Il sindaco Tarzan ma il G8 no (corriere.it)

di Marco Marozzi

Il sindaco di Bologna è il barone di Greystoke. 

Ovvero un Tarzan che si fa «civilizzare» ma poi si accorge che ha perso la sua «cultura».

Matteo Lepore sa cosa significano per la Scuola di Francoforte (e molti altri, da Mann a Nietzsche) Kultur und Zivilisation. Theodor Adorno ha tentato di spiegare il rapporto fra spontaneità e apprendimento, natura e società: faccenda complessa, che da Rousseau in poi ha combinato bei grattacapi. Lepore-Greystoke ha cercato un connubio fra i due valori, difficili da affrontare filosoficamente, figurati amministrativamente.

Di fronte ai Tarzan antagonisti che si apponevano al progetto per le nuove scuole Besta, prima ha difeso una visione tecnologico-modernista, zivilisation alla bolognese: poi ha deciso di salire (metaforicamente) anche lui sugli alberi dove si erano asserragliati i suoi contestatori, kultur metropolitana-glocal. Ha abbandonato l’idea di abbattere e ricostruire, ha spiazzato gli stessi avversari tramutandosi in un barone di Greystoke, Tarzan colto o almeno acculturato che si immerge nella natura.

La sintesi è brutale, sarebbe stato bello che dai rami gli antagonisti avessero declamato Il Barone rampante, a cui Lepore rispondeva con Il Visconte dimezzato. Calvino a cose fatte meriterà una statua: figlio di botanici, ribelle aggraziato. Preleporiano, rampante dimezzato. L’opposizione tuona contro i soldi «buttati via», e si rivolge all’Unione europea. «Solo gli stupidi non cambiano idea» è il nuovo mantra di Lepore.

Il suo dietrofront rappresenta una nuova cultura amministrativa: parlare (volare) alto per spiazzare tutti quanti. Diversa dai Re Tentenna che l’hanno preceduto. «Una protesta eterodiretta per far male a Bologna» ha detto a proposito della contestazione.
«Si rischiava un G8 e Bologna non lo merita». Evocazione apocalittica. Nel 2001 al G8 di Genova ci furono scontri con migliaia di partecipanti, una città a ferro e fuoco, plotoni di polizia e carabinieri, provocazioni, premeditazioni (di Stato comprese), pestaggi. Un morto, Carlo Giuliani. E «protesta eterodiretta» che significa? I Tarzan dei collettivi sociali bolognesi copiano dai Black Block, 23 anni dopo, quando Genova fu annunciata e preparata da antagonisti che ora hanno fra i 40 e i 50 anni? Besta è come una riunione dei capi delle otto nazioni «più sviluppate»?
Forse era più storicamente corrispondente se Lepore avesse ricordato la rivolta bolognese dell’11 marzo 1977 con le molotov, l’uccisione di Lorusso, «Bologna rossa di vergogna» di studenti e agit-prop. E anche in questo caso la drammatizzazione è enorme.
Offensiva per tutti i coinvolti. Gli scontri alle Besta, i contusi, la «battaglia» che si annunciava in caso di sgombero non potevano prevedere una Bologna sconvolta. Nel caso stava a chi di dovere impedire ogni tragedia. Lepore è sicuramente cosciente che ha creato un precedente, se non indicato una linea di manovra.
La protesta, almeno minacciosa, paga? La giunta, il Pd, appendici come Coalizione civica cercano di inglobare, neutralizzare i centri sociali con fondi, sedi, attenzione, iniziative. Successe anche nel ’77 con quelli che Berlinguer aveva bollato come «untorelli».
Lezione da studiare nei suoi metodi, in questi tempi pur cambiati. I cantieri piacciono solo a chi ci lavora, contestarli è diffuso dovunque. Dalla Tav alle tangenziali cittadine. Che cosa succederà se la rivolta imparerà dalle Besta?
La mediazione è un compito da giganti. Occorre spiegare, moderare, non offendere né arrabbiati né pacifici. «La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone. La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione» cantava Gaber. Partecipazione di quanti? E come? Studiare, studiare, studiare.
La presunzione della gioventù è bellissima, ma è Kultur und Zivilisation .
(Foto LaPresse)

Trump e quelle affermazioni shock sui disabili: “Costano troppo, dovrebbero morire” (lavocedinewyork.com)

di Emanuele La Prova

Le dichiarazioni del tycoon sono state riportate 
nell'ultimo libro del nipote, Fred C. Trump III

La prossima settimana, uscirà nelle librerie degli Stati Uniti “All in the Family: The Trumps and How We Got to Be This Way”, il libro di Fred C. Trump III, nipote del tycoon.

