invece sì. Il telefono, recitava una pubblicità di tanti anni, allunga la vita. Così la premier Giorgia Meloni, nell’ambito dei contatti che sta intrattenendo sulla crisi in Medio Oriente, ha avuto ieri una nuova conversazione telefonica con il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu.

La nota di Palazzo Chigi precisa: «Nel riconoscere il diritto all’autodifesa di Israele, la presidente del Consiglio ha sottolineato l’importanza di una de-escalation a livello regionale, incluso lungo il confine israelo-libanese dove è presente la forza di interposizione delle Nazioni Unite, Unifil, in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano».

Patuanelli come il Cremlino

Poi c’è il caso del Movimento Cinque Stelle. Giuseppe Conte è in vacanza ma non vuole farci mancare mai il suo prezioso punto di vista. È indignato per Israele, si precipita a dire che dall’Italia non deve essere dato alcun sostegno militare, ma dimentica completamente di condannare Hamas.

Si dice preoccupato per l’avanzata ucraina in Russia, mentre quella russa in Ucraina non destava poi tanta pena. L’ex ministro Stefano Patuanelli va in tv per dire: «La controffensiva ucraina apre scenari molto pericolosi, non possiamo continuare a inviare armi. Se vogliamo far fare la guerra a qualcuno in nome dell’Occidente, non va bene. La Russia ha utilizzato per la prima volta un’arma pericolosa, non vogliamo pensare a quello che può succedere se questa escalation dell’invasione militare del territorio russo non finirà il prima possibile».

Sembra un comunicato del Cremlino, ma confermiamo: lo ha detto davvero Patuanelli. A La7. Pefino il Pd, con Gianni Cuperlo, decide di rispondergli: «Col M5S ci sono differenze, noi crediamo serva il sostegno anche militare di Kiev. Condividiamo l’urgenza di individuare un canale politico-diplomatico che finora non c’è stato».

«Putin ha manipolato l’ego e le insicurezze di Trump». Ecco cosa dice il libro dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa (open.online)

di Alba Romano

Le memorie del generale in pensione McMaster, 
che il “Guardian” ha potuto leggere in anteprima, 
confermano l’ascendente del presidente russo sul tycoon

Una simpatia, una connessione tra i due che Mosca avrebbe sfruttato.

Sono queste le anticipazioni del libro At war with ourselves. My tour of duty in the Trump White House del generale in pensione ed ex consigliere per la sicurezza Usa H.R. McMaster. I retroscena forniti dal funzionario, poi licenziato dall’allora presidente americano Donald Trump con un tweet confermano le sue affinità con il leader russo Vladimir Putin. Un rapporto che l’inquilino del Cremlino avrebbe però piegato a suo favore: «Ha manipolato l’ego e le insicurezze di Trump», rivela McMaster.

«Putin ha fatto leva su di lui con l’adulazione»

Che quanto ci sia scritto non sia al miele per Trump, è intuibile dal titolo delle memorie di McMaster. L’ex generale ha resistito alla Casa Bianca per poco più di un anno, dal febbraio 2017 all’aprile 2018 prima di essere licenziato dal tycoon con un tweet. «Dopo oltre un anno di lavoro, non riesco a capire la presa di Putin su Trump», scrive McMaster nel suo libro che il Guardian ha potuto leggere in anteprima.

Durante la sua permanenza, McMaster non ha potuto non accorgersi che ogni valutazione negativa su Putin da parte dello staff veniva evitata da Trump. Anzi, l’allora presidente avrebbe preferito avere contro i suoi stessi consiglieri piuttosto che seguire le loro politiche più aggressive con Mosca.

Una strategia elaborata dallo stesso Putin: «Uno spietato ex operatore del KGB, ha fatto leva sull’ego e sulle insicurezze di Trump con l’adulazione». Una manovra che consisteva nel definire Trump «una persona eccezionale, di talento», operazione a cui lo stesso tycoon avrebbe confessato di essere vulnerabile.

Le reazioni alle ingerenze russe nelle elezioni del 2016

«Come i suoi predecessori George W. Bush e Barack Obama, Trump era troppo sicuro della sua capacità di migliorare le relazioni con il dittatore del Cremlino. Il fatto che la maggior parte degli esperti di politica estera di Washington sostenesse la necessità di un approccio duro nei confronti del Cremlino sembrava solo spingere il presidente all’approccio opposto», scrive McMaster.

Un Trump che era anche a tal punto ossessionato dal rapporto Mueller sulle ingerenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016 da non poter «discutere di Putin e della Russia». Un argomento tabù: «Su Putin e la Russia, ho nuotato controcorrente con il presidente fin dall’inizio».

Ma a nulla sarebbero valsi gli avvertimenti di McMaster, «Signor Presidente, è il miglior bugiardo del mondo», l’allora presidente ha tirato dritto facendo ciò che Putin voleva: l’alleggerimento delle sanzioni e il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria e dall’Afghanistan a basso costo. Tutto con la promessa di relazioni migliori tra Usa e la Russia, cooperazione in materia di antiterrorismo, sicurezza informatica e controllo degli armamenti.

