di Simone Zoppellaro
Edifici lasciati a metà, incompiuti: spesso un abbozzo appena di fondamenta – nudo cemento e ferri rugginosi che spuntano – che rispecchia le nubi.
Costruzioni abbandonate prima ancora, a volte, di poterne intravedere il progetto originario o la fine; riciclate di quando in quando come depositi o parcheggi, oppure abitate da poveri in un piano terra sventrato, senza alcuna prospettiva. Attraversare in viaggio l’Albania significa imbattersi con frequenza in un simile paesaggio.
Come non chiedersi, allora, quali volti e storie si celino dietro a questi ruderi: una fuga improvvisa o un’emigrazione senza ritorno? Un accumulo di debiti? Minacce, o un’esplosione acuta di violenza?
Il messaggio da leggere è chiaro, comunque sia: nessun futuro, una Waste Land di speranze, per chi abbia abbandonato a metà, senza più tornarvi, una casa in cui aveva investito tempo e fatica. L’anima dell’Albania è rinchiusa, a mio avviso, in questa immagine: fenice soffocata nella sua cenere, tenuta a terra in un impasto di polvere e piume.
Un tentativo di transizione e rinascita, sempre replicato, e immancabilmente fallito, dentro un tempo sospeso come in una maledizione. Un «Try again. Fail again. Fail better» di beckettiana memoria, che ci interroga tutti, ma a cui l’Europa si ostina a voltare le spalle (o, più semplicemente, a alzarle) … leggi tutto