Nel suo racconto, quest’ultimo ha rivelato alcuni particolari piuttosto scioccanti circa il carattere dello zio e su alcune affermazioni da lui rilasciate lontano dai microfoni e dalle telecamere, che ora però rischiano di ritorcerglisi contro.

Il sessantunenne ha dichiarato che Donald Trump, al tempo presidente degli USA, gli avrebbe consigliato di far morire il proprio figlio disabile. “Cosa ha appena detto? – scrive Fred- Che mio figlio non mi riconosce? Che dovrei farlo morire? Ha davvero pronunciato queste parole?”. La notizia è arrivata pochi giorni dopo che i membri della famiglia Trump, alla convention nazionale repubblicana, avevano descritto The Donald come un nonno e un padre di famiglia “molto premuroso e affettuoso”.

(Fred C. Trump III Ph: Linkedin)

Fred C. Trump III è il figlio di Fred Trump Jr, fratello maggiore del leader MAGA, morto a 43 anni nel 1981. Dirigente immobiliare di successo a New York, il sessantunenne e sua moglie Lisa sono sostenitori dei diritti dei disabili.

Nel 2020, la sorella di Fred, Mary Trump, pubblicò il suo libro di memorie, “Too Much and Never Enough: How My Family Created the World’s Most Dangerous Man”. Fred Trump III ha preso le distanze da quel racconto, che però includeva la storia di come Donald Trump e i suoi fratelli avessero effettivamente diseredato il resto della famiglia, tagliando poi i fondi per le cure di William, il figlio disabile di Fred. Nonostante ciò, il 61enne spiegò che l’ex presidente era l’unico dei suoi zii a contribuire al sostentamento del ragazzo.

Un giorno, però, Fred chiamò il leader MAGA per spiegargli che le cure di William erano diventate sempre più costose. Dinanzi a tale affermazione, l’ex presidente avrebbe risposto: “Non saprei. Non ti riconosce. Forse dovresti lasciarlo morire e trasferirti in Florida”. Naturalmente, quelle frasi lasciarono Fred esterrefatto.

Successivamente, quest’ultimo ha affermato che in realtà in passato aveva sentito lo zio fare dei discorsi simili anche quando si trovava presso lo Studio Ovale, durante un incontro con i medici e con i sostenitori dei diritti per i disabili.

(All in the Family, il libro di Fred Trump III Ph:Amazon)

“Sembrava preoccupato”, racconta il nipote del tycoon, “Pensavo che fosse stato toccato da ciò che i medici avevano appena condiviso sul loro percorso con i pazienti. Ma mi sbagliavo. Ha detto ‘Quelle persone, nelle condizioni in cui si trovano…per quanto ci costano in termini di spese, forse dovrebbero morire’”.

“Non sapevo davvero cosa dire”, ha aggiunto Fred, “stavamo parlando di vite umane. Mi sono girato e me ne sono andato”.

Nel suo libro, il 61enne ha inoltre affermato di aver più volte sentito Donald Trump utilizzare la parola “negro”, nel tono più dispregiativo possibile. E’ chiaro che nel bel mezzo di una campagna elettorale così tesa, durante la quale il tycoon sfiderà per la Casa Bianca presumibilmente Kamala Harris, una donna di colore, l’ultimo lavoro di Fred Trump potrebbe rivelarsi una vera e propria mina vagante.

Lettera di Meloni a von der Leyen: “Fake news contro di noi. Giornalisti e conduttori via dalla Rai per dinamiche di mercato” (huffington post.it)

La premier si difende dalle critiche contenute 
nella Relazione annuale sullo stato di diritto 
dell'Unione europea

“Qualche giorno fa, come accade ogni anno dal 2020, la Commissione europea ha pubblicato la Relazione annuale sullo stato di diritto dell’Unione europea. Si tratta di un esercizio periodico, svolto in costante dialogo con i 27 Stati membri, sostenuto e incoraggiato dal Governo italiano in quanto strumento utile a monitorare il rispetto dei principi e dei valori fondanti della UE”.

Inizia così la lettera della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

“Ebbene – prosegue la premier -, anche quest’anno le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano  particolarmente da quelle degli anni precedenti, tuttavia per la prima volta il contenuto di questo documento è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il Governo italiano. Qualcuno si è spinto perfino a sostenere che in Italia sarebbe a rischio lo stato di diritto, in particolare con riferimento alla libertà di informazione e al servizio pubblico radiotelevisivo”.