Quel curioso rapporto tra Travaglio e Meloni: “Mi è simpatica, lei e Conte gli unici premier senza poteri forti” (ilriformista.it)

La confessione

A volte nascono legami e relazioni strette inaspettate.

Non si può parlare di amicizia, perché così non è, ma tra Marco Travaglio e Giorgia Meloni sembra ci sia una buona connessione. Martedì scorso in un editoriale il direttore del Fatto Quotidiano ha definito la premier “una tipa sveglia“. Una definizione che è sembrata una carezza. E oggi Travaglio torna sull’argomento, parlando intervistato dal Corriere della Sera.

Quel curioso rapporto tra Travaglio e Meloni: “Mi è simpatica, lei e Conte gli unici premier senza poteri forti”

“Penso sia una tipa sveglia. Detto questo, non condivido nulla o quasi della sua azione di governo” ha rimarcato Travaglio. Per poi spingersi oltre e raccontare il perché di questa sua ammirazione seminascosta per la leader di Fratelli d’Italia. La spiegazione è semplice: per come è arrivata al potere è simile a Giuseppe Conte. “In questi anni sono stati gli unici due presidenti del Consiglio ad essere arrivati a Palazzo Chigi senza la cooptazione dei poteri forti.

Il leader del Movimento 5 Stelle è giunto lì per caso. Lei, Giorgia, è invece arrivata dalla periferia. La presidente del Consiglio è un underdog o un outsider anche se fa politica da trent’anni, perché proviene da una formazione che da sempre è stata tenuta a distanza dalle logiche di potere. Ecco perché mi meraviglia”, dice il giornalista.

Meloni e le trappole dell’establishment

Certo, dopo i particolari elogi c’è anche qualche stoccata che Marco Travaglio riserva a Meloni: “Mi meraviglia che non abbia dato seguito da presidente del Consiglio a questa sua caratteristica. Ha dovuto promettere fedeltà agli americaniall’Europa, a tutti quelli che ha dipinto come poteri forti, pensiamo ad esempio al rapporto super compiacente che ha avuto con il governo Draghi. Diciamola tutta, si è un po’ parata le spalle”.

Per Travaglio il problema è tutto lì: l’establishment. “Non a caso appena ha votato contro la presidente della Commissione europea uscente sono subito piovute le critiche. E lo stesso è successo non appena il ministro della Difesa Guido Crosetto si è permesso di criticare l’Ucraina. Meloni è sempre sotto esame. Se asseconda l’establishment è salva, altrimenti le saranno ordite una serie di trappole”.

Gli incontri e i pranzi tra Travaglio e Meloni

“L’ho conosciuta 15 anni fa quando era ministro della Gioventù nel governo di Silvio Berlusconi. Se non sbaglio ci siamo incrociati in treno, dopodiché ci saremo visti un paio di volte a pranzo per scambiare due chiacchiere, perché mi incuriosiva questa giovane esponente del governo.

E poi basta: ho solo avuto un rapporto da giornalista. Devo dire che mi è molto simpatica. Ha rotto con Berlusconi ai tempi del PdL, per fondare un suo partito, sganciandosi così dal governo Letta-Alfano. Si è sempre mossa nel segno della coerenza tenendosi a debita distanza dalle manovre di palazzo. Insomma le premesse c’erano tutte…”.

Travaglio nell’intervista spiega anche che l’ultimo suo incontro con Meloni è avvenuto di recente, anche se non a una cena, ma per invitarla alla festa del Fatto Quotidiano. Un invito a cui la premier ancora non ha dato risposta.

Il giustizialismo di Travaglio e Meloni

E poi c’è un’altra cosa che lega Travaglio con Meloni: il giustizialismo. A farlo capire, neanche tanto a mezza bocca, è lo stesso direttore del Fatto: “Non ho una avversione irriducibile per tutti quelli che stanno nel centrodestra. Ho una avversione irriducibile per i delinquenti.

Quando Meloni ha confermato il carcere duro nei confronti del superboss ho titolato: “Buona la prima”. Speravo di scrivere “Buona la seconda”, “Buona la terza” e invece non è stato così. Giorgia Meloni è una persona perbene che sta facendo male. E mi faccia aggiungere una cosa: a mio avviso ha fatto una cavolata a paragonarsi a Silvio Berlusconi.

Il commento di Renzi: vedere Travaglio difendere Meloni spiega molte cose

A commentare il contenuto dell’intervista rilasciata da Travaglio al Corriere ci ha pensato Matteo Renzi. Sul suo profilo X, il leader di Italia Viva ha scritto: “Vedere Marco Travaglio difendere Giorgia Meloni è fantastico e spiega molte cose”.

(corriere.it)