“Le critiche che vengono strumentalmente mosse nei confronti del Governo riguardano  principalmente tre questioni: 1. il fatto che il sistema di governance della RAI non garantirebbe la piena indipendenza del servizio pubblico, che sarebbe soggetto ad un’eccessiva ingerenza politica; 2. il fatto che il cambiamento della linea editoriale della radiotelevisione pubblica avrebbe determinato le dimissioni di vari giornalisti e conduttori; 3. l’asserito mancato rispetto della par condicio durante le ultime elezioni del Parlamento europeo. A tal riguardo reputo utile precisare i termini della questione”.

“Sul primo punto, cioè sulle garanzie di indipendenza del servizio pubblico, mi sento di ricordare che la riforma della Rai, che ha disegnato l’attuale sistema di governance dell’azienda, è stata ideata e  realizzata nel 2015 dall’allora partito di maggioranza relativa (il Partito Democratico) durante il governo guidato da Matteo Renzi, con la contrarietà del partito da me guidato (Fratelli d’Italia). Se dunque esiste un problema di ingerenza politica dovuta alla normativa esistente, questo non può certo essere imputato a chi quella norma l’ha subita. Soprattutto si tratterebbe di una criticità che si trascina da quasi dieci anni e che avrebbe, nel caso, sfavorito le forze di opposizione, e nello specifico Fratelli d’Italia, e favorito le forze di Governo che hanno governato in questo periodo. Anche l’attuale governance è stata determinata dal Governo precedente (Governo Draghi), con Fratelli d’Italia unico partito di opposizione che si è reputato allora di escludere perfino dal Consiglio di Amministrazione della Rai creando, questa volta sì, una anomalia senza precedenti in  Italia e in violazione di ogni principio di pluralismo del servizio pubblico. È bene ricordare che, salvo la nomina obbligata di un nuovo Amministratore Delegato nel 2023 a seguito delle dimissioni del  suo predecessore, l’attuale Governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene non si sono ancora avvalsi della normativa vigente per il rinnovo dei vertici aziendali. Gli attuali componenti del CdA della RAI, come ricordato, sono stati nominati nella scorsa legislatura da una maggioranza di cui Fratelli d’Italia non era parte, non si comprende dunque come si possa imputare a questo Governo una presunta ingerenza politica nella governance della RAI”.

“Riguardo il secondo punto – prosegue la missiva a von der Leyen -, sarebbe a dire il fatto che il cambiamento della linea editoriale della RAI avrebbe determinato le dimissioni di diversi giornalisti e conduttori, è di tutta evidenza, anche in ragione di quanto espresso in precedenza, che si tratti di una dinamica che in ogni caso non può essere imputata all’attuale Governo. Nel merito, diversi esperti del campo affermano che i rapporti di lavoro si sono interrotti per normali dinamiche di mercato; alcuni di questi conduttori hanno lasciato la Rai prima dell’arrivo del nuovo AD ed altri hanno deciso di percorrere nuove esperienze professionali o editoriali, pur avendo l’azienda confermato i loro spazi di presenza nei palinsesti”.

“Ancora più strumentale appare la critica del terzo punto in base alla quale la RAI avrebbe violato le regole della par condicio in favore della maggioranza di governo durante le ultime consultazioni per  l’elezione dei membri del Parlamento europeo. Anche su questo argomento, mistificato a uso politico, occorre chiarire alcuni aspetti. A ridosso delle elezioni europee del 2024, la Commissione parlamentare Vigilanza Rai, nell’esercizio delle sue prerogative, ha adottato una  delibera – dichiarata peraltro dall’Agcom conforme alla disciplina vigente in materia – che prevedeva l’esclusione dalle regole della par condicio dei rappresentanti delle istituzioni che affrontavano  questioni inerenti alle loro funzioni istituzionali. Non si tratta di una novità. Infatti, sempre, durante ogni passata competizione elettorale, tutti i governi in carica hanno potuto legittimamente continuare ad informare i cittadini sulla loro attività, senza che l’informazione istituzionale rientrasse nel conteggio dei tempi della par condicio, così come previsto dalla legge vigente. Viene da chiedersi perché questo principio, che si è sempre reputato valido in passato, non debba valere  per l’attuale Governo”.

“Si tratta quindi di attacchi maldestri e pretestuosi – sostiene la premier – che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa. Dispiace che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione. Da parte del Governo italiano confermo ogni sforzo per assicurare in Italia e in Europa il pieno  rispetto dei valori fondanti alla base dell’Unione Europea e l’assiduo impegno a far progredire l’Italia nell’ambito della libera informazione, del contrasto alle fake news e del pluralismo del servizio  pubblico radio televisivo dopo decenni di sfacciata lottizzazione politica”.